"La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture non mancando mai, soprattutto nella liturgia, di nutrirsi del pane della vita, sia della Parola di Dio, sia del Corpo di Cristo". (Concilio Vaticano II)

domenica 11 dicembre 2011

Capire la Santa Messa - XXIII Appuntamento

Concludiamo oggi l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:



CAPIRE LA MESSA

ECCO L’AGNELLO DI DIO
N° 23

LA FRAZIONE DEL PANE

Ricordiamoci che la “frazione del pane” è la denominazione più antica della messa. Spezzare il pane è rifare, rinnovare il gesto di Gesù nell’ultima cena. La frazione del pane è un simbolo forte della passione e della morte di Cristo: il suo corpo è sppezzato come si spezza il pane. Nella messa, la frazione del pane è un gesto di preparazione alla comunione: l’unico corpo di Cristo è diviso perché tutti possano riceverlo e comunicarsi. Nei primi secoli si utilizzava del pane “normale”, fermentato, che portavano i fedeli; occorreva un certo tempo per poter dividere questo apne in tanti pezzetti quanti erano i fedeli. Più tardi, verso l’XI secolo, la chiesa latina stabilì l’uso di celebrare l’eucarestia con il pane azzimo (senza lievito), come aveva fatto il Cristo nella cena pasquale. Da allora, il gesto della frazione ha perduto la sua visibilità, poiché le ostie erano piatte e sottili. Solo quella del celebrante era spezzata, i fedeli si comunicavano con piccole ostie preliminarmente tagliate. La riforma liturgica dopo il Concilio Vaticano II ha richiesto che il rito della frazione ritrovi il suo significato. E’ dunque vivamente auspicato che il celebrante utilizzi un’ostia grande e possa così compiere visibilmente il rito della frazione del pane.

L’IMMISTIONE

Spezzando il pane, il sacerdote lascia cadere nel calice un frammento dell’ostia. Questo gesto si chiama immistione. (da immiscere, “unire a”, “mescolare con”). Qual è il senso di questo antichissimo gesto? Possiamo coglierne un triplice significato: temporale, ecclesiale e simbolico. In un senso molto pratico, può darsi che si immergessero un tempo nel calice i pani consacrati nelle messe precedenti, molto semplicemente per rammollirli. Questo gesto manifestava dunque l’unità del sacrificio eucaristico nel tempo: è sempre lo stesso sacrificio che noi celebriamo. Dal punto di vista ecclesiale, questo gesto segnava l’unità con il vescovo. Il più spesso possibile , i presbiteri concelebravano la messa presieduta dal vescovo. La domenica, il vescovo mandava degli accoliti a portare ai presbiteri, che celebravano la messa nei villaggi, un frammento dell’ostia che egli aveva consacrato. I sacerdoti mettevano questa particella nel calice in segno di unità con il vescovo. Oggi, questo vincolo di unità è significato dalla menzione del Papa e del Vescovo nella preghiera eucaristica. L’immistione conserva un significato simbolico molto profondo. Sull’altare il corpo e il sangue di Cristo sono separati; questo è un segno del suo unico sacrificio nel quale il suo sangue è stato versato sulla croce e, si potrebbe dire, è stato come separato dal suo corpo. L’immistione evoca all’inverso la resurrezione che ha unito per sempre, per la vita eterna, il corpo e il sangue di Cristo, compiendo questo gesto, il sacerdote chiede che noi abbiamo parte alla sua risurrezione: “il corpo e il sangue di Cristo, uniti in questo calice, siano per noi cibo di vita eterna.

IL CANTO DELL’AGNUS DEI

Mentre il celebrante spezza il pane, l’assemblea canta: “Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi”. Il messale precisa che questa invocazione potrà essere ripetuta tante volte quanto è necessario per accompagnare la frazione del pane. L’ultima volta, essa è conclusa dall’invocazione: “Dona a noi la pace”. Il canto dell’agnello di Dio è stato introdotto nella messa romana alla fine del VII secolo dal Papa Siriaco Sergio I. le parole provengono molto semplicemente dal Gloria (che risale almeno al IV secolo), nel quale noi cantiamo: “Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre, tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi”. Oggi, la formulazione può porre qualche problema: alcuni pensano che essa non corrisponda più alla cultura contemporanea e sostituiscono l’Agnus Dei con un altro canto sul tema della pace.
Costoro passano accanto al significato profondo di questo canto che accompagna la frazione del pane, cioè il dono di Cristo, agnello pasquale, agnello immolato per noi.

