"La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture non mancando mai, soprattutto nella liturgia, di nutrirsi del pane della vita, sia della Parola di Dio, sia del Corpo di Cristo". (Concilio Vaticano II)

giovedì 29 settembre 2011

Itinerari di fede - XI appuntamento

Torniamo a meditare attraverso il nuovo percorso ricco di diversi itinerari, sempre scritti dalla mano di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia (ringraziamo sempre Enza per l'opera non facile di trascrizione), concernenti ora la vita spirituale:

LA VITA SPIRITUALE (PARTE SECONDA)

Mentre preghi, tu cammini verso Dio. La qualità della tua preghiera esprime la qualità del tuo amore, la sola forza capace di "bruciare" la distanza infinita che ti separa da LUI. "Per liberarvi delle vostre cattive inclinazioni, non occupatevi tanto di esse: ciò alle volte è un modo di dar loro peso ed una virulenza che avevano prima e rischiereste di strappare il bene insieme al male (cfr. La parabola del buon grano e della zizzania. (Mt. 13, 24-30). Il modo giusto di eliminare il male non consiste nell'accanirvi contro, ma nel rivolgervi alla Luce, nel porre tutta la vostra attenzione sulla Luce; allora la vostra parte di ombra si affievolirà, sarà cancellata senza che la tagliate. Dio si incaricherà di tagliarla e di bruciarla nel giorno della mietitura. Rivolgetevi verso la speranza della mietitura".(Lanzo del Vasto). "Mentre Gesù pregava il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante" (Lc 9,29). E' significativo che Gesù si trasfiguri mentre è in colloquio intimo con il Padre. La preghiera, se fatta con il cuore trasfigura la persona. "Guardate a Lui e sarete raggianti; non saranno confusi i vostri volti" (Sal. 33,6). Anche Mosè dopo il contatto con Dio, scendeva dal monte con il volto luminoso, tanto che gli israeliti avevano timore di avvicinarsi a lui. L'anima che "guarda a Dio", che "si rivolge alla sua LUCE", è l'anima che prega. Quando uno prega, diventa "raggiante", perché irradia sugli altri la luce di Dio, che è AMORE, BENEVOLENZA, BONTÀ, MISERICORDIA. Tra VITA SPIRITUALE e PREGHIERA vi è un nesso profondo e inscindibile. Non solo non si possono mai separare, ma ognuna influisce in modo diretto sull'altra. L'anima che "guarda a Dio", che "si rivolge alla sua LUCE", è l'anima che prega. Quando uno prega, diventa "raggiante", perché irradia sugli altri la luce di Dio, che è AMORE, BENEVOLENZA, BONTÀ, MISERICORDIA. Tra VITA SPIRITUALE e PREGHIERA vi è un nesso profondo e inscindibile. Non solo non si possono mai separare, ma ognuna influisce in modo diretto sull'altra. E' vera la frase: "Dimmi come preghi e ti dirò come vivi". Ma è altrettanto vera la frase trasposta nei suoi termini: "Dimmi come vivi e ti dirò come preghi". La Vita Spirituale di un'anima, corrispondente al grado di comunione con Cristo, è direttamente proporzionale con la qualità di preghiera che la esprime e della quale è come il respiro. Madre Teresa di Calcutta ne è un esempio incarnato ai nostri tempi. Prima di andare a servire "gli ultimi della terra", ogni mattina trascorreva un'ora e mezza di adorazione davanti a Gesù Eucarestia. A sera, dopo il servizio instancabile prestato ai poveri, nello spirito della Carità di Cristo, concludeva la sua giornata con un'altra ora di "colloquio contemplativo". Le molte preghiere che ha composto, sgorgate dal suo grande cuore, sono una viva testimonianza di questa grande verità: la PREGHIERA, quando è autentica apre sempre l'anima alla CARITÀ. Vogliamo qui riportare uno dei suoi pensieri così delicati e profondi nei quali traspare il suo amore e la sua tenerezza per ogni essere umano. Anche il titolo è significativo: LA BONTÀ. "Non permettere mai che qualcuno venga a te e vada via senza essere migliore e più contento. Sii l'espressione della bontà di Dio. Bontà sul tuo volto e nei tuoi occhi, bontà nel tuo sorriso e nel tuo saluto. Ai bambini, ai poveri e a tutti coloro che soffrono nella carne e nello spirito, offri sempre un sorriso gioioso. Dai a loro non solo le tue cure ma anche il tuo cuore" (M. Teresa). Nel Cammino Spirituale (chiamato anche CAMMINO DI FEDE, perché questa è la virtù-fondamento che lo sorregge), s'impara a pregare non tanto dai libri quanto dal MAESTRO INTERIORE, lo SPIRITO SANTO, che è stato infuso nei nostri cuori. (cfr. Rom. 5,5). Per questo S. Giovanni Climaco afferma: "Dio fa il dono della preghiera a colui che prega". Ciò significa che A PREGARE S'IMPARA PREGANDO. Le leggi della preghiera sono le stesse che guidano e accompagnano la Vita Spirituale nel suo sviluppo. Nel cammino verso l'incontro con Dio, l'anima avverte che il cuore le si ALLARGA sempre più e contemporaneamente si ELEVA e si DILATA la sua preghiera. Proprio come chi scala una montagna: sale e salendo contempla orizzonti sempre più vasti.
LA VITA SPIRITUALE E’ LA SALITA AL MONTE SANTO DI DIO
Segnaliamo i principi che costituiscono la verifica sicura del traguardo raggiunto dall'anima nel suo cammino di santità. La preghiera è il termometro che infallibilmente lo rivela. Formuliamo anzitutto il criterio generale, per poi analizzare i vari "Passaggi" che manifestano il progredire della preghiera verso una dimensione sempre più coinvolgente e più vera.
L'INTERIORIZZAZIONE DELLA PREGHIERA ACCOMPAGNA SEMPRE L'INTERIORIZZAZIONE DELLA VITA. È un "Cammino", dall'esterno all'interno della persona. "IL VIAGGIO PIU' LUNGO che l'uomo può compiere è quello che lo porta ad entrare nel più profondo del proprio cuore" (Dag Hammarskïold).
Si va: a) da una preghiera prevalentemente "parlata" ad una preghiera prevalentemente "ascoltata". Nel suo primo stadio, la preghiera predominante è la PREGHIERA VOCALE (=fatta con le labbra) più o meno meccanica. Man mano che l'anima progredisce nel suo
Cammino Spirituale, passa ad una preghiera che coinvolge sempre più le sue facoltà interiori: MENTE, VOLONTÀ, CUORE. Mentre le PAROLE diminuiscono, ma si fanno più vere, crescono gli spazi di SILENZIO.
"Pregando non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venir ascoltati a forza di parole " (Mt. 6,7). b) - Da una preghiera "formale", ossia frammentata in varie "devozioni", ad una preghiera sempre più "sostanziale", che trova il suo Centro nella Persona di Gesù Cristo. L'anima infatti, quando inizia a pregare veramente avverte che entra in un contatto personale e vitale con Gesù Cristo. Scopre gradualmente in se stessa la sua PRESENZA IRRADIANTE e lo accoglie sempre più nel cuore perché diventi il punto costante di riferimento della propria vita. Sempre se è fedele alla voce dello Spirito, riscopre anche il valore INESTIMABILE ed INESAURIBILE della sua REDENZIONE come UNICA SORGENTE di ogni Grazia e di ogni Dono: "In verità in verità vi dico: Se chiederete al Padre qualche cosa NEL MIO NOME, Egli ve la darà" ( GV. 16,23). Anche il suo linguaggio muta: da una forma di MONOLOGO diventa sempre più VERO DIALOGO.
E' meno "freddo" e sempre più "riscaldato" dall'AMORE DELLO SPIRITO SANTO che la guida. (C - Da una preghiera in cui predomina la Domanda, legata alla richiesta di grazie, ad una preghiera che cede il posto sempre più alla LODE, all’ ADORAZIONE, al RENDIMENTO DI GRAZIE, man mano che l'anima scopre quanto è amata. Questo genera in lei un gioioso stupore che la spinge progressivamente ad aprirsi all’azione Gratuita di Dio. Riconosce umilmente le Meraviglie che Egli va compiendo in lei e si rende più disponibile a ricambiare il DONO RICEVUTO: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (Mt. 10,8). In questo cammino giunge all'APICE, che costituisce anche il TRAGUARDO a cui tende la Preghiera: la CONTEMPLAZIONE DI DIO, nel Quale TUTTO È AMORE CHE SI EFFONDE IN GRAZIA . LA VITA SPIRITUALE È LA SALITA AL MONTE SANTO DI DIO
d) Da una Preghiera CHIUSA SULLA PROPRIA PERSONA (e sui propri cari...), che risente ancora di troppi calcoli umani interessati, ad una PREGHIERA D'INTERCESSIONE, APERTA A TUTTA L'UMANITÀ. Intercedere significa farsi carico dei fratelli, nelle loro necessità, presentarli a Dio e implorarlo per loro. La preghiera d'INTERCESSIONE è un grande atto di UMILTÀ -Virtù cardine nella costruzione dell'edificio spirituale- perché ci fa riconoscere i nostri limiti, la nostra povertà radicale. L'UMILTÀ ci rende coscienti che quanto siamo e abbiamo è DONO DI DIO; ci apre perciò a Lui per chiederGli ogni cosa con la semplicità di un bambino che sa di avere bisogno di tutto. È un atto di FEDE, perché ci fa poggiare la nostra richiesta sulla PAROLA DI GESÙ che non si smentisce: "Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto" (Mt. 7,7). È un atto di SPERANZA, perché ci fa attendere da Dio con ferma fiducia, ciò che Gli chiediamo per i nostri fratelli. È un atto di CARITÀ, anzi il primo e più grande atto di Carità, perché nella preghiera d'INTERCESSIONE noi affidiamo a Dio, che è PADRE, la Sorte dei nostri fratelli, che non può essere altro se non il loro VERO BENE. Nella Bibbia rifulgono due Grandi Personaggi, divenuti MODELLI nella preghiera d'INTERCESSIONE: ABRAMO e MOSÈ. ABRAMO, con la Confidenza e l'Ardimento che si osa avere solo nei confronti dell'Amico più caro, supplica Dio per la salvezza degli abitanti di Sodoma. (cfr. Gen. 18, 16-33). È un dialogo molto bello e molto denso, sia in chiave di Fede, come in chiave puramente umana. MOSE', mentre procede nel cammino dell'ESODO -Figura chiara dell'Itinerario della VITA SPIRITUALE-, s'immedesima sempre più nella sorte del suo popolo. Supplica Dio, di cui si sente Intermediario, con accenti molto accorati, facendo appello alla Sua Misericordia, di non far perire con la morte coloro che ha liberati dalla schiavitù.
L'anima che progredisce nel Cammino della preghiera arriva ad assumere in proprio i problemi che affliggono l'umanità e li presenta a Dio con la Fiducia di un figlio, che sa di poter contare sempre, per la Mediazione di GESÙ, sul Suo AMORE e sulla Sua MISERICORDIA di PADRE. "Tutto quello che chiederete con Fede nella preghiera, lo otterrete" (Mt. 21,22). (e - Da una preghiera fatta di pie pratiche o di formule tradizionali ad una preghiera sempre più BIBLICA: l'anima sente il bisogno di esprimersi con la PAROLA DI DIO e specialmente con i SALMI. Non ci sono parole umane che possano tradurre adeguatamente L'ESPERIENZA INTERIORE, INEFFABILE (= Inesprimibile), che essa via via sta vivendo. Effondendosi sempre più con la PAROLA DI DIO, che medita nel suo cuore, l'anima SCOPRE che LUI E' IL TUTTO e lei il NULLA. CIÒ CHE È E CIÒ CHE HA È PURO DONO SUO. Perciò dà sempre più spazio a LUI e meno a se stessa. S. Francesco d'Assisi, Grande Contemplativo, l'ha espresso in una delle sue brevi ma ardenti "preghiere del cuore": "Mio DIO, chi sei TU e chi sono io?... “ (f - Da una preghiera rivolta solamente a GESÙ CRISTO ad una preghiera che, nella CIRCOLARITA' dell'AMORE, diventa sempre più TRINITARIA. GESU' rivela il PADRE e dona lo SPIRITO SANTO. Partendo quindi da Gesù, l'anima entra in un rapporto sempre più intimo con ognuna delle Tre Persone Divine, secondo la formulazione del Mistero SORGENTE DI TUTTA LA REALTÀ CHE ESISTE: DA CRISTO AL PADRE NELLO SPIRITO SANTO. S. Maria Maddalena De' Pazzi, religiosa carmelitana e mistica, vissuta nella seconda metà del 1500, esprime così l'ESPERIENZA dell'AMORE TRINITARIO: "Questa è l'opera che continuamente fa la Santissima Trinità nelle sue creature: il PADRE ASPIRA in esse, cioè desidera la loro salvezza, il FIGLIO RESPIRA, riposandosi in esse e rendendole gradite a Dio; lo SPIRITO SANTO ISPIRA, ossia le va illuminando perché possano camminare di virtù in virtù". Man mano che l'anima progredisce nel cammino della preghiera, fa un'esperienza sempre PIÙ P ROFONDA e DIRETTA di Dio, perché gradualmente si abbandona allo SPIRITO SANTO, che è SPIRITO DI PIETÀ! È LUI che nell'anima prega il PADRE con la VOCE DEL FIGLIO. Lo Spirito Santo che prega in noi è fonte dell'amore che opera. Così nell'AMORE la vita si fa PREGHIERA e la PREGHIERA si fa VITA. Per concludere, riportiamo un esempio di preghiera "matura" che ha raggiunto le profondità della persona, là dove ogni essere umano incontra Dio e incontra anche pienamente se stesso. O TU che abiti nel profondo del mio cuore, fa che io ti incontri nel profondo del mio cuore. O TU che abiti nel profondo del mio cuore, fammi udire la Tua voce nel profondo del mio cuore. O TU che abiti nel profondo del mio cuore, custodiscimi accanto a Te nel profondo del mio cuore, O TU che abiti nel profondo del mio cuore, PADRE, FIGLIO, SPIRITO SANTO, SORGENTE ETERNA DELLA VITA NELLA COMUNIONE ETERNA DELL AMORE: ogni LODE, ONORE e GLORIA nei secoli dei secoli da tutti coloro che Ti amano e Ti seguono nella VIA DEL RITORNO alla Patria Celeste. Amen
Mosè, tra Aronne e Cur, prega per il suo popolo: la potenza della preghiera ( Es. 17,8-16).
Un giovane, Michele Chinellato, morto di leucemia all'Ospedale di Vicenza il 21 luglio 1986, a ventidue anni di età, ha scritto, in forma di Diario, delle preghiere che rivelano la maturità raggiunta nel Cammino della sua VITA SPIRITUALE. Sono preghiere che riecheggiano la Parola di Dio, i Salmi, di cui si nutre sempre l'anima che si impegna nel Cammino dello Spirito. In questa preghiera, che riportiamo, sgorgata veramente dal cuore, Michele esprime la più consolante delle verità: Dio è il nostro invisibile Amico, che vive sempre con noi. Per questo Egli stesso ha voluto chiamarsi l'EMMANUELE, che significa : IL DIO CON NOI. Nella misura in cui tu ti affidi a Lui mediante la preghiera, che alimenta la fede, percepisci la sua presenza accanto a te "qui" e "ora", ossia in ogni istante ed in ogni situazione della tua vita. Anche per te allora si avvera l'esperienza "trasfigurante" della fede: Per questo Egli stesso ha voluto chiamarsi l'EMMANUELE, che significa : IL DIO CON NOI. Nella misura in cui tu ti affidi a Lui mediante la preghiera, che alimenta la fede, percepisci la sua presenza accanto a te "qui" e "ora", ossia in ogni istante ed in ogni situazione della tua vita. Anche per te allora si avvera l'esperienza "trasfigurante" della fede: nelle prove e nelle sofferenze Lui ti dona Forza, nell'angoscia e nella solitudine Lui ti offre Sicurezza, nel cuore sempre Gioia e Pace e per il futuro la Speranza. Ti sale perciò spontanea dal cuore quella dolce parola: GRAZIE! CON TE ACCANTO, SIGNORE, SONO FELICE. E quando, è sera, mi accorgo, o Signore, che è bello vivere con Te vicino, con Te che accompagni e muovi ogni mio passo. Con Te vicino non avrò più paura e mai smetterò di stupirmi del tuo perdono infinito. Ogni mia speranza, ogni mia gioia è riposta in Te. E' bello, Signore, averti vicino! Sapere che Tu ci sei, anche quando io mi allontano da Te. So che sarai Tu a sollevare il mio capo, chino nella vergogna per non averti obbedito. E' bello, Signore, troppo bello essere dalla tua parte, con Te, per Te, essere in Te, poter scrivere lodi finché la carta è l'inchiostro finisce, finché la mano, stanca di scrivere, non si ferma, per poi riprendere, frenetica, a segnare le parole che passano davanti a me, non come un placido fiume, ma come un turbolento ruscello, torrente di montagna, che con la sua onda scavalca altre onde, sovrapponendosi confusamente, ma ricco di gioia infinita. E' bello, Signore, sapere che tu ci sei.