«L’AGNELLO» NELLA BIBBIA

Il tema dell’agnello attraversa tutta la Bibbia, dal sacrificio di Abele che offrì a Dio i primogeniti del suo gregge (cf. GN 4,4) fino alle ventotto menzioni nell’Apocalisse di Cristo come l’Agnello che siede sul trono. Due testi di maggiore importanza devono essere messi in rilievo. Prima di tutto, quello dell’Esodo, che leggiamo nel corso della messa del giovedì santo: si tratta della prescrizione del sacrificio dell’agnello pasquale, preludio all’uscita dall’Egitto, il cui sangue versato sugli architravi salverà gli Israeliti dal decimo flagello (cf. Es 12,1-14). In secondo luogo, il quarto canto del Servo sofferente nel libro del profeta Isaia, letto all’inizio della celebrazione del venerdì santo: “Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di Lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca.” (53,6-7). Così, il tema dell’agnello, che si immola per la salvezza di tutti, è molto presente nel pensiero semitico. Quando Giovanni Battista presenta Gesù ai discepoli, dice loro semplicemente: “Ecco l’Agnello di Dio” (Gv 1,36). I discepoli comprendono immediatamente che Giovanni designa il Messia atteso e si mettono a seguirlo.
Con il suo sacrificio, il Cristo “ricapitolerà” nello stesso tempo il rito espiatorio dell’agnello pasquale e l’offerta amorosa del servo sofferente.

LE PREGHIERE PRIMA DELLA COMUNIONE

Dopo la frazione del pane e il canto che l’accompagna, il sacerdote si raccoglie un momento e pronuncia una delle due preghiere che gli sono proposte, mentre i fedeli si preparano in silenzio a ricevere il loro Signore. proprio come la preghiera per la pace, questa preghiera si rivolge direttamente a Cristo, cosa che è eccezionale nell'ordinario della messa. “Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l’opera dello Spirito Santo morendo hai dato la vita al mondo, per il santo mistero del tuo corpo e del tuo sangue liberami da ogni colpa e da ogni male, fa che io sia sempre fedele alla tua legge e non sia mai separato da te”. Questa prima formula risale al nono secolo. L’invocazione: “Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo” è la ripresa della confessione di fede di san Pietro a Cesarea (Mt 16,16). Prima di consumare il Pane vivo, il sacerdote ripete con il capo degli apostoli la sua fede in Gesù che, con la sua morte, ha dato la vita al mondo. Questa confessione è trinitaria, poiché noi ricordiamo che Gesù ha sempre fatto la volontà del Padre che è di salvare tutti gli uomini, e che Egli agisce per la potenza dello Spirito santo. Poiché il sangue dell’Agnello purifica da ogni peccato, il sacerdote può chiedere che il corpo e il sangue di Cristo lo liberino dai suoi peccati e da ogni male. Egli implora anche la grazia di rimanere fedele ai comandamenti del Signore, e di non essere mai separato da Lui. Ecco l’altra formulazione che il sacerdote può utilizzare: “La comunione con il tuo corpo e il tuo sangue, Signore Gesù Cristo, non diventi per me giudizio di condanna, ma per tua misericordia sia rimedio e difesa dell’anima e del corpo”. Questa preghiera si ispira alla messa in guardia di San Paolo: “Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice, perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1Cor 11,27-29). Nel momento in cui si comunicherà, il sacerdote è ben consapevole della sua indegnità, ma fa appello alle parole del Signore che non è “venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”
(Mt 9,13) e gli chiede che questa comunione lo sostenga e gli doni la guarigione.

“ECCO L’AGNELLO DI DIO!”

Dopo questa preghiera di preparazione alla comunione, il sacerdote fa una genuflessione, come aveva fatto dopo ciascuna delle consacrazioni. E’ un gesto di venerazione e di adorazione, prima di comunicarsi al corpo e al sangue di Cristo. Elevando l’ostia, egli invita i fedeli al banchetto eucaristico dicendo: “Beati gli invitati alla cena del Signore. Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”. E’ proprio con queste parole che Giovanni Battista aveva designato Gesù. Questo invito si proroga fino a noi: più che a un semplice pasto, noi siamo invitati “Al banchetto delle nozze dell’Agnello”.