domenica 25 settembre 2011

Capire la Santa Messa - XIV Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:
 

CAPIRE LA MESSA
N° 14

CREDO IN UN SOLO DIO
 
La fede del nostro battesimo
 
All’invito del celebrante, ci alziamo in piedi per proclamare la nostra fede. Alzarsi in piedi è segno di resurrezione. noi crediamo che è il Signore che ci dà la vita, ci rialza e ci resuscita. Proclamato la domenica, giorno della resurrezione, il Credo ci collega al nostro Battesimo, a questo giorno al quale siamo morti e resuscitati col Cristo. Prima di essere battezzati, i catecumeni o i genitori dei bambini piccoli proclamano la professione di fede in un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Nella messa domenicale, rinnoviamo la nostra professione di fede battesimale, con la triplice interrogazione della liturgia del Battesimo oppure con uno dei due simboli che sintetizzano tutta la fede della Chiesa. Ci sono infatti due formulazioni del Credo, che noi chiamiamo simboli, secondo il significato antico di questa parola come formula che permette di riconoscere ciò che è condiviso da tutti. Il primo, denominato comunemente Simbolo degli Apostoli, è più breve e risale al III secolo. Il secondo, più elaborato, è un testo dogmatico proveniente dai concili ecumenici di Nicea (325) e di Costantinopoli (381). Questo secondo simbolo comincia con l’affermazione “Credo in solo Dio”: noi crediamo appunto in un solo Dio (e non in tre dei….), il quale è comunione, relazione, Padre, Figlio e Spirito Santo.

Credo in un solo Dio, Padre onnipotente
 
“Credo in un solo Dio, Padre”. Dio è Padre. Questa intuizione si trova già nell’Antico Testamento e in altre religioni, del resto. Ma è Gesù che ci rivela la vera paternità di Dio e che in Dio c’è una relazione Padre-Figlio. Egli ci trascina in questa filiazione, consentendoci di diventare, alla sua sequela, i figli e le figlie diletti del Padre. Dio ci ama come un padre e come una madre¹.
(¹-Perché così dice il Signore: [….] “sarete portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. Come una madre consola il figlio, così io vi consolerò”).
Egli è la fonte, l’origine di ogni amore. In effetti solo il Padre non ha avuto bisogno di essere amato per poter amare, dal momento che noi non possiamo amare, e neppure vivere, se non siamo stati prima amati.
“Padre onnipotente”. Questo termine suona male alle nostre orecchie, evocando un dispotismo, una forza cieca, una dominazione opprimente. Perché non enumerare altri attributi di Dio come, per esempio, la sua bontà, la sua misericordia, e prima di tutto l’amore di cui abbiamo appena parlato? Dobbiamo capire bene questa onnipotenza di Dio: essa è universale, perché Dio ha creato tutto, e amorosa, perché Egli si prende cura di tutti noi. Questa onnipotenza è anche misteriosa, perché passa attraverso l’abbassamento volontario di suo Figlio. In altri termini, essa non si manifesta come ci si aspetterebbe, rispettoso della nostra libertà, Dio non impedisce il male, ma la sua potenza si esprime nella sua capacità di trasformare il male in un bene più grande. “Creatore del cielo e della terra” (Gn 1,1)²
[²-Ciò non vuol dire che il mondo è stato creato esattamente come lo racconta la narrazione poetica della Genesi. Si sono troppo a lungo opposte le scoperte scientifiche, con la teoria dell’evoluzione dal big bang, al racconto biblico. La Bibbia non ci dice come sono il cielo e la terra sono stati creati, ma perché c’è qualcosa piuttosto che niente, e per che cosa, a quale scopo, con quale finalità].
Noi confessiamo che questo mondo nel quale viviamo, con tutta la sua complessità, non è il frutto del caso ma l’opera di Dio. Questo è ciò che gli conferisce il suo significato, la sua grandezza, la sua dignità. Al vertice della creazione egli ha creato l’uomo e la donna, esseri di relazione a sua immagine.
“Di tutte le cose visibili e invisibili”. Questa espressione designa la totalità della creazione, non soltanto il mondo che vediamo, ma anche le realtà invisibili, le creature spirituali, gli angeli che attorniano Dio.

E in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore
 
“Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio”: questa è l’affermazione centrale della nostra fede cristiana; questo uomo, Gesù che ha vissuto in Palestina duemila anni fa, è il Cristo, il Figlio di Dio, e Dio egli stesso. Come potrebbe quest’uomo invitarci a seguirlo, chiederci di preferirlo a tutti gli altri, affermare: “Io sono la via, la verità e la vita” (gv 14, 6) e prometterci la salvezza se non fosse Dio? Eppure questa divinità è stata fortemente contestata già nei primi secoli, praticamente dall’arianesimo³ che ha profondamente diviso la chiesa. Per ristabilire l’unità, l’imperatore Costantino convocò un concilio a Nicea nel 325 che condannò la dottrina di Ario e adottò una prima formulazione della fede cristiana che sarebbe diventata il Credo. Il concilio affermò solennemente la divinità di Cristo: “della stessa natura del Padre”, Egli è “consustanziale” al Padre, cioè della stessa natura divina. Ma la crisi dell’arianesimo continuò nonostante tutto. Essa si risolse con il concilio di Costantinopoli (381), convocato anch’esso da un imperatore (Teodosio). Questo secondo concilio formulò chiaramente la divinità di Cristo quale noi la proclamiamo nel Credo: 
 
[³- Per Ario, prete di Alessandria (280-336), il Verbo non era che una creatura, certamente eccezionale, che Dio avrebbe adottato come suo figlio. Questa dottrina ha sedotto moltissimi cristiani, e anche alcuni vescovi, che pensavano così di ristabilire l’unità di Dio, non riuscendo a concepire che Egli sia nello stesso tempo uno e trino.]
 
“Nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero. Generato, non creato, della stessa sostanza del padre; per mezzo di Lui tutte le cose sono state create”. Come comprendere questa formula? La generazione descrive questa relazione di paternità e di filiazione che c’è in Dio. Ma contrariamente a noi che, al momento della nostra generazione da parte dei nostri genitori, siamo stati creati (perché non esistiamo prima se non nel progetto d’amore di Dio), il Cristo, generato, cioè figlio del Padre, non è stato creato perché egli è Dio ed esisteva presso il Padre da sempre. “Per noi uomini, e per la nostra salvezza, discese dal cielo”. Vero Dio, il Figlio si è incarnato ed è divenuto vero uomo. E’ per noi che il Cristo si è fatto uomo, per salvarci, per farci partecipe alla sua vita divina”. E per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”. Anche questa è una confessione essenziale della nostra fede. Se Gesù non fosse stato concepito di Spirito Santo, come attestano le Scritture, Egli non sarebbe Dio. “Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto” Gesù fa liberamente dono della sua vita per ciascuno di noi. Come disse un antico concilio (nell’853): “Non c’è, non c’è stato e non ci sarà alcun uomo per il quale Cristo non abbia sofferto”. Il Simbolo degli Apostoli aggiunge che il Cristo è sceso agli inferi”. Che cosa vuol dire questa espressione? Il Cristo è andato all’inferno? Nella Bibbia , come presso i greci, gli inferi designano il soggiorno dei morti, lo sheol o l’ade. Gesù, veramente morto, vi è disceso ma come Salvatore, al fine di liberare tutti i giusti che attendevano il loro liberatore. “Il terzo giorno è resuscitato, secondo le scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre”. La resurrezione è il cuore della nostra fede cristiana. Se il Cristo non è resuscitato, dirà S. Paolo, la nostra fede non vale niente e “noi siamo i più infelici di tutti gli uomini”, e di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti; e il suo regno non avrà fine”. Questa è la parusia – parola che significa presenza o arrivo – di Cristo del quale noi attendiamo il ritorno, come cantiamo nell’anamsi: “attendiamo il tuo ritorno nella gloria”.

Credo nello Spirito Santo
 
Nella terza parte del Credo, affermiamo la nostra fede nello Spirito Santo che è all’opera nella chiesa. Nei primi secoli del cristianesimo, anche la divinità dello Spirito Santo è stata messa in discussione. Una dottrina scettica insinuava che non sarebbe di fatto che una creatura di Dio, un angelo migliorato. Le risposte teologiche di S. Basilio di Cesarea e di S. Gregorio di Nazianzo hanno permesso l’elaborazione del Credo di Nicea-Costantinopoli. “credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita”. Noi confessiamo che lo Spirito è Santo per natura. E’ Signore allo stesso titolo del Padre e del Figlio. Egli comunica la vita divina. Con questa professione di fede, noi riconosciamo la divinità dello Spirito Santo. “E procede dal Padre e dal Figlio”. E’ lo Spirito del Padre e del Figlio, la personificazione dell’amore del Padre e del Figlio; in altri termini, è l’amore reciproco del padre e del Figlio che fa “procedere” lo Spirito d’amore. E’ un po’ come una coppia che potrebbe parlare del suo amore che è nato in tale circostanza, che è cresciuto ed è sbocciato, come se fosse una persona. “Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato”. Partecipando della medesima divinità, lo Spirito Santo è glorificato e adorato come il Padre e il Figlio. “E ha parlato per mezzo dei profeti”. Lo Spirito Santo non parla direttamente, ma fa parlare, ispira i profeti e i santi di ogni epoca. Ancor oggi, Egli abita nei nostri cuori, nel più intimo di noi stessi, ci unisce a Cristo e ci conduce al Padre.

“Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica”
 
Pensiamo veramente ciò che proclamiamo? Diciamo che la Chiesa è una, e tuttavia essa è profondamente divisa. Affermiamo che essa è santa, ma non è ciò che dicono i giornali. Proclamiamo che essa è cattolica; e allora come guardare ai nostri fratelli ortodossi e protestanti…..; crediamo infine che essa è apostolica; ma cosa significa questa definizione? Questo è il paradosso della Chiesa: essa è nello stesso tempo santa e peccatrice, tutta spirituale e talmente umana. Da un lato, essa è santa e pura, perché nata nel cuore del Padre, istituita dal cristo e animata dallo Spirito Santo. Nello stesso tempo, la Chiesa non è perfetta, perché composta di uomini e di donne peccatori (come noi) che le danno un aspetto che non è sempre splendente….. Si sognerebbe una Chiesa senza difetti. Ma noi avremmo ancora un nostro posto in Chiesa formata unicamente da persone “perfette”? la Chiesa è l’assemblea dei peccatori chiamati alla santità. “La chiesa è una”, perché è il corpo di Cristo che non può essere diviso. Unità non vuol dire uniformità. A immagine della Trinità è una nelle diversità delle tre Persone, la chiesa vive della grande diversità di popoli, di culture, di spiritualità. “La grande ricchezza di questa diversità non si oppone all’unità della Chiesa. Tuttavia, il peccato e il peso delle sue conseguenze minacciano senza sosta il dono dell’unità”. E’ per questo che è necessario progredire verso l’unità secondo il desiderio di Cristo: “Tutti siano uan sola cosa” (Gv 17,21). “la Chiesa è santa”. Essa è unita a Cristo Santo che la santifica. Il suo scopo è di condurre tutti i suoi membri alla santità. Maria, la tutta Santa, è il prototipo della Chiesa che ha già raggiunto la perfezione. “La Chiesa è cattolica”. Cattolico significa “universale” nel senso di “secondo la totalità” o “secondo l’integralità”! la Chiesa è cattolica perché in essa è presente il Cristo, e perché il Cristo la invia in missione a tutti i popoli: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19). “La Chiesa è apostolica”, perché è fondata sugli apostoli, testimoni scelti e inviati dal cristo stesso. Essa custodisce e trasmette l’insegnamento e le parole intese dagli apostoli, e continua ad essere ammaestrata, santificata e governata dai successori degli apostoli che sono i vescovi, assistiti dai presbiteri, in unione con il Papa, successore di Pietro. “credo nella comunione dei santi”. La Chiesa non è soltanto il popolo di Dio “in cammino” sulla terra: essa è formata anche da tutti coloro che ci hanno preceduto, dai beati del cielo che intercedono per noi e dai defunti che sono nella grande Purificazione e per i quali noi preghiamo. Siamo in profonda comunione gli uni con gli altri.