SIGNORE, NON SON DEGNO

Di fronte a un tale invito, noi facciamo un atto di umiltà: “Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma dì soltanto una parola e io sarò salvato!”. Queste parole riprendono l’atto di fede e di umiltà del centurione romano che chiese la guarigione del suo figlio (o servo), non sentendosi degno che Gesù andasse a casa sua: “Ma dì soltanto una parola, aggiunse, e mio figlio sarà guarito” (Mt 8,8). Così, anche noi ci sentiamo proprio indegni che il Signore venga a dimorare in noi con la comunione. Ma abbiamo fiducia in Lui che vuole darsi a noi per salvarci.

RICAPITOLANDO

Prima della comunione, viviamo il rito della “frazione del pane”: il celebrante spezza l’ostia consacrata, in segno di Cristo che si offre sulla croce e il cui corpo è spezzato. Egli la divide per significare che l’unico corpo di Cristo è distribuito tra tutti. Lascia quindi cadere un piccolo pezzo di ostia nel calice precisando che il corpo e il sangue di Cristo riuniti in questo calice sono un segno della risurrezione e che la nostra comunione è cibo per la vita eterna. Il rito della frazione è accompagnato con il canto dell’Agnus Dei. Noi riconosciamo che Cristo è l’Agnello di Dio che si è offerto per il perdono dei nostri peccati e per donarci la pace. Il sacerdote ci invita a partecipare alla mensa del Signore, banchetto di nozze dell’Agnello. Noi rispondiamo con umiltà e fiducia che è il signore che ci rende degni di partecipare a un tale banchetto. Al momento della frazione del pane, riconosciamo il Cristo, Agnello di Dio che prende su di se tutte le nostre colpe perché noi abbiamo la vita.

domenica 4 dicembre 2011

Capire la Santa Messa - XXII Appuntamento

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CAPIRE LA MESSA

LA PREGHIERA E IL RITO DELLA PACE
N° 22

LA PREGHIERA PER LA PACE

Con la preghiera che il sacerdote dirà a voce bassa proprio prima della comunione, questa preghiera per la pace è la sola ordinariamente rivolta Gesù nella celebrazione della messa. Nel corso della grande preghiera eucaristica rivolta al Padre, è come se noi facessimo una pausa per rivolgerci al Signore Gesù Cristo presente in mezzo a noi e ci distanziassimo un poco per vederlo meglio e dirgli il nostro amore. La Chiesa prende il suo Signore per i sentimenti, poiché gli ricorda le sue stesse parole: «Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”». Gesù le ha pronunciate al momento del grande discorso di addio: «Vi lascio la pace , vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14, 27). Questa pace non è come quella del mondo; non ha niente a che vedere con la pax romana, una pace che si impone con la propria supremazia. Più che una semplice assenza di conflitti, il Cristo ci offre una pace profonda, interiore. Quindi, noi ci riconosciamo peccatori davanti all’Agnello immolato e senza macchia: «Non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua chiesa». Noi ci sentiamo davvero indegni di ricevere un tale dono, e la nostra fede è davvero debole. Per questo facciamo appello alla fede della chiesa, fondata dal Cristo che ha promesso che le forze della morte non prevarranno su di essa.
Il sacerdote prosegue: «E donale unità e pace secondo la tua volontà. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli». Noi imploriamo il dono della pace e dell’unità, perché l’eucarestia è il sacramento dell’unità. In effetti, noi riceveremo il medesimo corpo di Cristo per diventare insieme il corpo di Cristo che è la chiesa. Ma sappiamo bene, purtroppo, che l’unità della chiesa voluta dal Cristo non è realizzata, e che ci sono ancora tante divisioni. Allora, noi imploriamo questa unità, coscienti che soltanto il Cristo può condurre la sua chiesa e i suoi fedeli verso l’unità perfetta.