“Credo la resurrezione della carne e la vita eterna”

“Professo un solo Battesimo per il perdono dei peccati”. Il Battesimo è il primo e principale Sacramento del perdono dei peccati, perché ci unisce a Cristo morto per i nostri peccati, risorto per la nostra purificazione, affinché “anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). Ma noi sappiamo che continuiamo a peccare dopo il Battesimo. Il Cristo ha conferito ai suoi Apostoli il suo stesso potere divino di perdonare i peccati! Noi crediamo alla “remissione dei peccati”, al sacramento della riconciliazione che ci permette di ricevere efficacemente il perdono di Dio inaugurato per noi il giorno del nostro Battesimo. “Aspetto la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”. Nel Simbolo degli Apostoli, precisiamo che noi crediamo “alla resurrezione della carne”, cioè che i nostri corpi riprenderanno vita. State tranquilli, questi saranno dei “corpi gloriosi”: saranno sempre i nostri, ma non sfigurati dalla vecchiaia, dalla disabilità, dalla malattia. A immagine del Cristo risorto: era proprio Lui con il suo corpo, ma si faceva fatica a riconoscerlo, e le porte chiuse a chiave non gli impedivano di raggiungere i suoi discepoli (Gv 20,19). Resuscitati, noi entriamo nella “vita eterna”. La vita eterna ci farà partecipe alla vita stessa di Dio ed entrare nello scambio amoroso delle tre persone divine. “L’eternità è lunga, soprattutto verso la fine….”, diceva un umorista. Anche in così buona compagnia, non si rischia di stancarsi, di trovare il tempo un po’ lungo come in una liturgia che non finisce più? Non dimentichiamo che, nella vita eterna, noi non saremo più nel tempo, non subiremo più il tempo che passa, ma saremo nell’eternità di Dio. L’eternità è come uno stupore che non finisce mai.

giovedì 22 settembre 2011

Itinerari di fede - X appuntamento

Torniamo a meditare attraverso il nuovo percorso ricco di diversi itinerari, sempre scritti dalla mano di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia (ringraziamo sempre Enza per l'opera non facile di trascrizione), concernenti ora la vita spirituale:

LA VITA SPIRITUALE (PARTE PRIMA)

Penso che nulla affascini tanto l'uomo mentre vive sulla terra quanto il MISTERO. E quando si dice MISTERO, si dice DIO. L'uomo si sente immerso nel Mistero ed è potentemente attratto dal Mistero, il quale non si può ridurre negativamente ad una VERITÀ che mai potremo comprendere. È, in positivo, la Verità che non finiremo mai di scoprire. È la VITA; SORGENTE di ogni vita, nella quale mai finiremo di immergerci... Il salmo lo esprime in maniera insuperabile: " È in TE la sorgente della vita, nella Tua Luce vediamo la luce" (Sal. 15,10)
Veramente Dio ha creato l'uomo come "Sua Immagine e Somiglianza Vivente", imprimendo in lui indelebilmente lo "stampo" di Se Stesso. Tutte le sue facoltà (intelligenza, volontà, cuore, coscienza) sono orientate a Dio e solo in Lui raggiungono il loro compimento e si sentono pienamente appagate. S. Agostino lo ha espresso magistralmente: "Signore, TU ci hai fatto per TE, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in TE”. Ogni essere umano ricerca in ogni istante come fine della propria vita una cosa sola: la Felicità.
 
DIO È FELICITA', BEATITUDINE PIENA ED ETERNA Per conseguenza, l'uomo si realizza nella misura in cui si lascia attrarre da Dio. Perciò mi ha sempre affascinato la VITA SPIRITUALE: perché essa risponde a quella "NOSTALGIA DI DIO", che cova nel cuore umano come un braciere vivo sotto la cenere, tracciandoci l'itinerario per entrare gradualmente in comunione con LUI. Senza questa premessa, non è possibile capire tutto ciò che andremo dicendo sulla Vita Spirituale nelle riflessioni che settimanalmente vi proporrò.
"Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, Io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Ap. 3,20). LA VITA SPIRITUALE ci aiuta ad aprire questa porta...
Preziose sono le indicazioni che ci vengono da un "mistico" indiano: "Non affannarti a cercare Dio: non ha indirizzo, non ci sono mappe o cammini che conducono a Dio. Nessuno mai arriva a Dio, ma è Dio stesso che quando tu sei pronto, ossia quando sei completamente recettivo, bussa alla tua porta. È Lui che viene a cercarti". (B.S. Rajneesh).Tu sei completamente recettivo quando ti accogli come dono e, nella piena verità del tuo essere creaturale, spalanchi la mente e il cuore al MISTERO, che ti penetra e ti circonda...
• Le affermazioni sono sempre suffragate dalla BIBBIA, che è la SORGENTE INESAURIBILE della VERITÀ RIVELATA, dalla vita dei Santi e dall'esperienza di Maestri nel Cammino dello Spirito.
• Per leggerlo proficuamente, bisogna rientrare in se stessi, disporsi in un clima di silenzio che si apre all'ascolto, al confronto, alla preghiera.
Dobbiamo tenere sempre presente, però, che le VISI¬TE DI DIO sono IMPRE-VEDIBILI e GRATUITE. Non dipendono dai nostri meriti, ma ci vengono concesse soltanto per Grazia dallo Spirito Santo.
"Quando tu cerchi la VERITÀ è Dio che cerca te". "Tu mi hai fatto senza fine, secondo il tuo piacere. Tu vuoti e rivuoti questo fragile vaso, e sempre lo colmi di novella vita. Per monte e per piano hai portato con Te questo piccolo flauto di canna, e sempre vi spiri melodie eternamente nuove. Quando mi sfiorano le tue mani immortali, il mio piccolo cuore si smarrisce dalla gioia e ne sgorgano parole ineffabili.
Passano le età: Tu continui a versare e sempre c 'è da riempire. Su queste mie piccole mani piovono i tuoi doni infiniti. Quando mi comandi di cantare, il mio cuore par che soffochi dall'orgoglio; guardo il tuo viso e mi vengono le lacrime agli occhi. Tutto quel che vi è di aspro e di discorde nella mia vita, si fonde in un'unica, dolcissima armonia: e la mia adorazione apre le ali come fa l'uccello felice quando traversa a volo il mare". (Tagore).
“Tu eri dentro di me e io ti cercavo fuori” (S. Agostino, Le Confessioni)
La forza propulsiva della nave è "nascosta", sommersa nell'acqua. La carica vitale che irradia tutte le tue azioni, che dà valore e senso a tutta la tua vita, esce dal tuo cuore ed è la tua INTERIORITA '. Perciò custodiscila e coltivala.
La scoperta "folgorante" di Dio, che senza dubbio è la scoperta più esaltante nella vita di una persona, ha fatto capire a S. Agostino che la VIA per incontrarlo PASSA PER IL CUORE, meglio dire: E' DENTRO IL CUORE. Un mistico orientale definisce così il "CUORE": "La sorgente vitale, oscura e profonda, da cui scaturisce tutta la vita psichica e spirituale dell'uomo e attraverso la quale l'uomo si avvicina e comunica con la Sorgente stessa della vita" (E. Bhr-Sigel).
Dio lo potrai trovare al di fuori di te soltanto dopo ti sei disposto ad incontrarlo in te, perché tu sei il suo TEMPIO VIVENTE. Il grande maestro di vita spirituale e grande mistico S. Bernardo te lo esprime con grande forza. "Dovunque ti trovi, prega dentro di te. Se ti trovi distante dalla Chiesa, non andare lontano alla ricerca di un luogo di preghiera, perché tu stesso sei quel luogo. In qualunque posto tu sei, prega perché lì è il tuo tempio e il tuo Dio"...
Il primo che te lo dice, però, e te lo dice come Lui solo sa dirtelo, è Gesù. "Tu, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà" (Mt. 6,6). La CAME-RA, che ti isola in un rapporto personale con il Dio Vivente, è il tuo CUORE. Non c'è luogo, neanche la Chiesa, che possa metterti in comunicazione con Dio, se tu lo tieni lontano dalla tua mente e dal tuo cuore. Quando si dice VITA SPIRITUALE, si dice, dunque, VITA INTERIORE. Ogni persona fa l'esperienza che la propria vita ha due dimensioni nettamente diverse: la dimensione DENTRO DI SE'=VITA IN PRO-FONDITÀ; la dimensione FUORI DI SE'=VITA IN SUPERFICIE.
 
La VITA FUORI DI SE' o VITA ESTERIORE è fatta di calcolo, di pensiero, di efficientismo, di distrazione verso le mille cose che attirano. La VITA DENTRO DI SE' o VITA INTERIORE viene, invece, "costruita" da ciascuno secondo le qualità dei rapporti, delle scelte, delle motivazioni e degli orientamenti che dà alla propria esistenza, in ordine a quello che percepisce come il BENE SUPREMO. Questo si riassume in una sola parola: AMORE. "Dimmi Chi o che cosa ami e ti dirò chi sei" (S. Agostino)

 La VITA SPIRITUALE non può crescere e svilupparsi senza l'impegno, la volontà e la ricerca di Dio. I mezzi per coltivare la VITA SPIRITUALE sono la riflessione, la meditazione, la preghiera, l'esame di coscienza, il confronto costante con la PAROLA di DIO. L'uomo, però, con le sue sole forze, non può raggiungere il traguardo della VITA SPIRITUALE, che è la comunione piena con Dio. Ha bisogno della GRAZIA DIVINA, che gli viene donata dal Padre in CRISTO, suo Figlio, mediante i Sacramenti della Chiesa. In una parabola del Vangelo Gesù ci parla del TESORO NASCOSTO. In questo possiamo raffigurare la VITA SPIRITUALE. Come il tesoro è ben sotterrato nel campo, così Dio - IL VERO TESORO DELLA TUA VITA - si cela nel più intimo del tuo cuore, sempre in attesa che tu voglia affacciarti fino a quelle profondità. Ti attende per incontrarti lì. Se tu non vendi quello che possiedi, ossia se non ti spogli del tuo egoismo e non "scavi" in te stesso, non troverai il TESORO. Un'altra immagine: la VITA SPIRITUALE è come la radice della pianta: non si vede, ma è la parte più necessaria. Come la radice attinge dal terreno sempre linfa nuova per nutrire la vita della pianta, così la persona attinge dal cuore la linfa che rinnova tutto il suo essere. Nel suo sviluppo la VITA SPIRITUALE segue il dinamismo della crescita umana, che tende progressivamente alla sua maturazione. Possiamo sintetizzare questo processo in tre principi:
 
1. DI INTERIORIZZAZIONE: l'uomo, nel Cammino Spirituale, con il passare degli anni, si fa sempre più riflessivo. Anche se attratto dal mondo che lo circonda, dà sempre meno ascolto alle parole che gli giungono dall'esterno, mentre ascolta sempre più i messaggi che gli giungono dal di dentro. Tende, cioè, ad interiorizzare e unificare la propria vita. In questo itinerario, la Parola di Dio diventa il suo costante punto di riferimento: "Lampada per i miei passi è la tua Parola, Luce sul mio cammino" (Sal. 119,05).
 
2.DI SPOGLIAZIONE: il veloce alternarsi delle stagioni, lo scorrere implacabile del tempo, tolgono gradualmente all'uomo le sue false sicurezze, la sua prestanza fisica, l'influsso sociale. Quando la morte si fa più vicina della nascita, le prove dell'esistenza fanno sentire all'uomo che è "un soffio" che passa: "L'uomo è come un soffio che va e non ritorna" (Sal. 77,39)... Avverte sempre più acutamente la sua precarietà e fugacità in questo mondo, che lo sta portando verso la sua spogliazione totale e radicale. "Nudo uscii dal seno di mia madre e nudo vi ritornerò" (Gb. 1,21).
 
3. DI ESSENZIALITÀ: il passeggero e il caduco fanno sempre meno presa su di lui. Aderisce sempre più alle cose che non deludono e che non tramontano. Egli tende a trattenere soltanto ciò che ha sapore di eternità, perché si rende conto con S. Paolo che:" Le cose VISIBILI sono DI UN MOMENTO, quelle INVISIBILI sono ETERNE" (2 Cor. 4,18)
 
La VITA SPIRITUALE infatti si proietta come DIMENSIONE DEFINITIVA OLTRE LA MORTE e dà perpetuità e stabilità all'Edificio Interiore. La MORTE, vista in questa prospettiva, diventa la VERA NASCITA dell'uomo. Mentre la VITA FISICA è sottoposta ad un progressivo ed inevitabile disfacimento, la VITA SPIRITUALE cresce di giorno in giorno. A conclusione di questo tema così essenziale per orientare e dare senso alla nostra vita "sempre in fuga", non possiamo non sottolineare il valore del SILENZIO, condizione indispensabile per poter percepire la PRESENZA di Dio Siediti ai bordi del SILENZIO, Dio ti parlerà ". "Le anime si pesano nel SILENZIO come l'oro e l'argento si pesano nell'acqua pura e le parole che pronunciamo non hanno peso che grazie al SILENZIO in cui sono immerse" (Maurice Maeterlinck).
Solo nel SILENZIO la verità di ciascuno si ricompone, mette radici. Solo nel SILENZIO la preghiera" rigenera" l'uomo, lo guarisce dalla propria colpa. Il Maestro sommo della VITA SPIRITUALE, S. Giovanni della Croce, nella pagina stupenda che riportiamo, ci mostra, come il SILENZIO è il "custode" di tutte le virtù, lo scrigno prezioso che "protegge" la VITA SPIRITUALE nel suo sviluppo.
 
"Tacere di sé è UMILTÀ tacere i difetti altrui è CARITÀ tacere parole inutili è PENITENZA tacere a tempo e a luogo è PRUDENZA: tacere nel dolore è EROISMO. Saper parlare è un vanto di molti Saper tacere è una SAGGEZZA di pochi saper ascoltare una GENEROSITÀ di pochissimi.

domenica 18 settembre 2011

Capire la Santa Messa - XIII Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:

Il vangelo e l’omelia
N° 13

Il Vangelo, buona novella di Cristo.

Vangelo vuol dire: “buona novella”. Troviamo questa espressione nelle parole dell’angelo ai pastori: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2,10-11). La buona novella è la nascita del Salvatore. Gesù sarà non soltanto il messaggero di questa buona novella. La sua persona stessa è la buona novella. Quando leggiamo i vangeli non è ai libri che ci attacchiamo, ma a colui che è “il Vangelo”, la buona novella: il Cristo. I vangeli sono un mezzo per conoscerlo, il mezzo migliore che abbiamo, perché essi costituiscono la testimonianza per eccellenza sulla sua vita e sul suo insegnamento. Con il Vangelo, è il Cristo stesso che parla alla sua chiesa. La sua lettura sarà dunque più solenne delle altre: “La liturgia stessa insegna con i suoi riti che la lettura del vangelo deve essere circondata dal più grande rispetto. Questa è accompagnata, in effetti, da parecchi segni di onore: occorre un ministro speciale, che si prepari alla sua funzione, chiedendo una benedizione o facendo una preghiera; i fedeli esprimono con le loro esclamazioni che voglio ascoltare proprio il Cristo come se fosse presente, ed è per questo che essi ascoltano stando in piedi; infine il libro dei vangeli è esso stesso oggetto di segni particolari di venerazione”.

Il canto dell’Alleluja
 
Cominciamo con l’alzarci in piedi, un po’ come una volta nelle classi ci si alzava in piedi all’ingresso del professore o del direttore. Rimanendo in piedi durante questa lettura manifestiamo la nostra grande venerazione per Gesù, per le sue parole e per tutto ciò che egli ha fatto.

Cantiamo l’Alleluja
 
E’ un’acclamazione ebraica che significa “lodate il Signore” e che ci invita alla lode. Questa acclamazione si trova all’inizio e alla fine dei salmi di lode (145-150). E’ anche il canto degli angeli e dei santi nell’apocalisse: “udii poi come una gran voce di un’immensa folla simile a fragore di grandi acque e a rombo di tuoni possenti, che gridavano: “Alleluja. Ha preso possesso del suo regno il signore, il nostro Dio, l’Onnipotente. Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché sono giunte le nozze dell’Agnello, la sua Sposa è pronta”. (19,6-7). Questo canto è un grido di gioia, un urlo: con l’Alleluia, noi acclamiamo in anticipo Dio che ci sta per parlare per mezzo del suo Figlio. Durante il tempo di Quaresima, non si canta l’Alleluia, che faremo risuonare nella veglia pasquale. Lo sostituiamo con un’altra acclamazione, come “gloria e lode a te, Signore Gesù” oppure con un versetto di un salmo: “La tua parola, Signore, è verità e la tua legge liberazione”.

La benedizione o la preghiera del ministro ordinato
 
La lettura liturgica del Vangelo è di una tale importanza che essa è riservata ad un ministro ordinato (vescovo, presbitero o diacono): configurato a Cristo dal sacramento dell’ordine, egli attesta davanti all’assemblea che questa parola non è una parola ordinaria, ma che per mezzo della sua voce, il cristo vivente si rivolge alla sua chiesa. Il diacono è stato ordinato a servizio della Parola; è a lui che spetta leggere il Vangelo. (Al momento dell’ordinazione diaconale, il vescovo gli ha consegnato solennemente il libro dei vangeli dicendogli: “ricevi il vangelo di Cristo che hai il compito di annunciare. Sii attento a credere alla parola che leggerai, a insegnare ciò che avrai creduto, a vivere ciò che avrai insegnato”). Il diacono si avvicina per chiedere la benedizione del vescovo o del presbitero. Questa sarà data a voce bassa. Che cosa mai potranno dirsi? Ecco il testo del messale: il diacono chiede al celebrante: “Benedicimi, o padre”. Questi lo benedice dicendo: “il Signore sia nel tuo cuore e sulle tue labbra perché tu possa annunziare degnamente il suo vangelo, nel nome del padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Il diacono risponde: “Amen”. Questa benedizione mostra l’importanza della lettura del vangelo. Quando è il presbitero stesso a leggere il vangelo, anch’egli chiede al Signore di purificarlo affinché possa leggere degnamente il vangelo. Inchinandosi davanti all’altare, a voce bassa dice: “Purifica il mio cuore e le mie labbra, Dio onnipotente, perché possa annunziare degnamente il tuo Vangelo”.

La processione del Vangelo
 
I ministranti che portano l’incenso e le candele, accompagnano il ministro che prende l’evangelario, il libro dei Vangeli riccamente decorato. Essi si dirigono tutti in processione all’ambone dove il ministro leggerà il Vangelo.

La proclamazione del Vangelo
 
La proclamazione è preceduta dal dialogo: “Il Signore sia con voi—E con il tuo spirito”. Poi il ministro annuncia: “Dal Vangelo secondo San Giovanni”. Noi rispondiamo: “Gloria a te, o Signore”. Questa risposta è una confessione di fede: noi riconosciamo che è il Signore che sta per parlarci.

Le tre croci
 
A questo punto, il ministro segna con un piccolo segno di croce l’inizio del brano che leggerà, e si segna egli stesso sulla fronte, sulla bocca e sul petto; tutti fanno lo stesso. Che cosa significa questo gesto? (sarebbe assurdo farlo senza sapere il perché…..). Noi chiediamo al Signore che la sua Parola, venga a toccare la nostra intelligenza, la nostra bocca e il nostro cuore, perché possiamo comprenderla e inscriverla nel più profondo dei nostri pensieri e proclamarla con sapienza e con tutta la nostra vita, ma soprattutto custodirla gelosamente nel nostro cuore a immagine di Maria che “serbava tutte queste cose nel suo cuore” (Lc, 2-51).tracciando queste tre piccole croci su di noi, possiamo dire interiormente: “Signore, che io comprenda bene la tua Parola, che possa proclamarla e possa custodirla nel mio cuore”.

La lettura del Vangelo
 
Comincia allora la lettura o il canto del Vangelo, che è proclamato, come si deve, con la più grande cura. Durante questa proclamazione, il vescovo prende il suo pastorale per significare che la sua autorità pastorale è legata al Vangelo di Cristo. L’evangelario è incensato in segno di venerazione. Durante la lettura, il turiferario fa oscillare il suo turibolo fumante, ciò che simbolizza nello stesso tempo l’onore divino dovuto al Vangelo, e il modo in cui il buon profumo di Cristo si diffonde nel cuore dei credenti e nel mondo intero.

L’acclamazione del Vangelo
 
Quando la lettura è terminata, colui che ha letto il Vangelo, canta o dice: “Parola del Signore”, e tutti rispondono: “ Lode a te, Signore Gesù”. E’ ancora una professione di fede: noi riconosciamo che è Gesù stesso che ci ha parlato.

Bacio dell’evangelario
 
E’ il secondo bacio della messa. Il ministro venera il Vangelo in segno di rispetto, poi porta l’evangelario al vescovo perché anche lui lo baci. Facendo questo gesto, i ministri ordinati dicono: “La Parola del Vangelo cancelli i nostri peccati”. 