L’AUGURIO DELLA PACE

Dopo aver domandato a Cristo il dono della sua pace, il sacerdote può perciò augurarla a tutta l’assemblea: «La pace del Signore sia sempre con voi». I fedeli rispondono: «E con il tuo spirito», con la stessa densità di significato che abbiamo visto all’inizio della messa. Ricordiamo che la pace, shalom in ebraico, designa «ciò che è riempito», «ciò che è colmato». Solo il Signore può riempirci e colmarci pienamente.
La pace, scrive il cardinale Lustiger, «è la pienezza della vita con Dio, è la vita umana finalmente compiuta nella felicità perché Dio viene a porre la sua dimora in mezzo al suo popolo, è la vita dell’uomo trasfigurato dalla gioia di vivere con Dio tra i fratelli». La pace, è il compendio di tutti i beni; è il dono che Cristo porta con la sua nascita e con la croce. Risuscitato egli dirà ai suoi apostoli: «La pace sia con voi»
(Gv 20,19.21.26).
Comprendiamo ora la portata di questo augurio del sacerdote e della pace che ci daremo gli uni agli altri.

LO SCAMBIO DELLA PACE

Se pare opportuno, precisa il messale, il diacono o il presbitero invita i fedeli: «Come figli del Dio della pace, scambiatevi un gesto di comunione fraterna». Questo gesto non sempre è ben compreso. Alcuni si domandano perché è soltanto in questo momento della messa che si salutano i vicini…..Altri sono un po’ imbarazzati, perché non conoscono molto o anche affatto quelli che stanno loro vicino; forse non ci si è neppure mai parlati…..E’ proprio la prova che questo è un gesto esigente.
Bisogna dunque ricordare che cos’è il bacio della pace, e forse soprattutto che cosa non è: non è stretta di mano banalizzata né forzata. Non è il momento di andare a salutare le persone che non abbiamo ancora visto. Non è soltanto un gesto per dire che ci si vuol bene davvero e che si è contenti di stare insieme. Non è soltanto l’offerta di una pace superficiale o utopica, che pensiamo di realizzare da noi stessi. Il gesto di pace è un gesto antico, un gesto sacro, un gesto propriamente cristiano, radicato nelle Scritture. Non è la nostra pace che noi ci scambiamo, ma quella del Signore che noi condividiamo. Questo cambia tutto!
Noi riceviamo umilmente la pace di Cristo come un dono infinitamente prezioso che ci trasforma e ci rende capaci di accoglierci gli uni gli altri, malgrado i nostri antagonismi e le nostre controversie umane. San Cirillo di Gerusalemme scriveva già nel IV secolo con il bacio della pace «fonde le anime in una mutua amicizia e promette l’oblio di ogni offesa. Questo bacio è dunque segno che le anime sono unite tra loro e hanno deciso di dimenticare ogni oltraggio». Questo gesto esigente richiede che si consideri l’altro come una persona da rispettare e da amare. In alcuni casi, per scambiarsi in tutta verità il segno della pace, occorrerà aver perdonato dal proprio cuore colui o colei a cui si tende la mano. Nel rito romano, già dal V secolo, questo gesto è stato collocato dopo il Padre nostro con il quale ci siamo impegnati a perdonare i nostri fratelli poiché il Signore perdona noi. Prima di comunicarci, ci scambiamo un segno di pace. Infatti come potremmo, da un lato, avvicinarci a Cristo e manifestargli che noi lo amiamo e, dall’altro, rifiutare di volgerci a questo fratello o questa sorella che sta al nostro fianco? La parola di san Giovanni ci giudica: «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4,20). La maggior parte degli altri riti liturgici lo situano prima della preparazione dei doni, ciò che può comprendersi in riferimento alla prescrizione del Signore: «Se dunque tu presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
Avete notato che si parla di un «bacio di pace? Questo termine testimonia un affetto, una tenerezza che dovremmo avere gli uni verso gli altri. Tuttavia, normalmente, non ci si bacia. Non sarebbe del resto opportuno «darsi un bacino» come quando si incontra un conoscente. …….

RICAPITOLANDO

Prima di comunicarsi, il celebrante chiede a Cristo il dono della pace e dell’unità della chiesa e dei fedeli che si comunicheranno al medesimo corpo. Poi, egli augura la pace di Cristo a tutta l’assemblea. Invita i fedeli a darsi gli uni agli altri questa pace in segno di fraternità e di riconciliazione.
Riceviamo la pace di Cristo e facciamo attenzione che il nostro gesto di pace sia un vero segno di riconciliazione di fraternità.