Omelia
 
Quindi ci sediamo per ascoltare l’omelia o la predica. Omelia viene dal greco homilia che vuol dire “riunione”, “incontro in società”, “conversazione familiare”. Lo scopo è chiarissimo: spiegare, attualizzare, rendere accessibile a tutti la Parola di Dio che è stata appena proclamata. Noi conserviamo come esempio la folgorante omelia di Gesù a Nazaret: “Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi” (Lc 4,21). Non si tratta dunque di un discorso di scuola, di un esercizio di eloquenza, di una allocuzione, di una perorazione politica. Non è questo il momento di tenere un corso, una lezione di catechismo o una conferenza. Il predicatore deve prima impregnarsi della Parola per poterne poi parlare come si deve. La preparazione più importante è la preghiera. Il sacerdote scopre presto che è lui stesso il primo a trarre profitto dalle parole che pronuncia in nome di Dio, che è lui il primo a essere “preso di mira” dalle sue stesse esortazioni. Perché una omelia sia buona, è importante che sia ben preparata. Anche un sermone improvvisato richiede una certa preparazione. Un’omelia ci guadagna anche dal non essere troppo lunga…. Un padre del deserto ha detto: “Per fare una buona omelia, occorrono tre cose: un buon inizio, una buona fine, e le due cose il più vicino possibile!”. Quanto ai fedeli, perché vi sia conversazione familiare e anche molto semplicemente comunicazione, sarebbe sufficiente che essi molto semplicemente ascoltassero, e si applicassero a comprendere ciò che il sacerdote vuole loro trasmettere. Come sacerdote, mi accorgo in fretta se c’è un reale ascolto, o al contrario ben poco interesse (come in occasione di certi matrimoni, per esempio). Malgrado le sue imperfezioni, è importante accogliere questa omelia come Parola di Dio per noi. Il tempo di silenzio o di musica che segue l’omelia permette di meditare e di riflettere su ciò che è stato esposto.

domenica 11 settembre 2011

Capire la Santa Messa - XII Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:

CAPIRE LA MESSA
LE LETTURE E IL SALMO
N° 12

La liturgia della Parola: un dialogo tra Dio e noi

Ascoltando le letture e il salmo, restiamo seduti. Questo è un profondo atteggiamento di ascolto, col quale noi siamo, come Maria di Betania: “Seduti ai piedi del Maestro” per ascoltare la sua Parola e lasciarci trasformare da essa. Questo ascolto non è passivo: la liturgia della Parola è uno scambio, una conversazione con Dio che ci parla con le letture e con la bocca del sacerdote, e noi che gli rispondiamo con il canto, con le acclamazioni, con la nostra professione di fede e le nostre preghiere.
† Dio si rivolge a noi con la prima lettura.
L’assemblea risponde a questa Parola con una acclamazione: “Rendiamo grazie a Dio” e con il canto di un salmo (o almeno del suo ritornello)
† Dio ci parla con la seconda lettura.
Dopo l’acclamazione, l’assemblea interviene acclamando in anticipo il Vangelo
L’Assemblea risponde al Vangelo con una acclamazione: “Lode a te, o Cristo. Che sta per essere letto: è il canto dell’Alleluja.
† Il Vangelo è la Parola di Dio per eccellenza, incarnata nel Cristo
† Dio ci parla ancora per bocca del sacerdote. Egli spiega questa Parola di Dio che si rivolge a noi oggi: è l’omelia.
L’assemblea risponde proclamando la sua fede con il Credo, e rivolgendo a Dio le sue domande con le preghiere universali.
Si tratta dunque proprio di un dialogo. Più che a un incontro di ping-pong dove ci si ributta la pallina, la liturgia della Parola può essere paragonata a un dialogo amoroso.

Prima lettura dell’Antico Testamento

La prima lettura del lezionario domenicale è generalmente tratto dall’AT. Questa prima lettura è scelta in funzione del Vangelo: ci prepara a esso e alla nostra meditazione. E’ il Concilio Vaticano II che ha ripristinato la lettura dell’AT nella liturgia.
Perché rileggere l’AT?
Innanzitutto perché l’AT è “Parola di Dio” per noi; Dio ci parla con la storia della salvezza, con i profeti che suscita, e soprattutto con l’Alleanza che ha concluso con il suo popolo. Noi cristiani, che leggiamo l’AT alla luce di Cristo, vi vediamo un’impressionante preparazione della venuta del Salvatore, una rivelazione progressiva che culminerà in Gesù Cristo.
Grandi personaggi dell’AT sono prefigurazioni di Cristo:
Come con Abramo, nostro padre nella fede, con Gesù Dio fa alleanza con noi.
Come Isacco, che il suo padre Abramo non ha esitato ad offrire, Gesù si è offerto per salvarci.
Come Giuseppe, figlio di Giacobbe, Gesù è stato tradito dai suoi fratelli e ha dato loro il suo perdono.
Come Mosè, inviato da Dio per liberare il suo popolo dalla schiavitù, Gesù è stato inviato per liberarci dalla morte.
Come Davide, il giovane re vittorioso sul gigante Golia, Gesù trionfa sul male.
Come Giona, prigioniero per tre giorni e tre notti nel ventre della balena, Gesù è stato trattenuto dalla morte per tre giorni.
Ci sono anche le profezie “messianiche” che si realizzeranno in Gesù, come l’annuncio della sua nascita a Betlemme (Mic 5,1), i canti del servo sofferente (Is 53), ecc. Ci sono infine gli avvenimenti fondativi, come l’Esodo e il pasto di Pasqua, che sono le fondamenta di ciò che compirà Gesù. La lettura della prima alleanza ci fa entrare ci fa entrare nella storia della nostra salvezza. Per comprendere le parole di Gesù nel Vangelo, bisogna conoscere ciò che l’ha preceduto e annunciato. Gesù stesso lo ha detto chiaramente: “Non pensate che Io sia venuto ad abolire la Legge o i profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento” (Mt 5,17). Reciprocamente, la conoscenza di Cristo ci permette di comprendere meglio gli scritti della prima Alleanza. Noi riconosciamo questa Parola come ispirata, come proveniente da Dio. Esprimendo la nostra riconoscenza al Signore che ci parla, rispondiamo: “ Rendiamo grazie a Dio”.

Il salmo responsoriale

Rispondiamo a questa Parola di dio con il salmo chiamato giustamente “Responsoriale”. Questo è scelto in funzione della prima lettura, come una eco della Parola di Dio che è stata appena ascoltata. E’ dunque importante che l’assemblea possa cantare il salmo o almeno il ritornello, chiamato antifona, che generalmente è un versetto di questo salmo. Questa è la lode o la supplica dell’assemblea in risposta alle meraviglie compiute dal Signore. La parola greca salmo significa “azione di tirare o di toccare una corda per farla suonare”, in riferimento a Davide, il “salmista” per eccellenza, dal momento che si attribuiscono a lui numerosi salmi e lo si rappresenta con un’arpa in mano. Il salmo presuppone un’esperienza personale profonda che strappa un grido, un lamento, una lode, un canto d’amore. E’ per questo che ci rallegriamo profondamente di ciò di cui facciamo esperienza.
Ci sono dei begli esempi biblici di lode spontanea in conseguenza dell’azione di Dio:
Dopo la traversata del Mar Rosso al tempo dell’<esodo, Mosè, sua sorella Miriam e gli Israeliti celebrano il Signore “che ha gettato in mare cavallo e cavaliere” (Es 15,1-18).
Dopo la nascita di suo figlio Samuele, Anna glorificò Dio perché “la sterile ha partorito sette volte” (1 Sam 2,5).
Dopo esser stato guarito dalla sua cecità, Tobia lodò il Signore che “ricostruirà in te il suo Tempio con gioia” (Tb 13,11).
Anche noi vogliamo rispondere a Dio che ci parla lodandolo, benedicendolo, implorandolo.
A volte, i salmi ci sembrano violenti, troppo bellicosi; si parla di sterminare i cattivi, di annientare gli empi, ecc. Dalla messa o dagli uffici di preghiera sono stati tolti anche i versetti più imbarazzanti. Ma non dimentichiamo che il combattimento spirituale si compie prima di tutto in noi. Nessuno è cattivo dalla testa ai piedi e dal mattino alla sera; invece, in noi c’è una parte che non è totalmente rivolta verso Dio. Quando preghiamo questi salmi, per “cattivi” o “empi” possiamo intendere ciò che c’è di “cattivo” o di “empio” in noi. In questo modo, vogliamochiedere a Dio di combattere questo male che è in noi e di annientarlo. Pregando i salmi, ci uniamo alla preghiera di Cristo e degli Apostoli che, come tutti i buoni Ebrei, sapevano questi testi a memoria e non hanno smesso di meditarli e di utilizzarli. I salmi ci aprono alla comprensione della Bibbia. 

Seconda lettura: “il difficile ma insostituibile Apostolo” 

La grande maggioranza delle seconde letture del lezionario domenicale è tratta dalle epistole di san Paolo. Si tratta di letture continue: durante parecchie domeniche leggiamo degli estratti di una stesa lettera che non hanno dunque un rapporto diretto con le altre due letture. Questa lettura non è sempre molto accessibile. Il fatto di leggere solo gli estratti non ne facilita la comprensione e i sacerdoti stessi esitano a lanciarsi in un commento dell’epistola, quando molto semplicemente non la eliminano…. Più che per altri libri della Scrittura, le lettere degli apostoli guadagnano a essere lette e rilette per intero. Tutta la dottrina di San Paolo è legata alla sua conversione. Diventiamo giusti, cioè santi, per l’iniziativa della greazia divina, e non per mezzo delle opere che ce la meriterebbero. Questa grazia non ci invita alla passività, ma suscita la nostra attività in unione con essa. Perciò, Paolo non può e non vuole fare più niente al di fuori di Cristo: “Per me vivere è Cristo” (Fil 1,21). Le lettere di san Paolo sono di una incredibile ricchezza; esse nutrono la nostra fede e la nostra preghiera.

Ricapitolando

La struttura della liturgia della Parola è un vero dialogo d’amore fra Dio e noi: Dio ci parla con le letture, con il Vangelo e l’omelia; noi gli rispondiamo con il canto del salmo, con le acclamazioni, con la nostra professione di fede e le nostre preghiere. La prima lettura del lezionario domenicale è tratta generalmente dal’AT che leggiamo alla luce di Cristo. Essa ci prepara al Vangelo in funzione del quale viene scelta. Con il salmo responsoriale, l’assemblea risponde alla Parola di Dio. Il salmo è scelto infatti in funzione della prima lettura, come un eco della Parola di Dio che è stata appena ascoltata. La seconda lettura è tratta principalmente dalle epistole di san paolo. Si tratta di una lettura continua, che non ha dunque un rapporto diretto con le due altre letture, ciò che costituisce la sua difficoltà ma anche la sua ricchezza. Come noi proclamiamo nelle acclamazioni, accogliamo queste letture come Parola del Signore e rendiamo grazie a Dio che ci forma e ci nutre con la sua Parola!

venerdì 9 settembre 2011

Itinerari di fede - IX appuntamento

Torniamo a meditare attraverso il nuovo percorso ricco di diversi itinerari, sempre scritti dalla mano di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia (ringraziamo sempre Enza per l'opera non facile di trascrizione):
 
Cominciare da se stessi
 
Bisogna che l'uomo si renda conto innanzitutto, lui stesso, che le situazioni conflittuali che l'oppongono agli altri sono solo conseguenze di situazioni conflittuali presenti nella sua anima, e che quindi deve sforzarsi di superare il proprio conflitto interiore per potersi così rivolgere ai suoi simili da uomo trasformato, pacificato, e allacciare con loro relazioni nuove, trasformate. Indubbiamente, per sua natura, l'uomo cerca di eludere questa svolta decisiva che ferisce in profondità il suo rapporto abituale con il mondo: allora ribatte all'autore di questa ingiunzione - o alla propria anima, se è lei a intimargliela - che ogni conflitto implica due attori e che perciò, se si chiede a lui di risalire al proprio conflitto interiore, si deve pretendere altrettanto dal suo avversario. Ma proprio in questo modo di vedere - in base al quale l'essere umano si considera solo come un individuo di fronte al quale stanno altri individui, e non come una persona autentica la cui trasformazione contribuisce alla trasformazione del mondo - proprio qui risiede l'errore fondamentale [...]. Cominciare da se stessi: ecco l'unica cosa che conta. In questo preciso istante non mi devo occupare di altro al mondo che non sia questo inizio. Ogni altra presa di posizione mi distoglie da questo mio inizio, intacca la mia risolutezza nel metterlo in opera e finisce per far fallire completamente questa audace e vasta impresa. Il punto di Archimede a partire dal quale posso da parte mia sollevare il mondo è la trasformazione di me stesso. Se invece pongo due punti di appoggio, uno qui nella mia anima e l'altro là, nell'anima del mio simile in conflitto con me, quell'unico punto sul quale mi si era aperta una prospettiva, mi sfugge immediatamente. [...] "Cerca la pace nel tuo luogo". Non si può cercare la pace in altro luogo che in se stessi finché qui non la si è trovata. E' detto nel salmo: "Non c'è pace nelle mie ossa a causa del mio peccato". Quando l'uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero.

Consigli per avvicinarsi all'ammalato

Questo non vuole essere un prontuario o delle istruzioni all'uso, ma dei semplici consigli che ognuno deve interiorizzare e portare nel cuore. Per capire gli ammalati bisogna mettersi al loro posto: cosa molto difficile. Se però non ti sforzerai di farlo, sarà inutile tentare di comunicare con loro. Dire che Dio ama gli ammalati è una cosa molto graziosa e anche vera. Non è l'amore di Dio che devi portare al malato ma il tuo e per questo non bastano solo le parole. Dio non è una persona che va o che viene, lui è fedele e resta. Sarà percepito più o meno dalle condizioni in cui si trova l'ammalato e non solo quelle fisiche. Sforzarti di aiutare l'ammalato su un piano umano e in modo umano: Dio si manifesterà a suo tempo, i tempi di Dio non sono i tempi dell'uomo. Riempiti di Dio e poi va dagli ammalati come se esistessero solo loro, così senza che per te sia uno scopo primario, sarai strumento dell'amore di Dio. Ama gli ammalati, ma non farlo solo in riferimento a Dio: amali per se stessi, in se stessi. Coloro che si occupano degli ammalati soltanto per amor di Dio e con una certa freddezza professionale nei loro comportamenti, fanno pensare che gli ammalati siano per loro solo dei modi per proseguire la propria santificazione. Il miglior aiuto che puoi dare ad un ammalato è di aiutarli a ritrovare se stessi. Il tuo deve essere un rapporto d'amore su una base reale, non menzognera o fittizia: sarebbe come costruire sulla sabbia. Anche se il malato ha perso molto, gli rimane sempre qualche cosa, su questo qualche cosa si tratta di costruire con la fede e l'esperienza sorretta dall'amore. Il dolore affina la sensibilità e, se loro vedranno in te, la semplicità, la delicatezza dell'amore di Dio, ti racconteranno la loro storia. Non fare domande, non limitarti a sentire, ascolta con il cuore: sarai sempre tu a ricevere qualcosa. Forse ti sentirai impotente a rimuovere il peso che portano, ma nel loro cuore l'avrai alleggerito sicuramente. Il malato, l'handicappato, non vogliono pietismo. Non chiederti: cosa posso dire, ma sorridi, sii sempre ottimista, allegro, non esiste un ponte più sicuro di una bocca sorridente e anche nei momenti di dolore più acuto e di disperazione più profonda ci sarà uno spiraglio per lasciar passare la speranza e un solco per seminare la gioia. Può essere che il dolore unisca a Dio più che la gioia: limitati a suggerirlo, non con le parole, immagini o sentimenti, ma con il tuo esempio. Qualche volta sarà necessario venire incontro alle loro necessità materiali, far loro qualche dono. E Cristo che ha bisogno di te, vuole che tu doni te stesso come lui si è donato a noi e si dona a noi tutti i giorni senza chiedere nulla in cambio: solo Amore.

Le due sorgenti

La montagna si eleva verso il sole. Ma la montagna pesa. E' fatta di sassi. In qualche recesso delle sue viscere nacquero un giorno due piccole sorgenti d'acqua limpida, che cercavano di uscire all'aperto. Ma la montagna non cedeva: le opprimeva, le soffocava. 
Dopo un bel po' di tempo le sorgenti, facendosi largo a poco a poco, riuscirono a venire alla luce ai piedi della montagna.
Com'erano stanche! Ma non c'era tempo per riposarsi. Erano appena scaturite dalla terra quando sentirono delle grida provenienti dal muschio, dall'erba, dai fiorellini, dalle rose alpine: "Dateci da bere! Dateci da bere!"
"Fossi matta!", disse la prima sorgente. "Ho faticato tanto senza sosta laggiù, sottoterra, mentre voi, pigri, ve ne stavate al sole. Non vi darò proprio niente!" "Non ci darai niente?", disse il muschio piccato. "E allora noi non ti lasceremo passare."
"Ti sbarreremo la strada con le nostre numerose radici", dichiarò l'erba. "Ti copriremo così nessuno ti troverà", minacciarono i cespugli di rose alpine e di rovi. La seconda sorgente fu condiscendente: "Bevi, sorella erba, però fatti da parte perché io possa proseguire il mio cammino!" Bevvero un poco anche i cespugli ma si tennero fuori dalla corrente e così il muschio e la rosa alpina. La sorgente correva. Dava da bere a tutte le piante e tutte le cedevano il passo.(...) La sua acqua era fresca e limpida come cristallo. Lei stessa non sapeva come. Le piante l'amavano e lasciavano che altre sorgenti si unissero a lei.(...) Alla fine arrivò al mare. Quando giunse alla foce, l'azzurro padre Oceano la prese fra le braccia e la baciò sulla fronte. "E dov'è tua sorella sorgente? le chiese.” "Ah, Padre! Purtroppo è diventata paludosa, marcia e puzzolente." "Così è la vita, figliola mia", disse padre Oceano. "Tua sorella non voleva dare agli altri ciò che ha ricevuto. Vedi? Anch'io oggi ti ricevo in restituzione del vapore che da me è salito verso la montagna. La vita è dare. Tenere per sé è la morte."

Osiamo dire: Padre nostro...

Esperienza di un cappellano delle carceri.

Ricordo una Messa celebrata all'ergastolo di Porto Azzurro. Sentivo avvicinarsi questo momento con un senso di paura. "...Padre nostro!". Mi sono fermato. Li ho guardati in faccia, a uno a uno. Oltre
cinquecento uomini, a cui avevano ucciso la speranza, condannati a vita. Loro dicono, con un'espressione incisiva: "Ci hanno fermato l'orologio!". Ho detto: "Scusatemi, ma io non riesco a continuare. Se non mi aiutate voi, io, da solo, a questo incrocio pericoloso della Messa, non ce la faccio ad andare avanti. Sarei costretto a dire una parola che, se prima non si realizza qualcosa di importante tra di noi, suonerebbe come una bestemmia: "Padre nostro...". "Ho bisogno che mi accettiate come uno di voi, un fratello, niente altro. Soltanto se mi fate questo regalo, se ci scambiamo questa fraternità, se ammettiamo da ambo le parti questa parentela, se mi considerate come uno dei vostri, oseremo dire insieme "Padre nostro!".
Altrimenti io non ho il coraggio di pronunciare quella frase. Dio non è soltanto 'mio' Padre. Lui vuol esserlo di tutti. E se non mi presento davanti a lui insieme a tutti voi, nessuno escluso, mi sento un traditore, un illegittimo... E se voi non mi riconoscete come fratello, Dio se ne va. Non si fa trovare...". Mai come in quel momento ho scoperto la forca sconvolgente dell'espressione: "Osiamo dire". Sì, soltanto adesso che ci siamo
riconosciuti, accettati come fratelli, possiamo dire, senza paura di bestemmiare: "Padre nostro" (anzi:
"Papà", Abbà!). Siamo mal ridotti, Papà, ma siamo insieme. Laceri, sporchi, non troppo presentabili, ma ci riconosciamo fratelli. Ci sentiamo colpevoli "insieme". Abbiamo tutti qualcosa da farci perdonare. Nessuno di noi è giudice dell'altro. Nessuno di noi condanna le colpe dell'altro. Siamo uniti da una comune solidarietà di miseria. Soltanto per questo "osiamo dire". E tu, siamo sicuri, ci guardi con benevolenza. Perché noi ci guardiamo senza durezza. Tu, abbiamo la certezza, ci accetti. Perché noi ci accettiamo vicendevolmente. Tu non ti vergogni di noi, nonostante tutto. Perché noi non rifiutiamo nessuno. Ecco, Signore, soltanto dopo che ci siamo caricati sulle spalle questo colossale peso di tutti i nostri fratelli, osiamo dire "Padre nostro!". E, stavolta, è preghiera.

Trovare Dio in tutte le cose

Trovare Dio in tutte le cose è una meta stupenda. È il frutto che matura in colui che si mette in cammino e dirige i suoi passi verso il cuore. È li che Dio si nasconde, nel cuore di tutto ciò che esiste. Dio è il cuore della nostra vita. La sua dimora è il cuore. 
Trovare Dio in tutte le cose è partire dalle cose per trovare Dio.
Fermati. Osserva.
Non vedi che le cose "parlano"? Non ti accorgi di nulla?
Che cosa provi quando vedi il sole che tramonta?
E quando osservi un fiore?
E quando ti avvicini ad una sorgente? Una zolla di terra, un lembo di cielo, il volto di una persona, un frammento di pane, l'acqua che bolle nella pentola, il cibo che prepari con le tue mani... sono tutte cose che possono sorprenderti.

Fermati ancora. Ascolta il respiro: da dove viene? dove ti porta?
Il respiro sei tu: da dove vieni? dove vai? Non ti accorgi che stai pregando? La preghiera è dentro di te. È il tuo essere che prega.
Anche quando non ci pensi. Anche quando non gli "corri" dietro.
Adesso sai dov'è Dio.
Hai ancora bisogno di cercarlo?

domenica 4 settembre 2011

Capire la Santa Messa - XI Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:
 
CAPIRE LA MESSA
LA LITURGIA DELLA PAROLA
11a PARTE

Dopo i riti dell’accoglienza, entriamo nella liturgia della Parola. Prima di percorrere nel prossimo capitolo lo svolgimento di questa seconda parte della messa, soffermiamoci sull’importanza della Parola. Dio ci parla, questo è un avvenimento.

La “mensa della Parola” 
 
Il Concilio Vaticano II ha permesso di valorizzare nuovamente la liturgia della Parola, riaffermando “l’importanza estrema” della Sacra Scrittura nella messa: “Da essa infatti si attingono le letture da spiegare poi nell’omelia e i salmi da cantare; del suo afflato e del suo Spirito sono permeate le preci, le orazioni e i carmi liturgici; da essa infine prendono significato le azioni e i gesti liturgici”¹.
I Padri conciliari vollero “promuovere questo gusto saporito e vivente della Sacra Scrittura”, ricordando che la Parola di Dio è un nutrimento vivificante, proprio come l’eucarestia: “La chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra Liturgia, di nutrirsi del Pane della vita dalla mensa sia della Parola di Dio che del corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli”². Così è stata reintrodotta l’idea delle “due mense”: la “mensa della Parola di Dio” precede la “mensa del corpo di Signore”. La prima ci prepara alla seconda. L’alleanza divina è innanzitutto annunciata dalla Parola, prima di essere vissuta e rinnovata dall’eucarestia. Sotto due modi differenti, è lo stesso Signore che si rende presente alla sua chiesa e la nutre spiritualmente. Comprendiamo meglio ora il posto essenziale della liturgia della Parola: diventa una condizione preliminare necessaria per ricevere bene il Sacramento

¹ 1 Concilio Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla
sacra liturgia, n. 24

² 2 Concilio Vaticano II, Costituzione Dei Verbum sulla divina
rivelazione, n. 21

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Le novità: il lezionario e l’ambone
Questa valorizzazione della Parola di Dio si è concretamente operata con il nuovo lezionario che offre un ventaglio molto più ampio di letture bibliche. Le letture delle domeniche sono d’ora in avanti suddivise secondo un ciclo di tre anni che permette di leggere quasi integralmente i quattro Vangeli e numerosissimi brani importanti del resto della Bibbia. Le prime letture della settimana sono suddivise su due anni, ciò che offre ugualmente una lettura più completa delle Scritture. Le letture della domenica sono suddivise in tre anni liturgici:
Poi leggiamo durante
-l’Anno A (2011): il Vangelo secondo san Matteo;
-l’Anno B (2012): il Vangelo secondo san Marco;
-l’Anno C (2013): il Vangelo secondo san Luca.
Il Vangelo secondo san Giovanni è letto ogni anno in determinate occasioni particolari come nel tempo pasquale o nelle feste. Le prime letture sono tratte dall’AT e, durante il tempo pasquale, dagli Atti degli Apostoli. Le seconde letture sono tratte dalle lettere del NT-le si chiamano epistole-principalmente di Paolo ma anche degli Apostoli Pietro, Giacomo, Giovanni e Giuda, senza dimenticare la lettera agli Ebrei e l’Apocalisse.
Se contiamo, nel corso dell’anno, una cinquantina di domeniche e una decina di grandi feste, leggiamo dunque, nell’arco di tre anni, un ventaglio molto ricco di circa centottanta prime letture, e altrettanti estratti di Salmi, lettere e Vangeli. Sul piano del mobilio liturgico, questo impulso si è tradotto nella valorizzazione di un luogo della Parola chiamato ambone³, una specie di pulpito. Le chiese nuove o le ristrutturazioni di chiese antiche ne presentano spesso di belle realizzazioni, costruendo l’altare e l’ambone con i medesimi materiali o con la medesima decorazione. Ciò esprime bene l’importanza delle “due mense”. Per valorizzare bene la Parola di Dio, è importante che l’ambone sia degno e ben decorato.

³ Ambone viene da una parola greca che significa “salire”, perché l’ambone è la postazione sopraelevata alla quale salgono quelli che, nella liturgia, proclamano una lettura o fanno l’omelia. Del resto, quando non c’era ancora il microfono, il sacerdote saliva sopra una specie di tribuna decorata (pulpito) per essere ascoltato da tutti.

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L’ufficio del lettore
 
E’ importante anche che la Parola sia proclamata bene e sia così valorizzata. Non è dato a tutti di leggere in pubblico. La lettura liturgica non si improvvisa: bisogna prepararla, pregarla, penetrarsene. E’ bene che le lettrici e i lettori possano seguire una formazione in questo senso.

Un Dio che ci parla
 
Queste letture bibliche, che accogliamo come “Parola del Signore”, sono state scritte lungo un periodo di più di mille anni e sono state ricevute dai credenti come parole ispirate da Dio. La Bibbia è “L’ampio svolgimento della storia santa, nel corso della quale il Dio vivente si è rivelato a un popolo stringendo un’alleanza con esso”. Il primo posto è dato all’iniziativa di Dio. La Bibbia narra come, attraverso tutta la storia santa, gli uomini abbiano preso coscienza che Dio faceva alleanza con loro. Spetta a noi, oggi, rispondere, ed entrare nell’alleanza. La liturgia ci invita con ragione a entrare in questo dialogo con Dio. La liturgia della Parola è molto più che un insieme di letture: è un dialogo, nel quale siamo introdotti a titolo di co-protagonisti.
Il cardinale Coffy precisa che c’è una grande differenza tra l’atteggiamento interiore di colui che legge un libro (non pensando che la maggior parte del tempo all’autore che non conosce) e colui che ascolta le confidenze di un amico (facendo soprattutto attenzione a lui e alle parole che pronuncia). A messa, “noi ascoltiamo Dio che ci parla. Non Dio che ha parlato un tempo, ma Dio che parla proprio a noi, ora, e che ci svela il suo mistero, cioè il suo segreto, ciò che Egli è e ciò che vuole fare. Ci dice che Egli è per noi: un Padre, e chi siamo noi per Lui: dei figli.
Ci dice il suo progetto: ciò che vuole realizzare per noi e con noi”. La buona novella, è già il fatto che Dio ci parla; questo rivela l’amore di Dio per l’uomo e anche la sua grandezza: l’uomo è qualcuno a cui Dio si rivolge e che conta per Lui. Ascoltare un amico ci permette di conoscerlo meglio. Scrutare le scritture significa imparare a conoscere Dio. Gesù è la Parola incarnata, la “Parola in diretta” nella linea e nel compimento delle Scritture, come ci ricorda l’inizio della lettera agli Ebrei: “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai Padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo” (1,1-2)

E’ un avvenimento
 
Leggere o ascoltare una lettura biblica, non è banale. Quando Dio ci parla, è un avvenimento! Del resto, la parola ebraica dabar significa nello stesso tempo “parola” ed “evento”. La Parola di dio è un avvenimento nella nostra vita! Eppure, a messa, l’ascoltiamo a malapena, con orecchie distratte. Se ci venisse chiesto all’uscita della chiesa: “Di che cosa parlava la prima lettura? Che Salmo è stato cantato? E che cosa diceva Gesù nel Vangelo?”, saremmo spesso davvero imbarazzati….. Dobbiamo proprio riconoscere che non sempre abbiamo fame della Parola di Dio.
Passiamo molto tempo ogni giorno a nutrirci. Ma quanto tempo consacriamo al nostro nutrimento spirituale? Assorbiamo un mucchio di libri, di giornali, di riviste. Ma quante pagine della Bibbia leggiamo?

Una parola efficace che costituisce la chiesa
 
La Parola di dio è efficace. “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano
senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e
pane da mangiare, così sarà la Parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55,10-11).
Il cardinale Coffy aggiunge che questa Parola ci costituisce come suo popolo, come sua chiesa: “La Chiesa è venuta all’esistenza in virtù della chiamata che Dio le ha fatto sentire in Gesù Cristo, ma bisogna aggiungere che essa esiste oggi in forza della Parola che il suo Signore le rivolge oggi. Essa non è una società, un organismo fondato un tempo dal Cristo. Essa è continuamente fondata dal Cristo che non cessa di parlarle e di essere presente. Come la donna è creata sposa dalla parola che le rivolge l’uomo e con la quale egli la chiama. Come l’uomo è creato sposo dalla parola della donna. Ecco qui un’analogia che ci apre alla comprensione del mistero. Ecco perché la chiesa deve senza sosta ascoltare la Parola che le è rivolta, meditarla per farla sua e per viverne. Si può dire che essa impegna tutta la sua esistenza su questa Parola alla quale dà credito. La chiesa riposa su questa Parola che Dio le rivolge oggi e alla quale essa risponde”.

Ricapitolando 
 
In ogni messa, noi ci nutriamo a “due mense”: prima a quella della Parola, poi a quella dell’eucarestia. La mensa della Parola ci introduce a ciò che celebriamo nell’eucarestia. Il Concilio Vaticano II ha nuovamente valorizzato la liturgia della Parola. Il nuovo lezionario della domenica ci offre una scelta di più di settecentoventi letture bibliche nell’arco di tre anni. Vivendo la liturgia della Parola, noi entriamo in dialogo con Dio che ci parla e che ci costituisce come suo popolo, la chiesa.
Prendiamoci allora del tempo per leggere la Bibbia, non fossero che le letture del giorno che meditiamo in comunione con tutta la chiesa. Possiamo anche noi ripetere con il piccolo Samuele: “Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta” (1 Sam 3,10)!