"La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture non mancando mai, soprattutto nella liturgia, di nutrirsi del pane della vita, sia della Parola di Dio, sia del Corpo di Cristo". (Concilio Vaticano II)

domenica 20 novembre 2011

Capire la Santa Messa - XXI Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:

CAPIRE LA MESSA
21° PARTE

PADRE NOSTRO

LA PREGHIERA DI GESU’

Secondo il catechismo della chiesa cattolica, il Padre nostro è il «compendio di tutto il Vangelo», la «preghiera fondamentale», quella che contiene tutte le altre preghiere che si trovano nella Scrittura. Questa preghiera è unica, poiché è Gesù stesso che ce l’ha insegnata. Nel Vangelo la troviamo sotto due forme In due contesti differenti. In Matteo (6,9-13), il Padre nostro è nel cuore del discorso della montagna (cap. 5-7). Tra l’elemosina e il digiuno, Gesù invita alla preghiera. Egli chiede di non pregare come gli ipocriti che amano dare spettacolo di se (6,5), né di ripetere continuamente parole come i pagani che si immaginano che sia a forza di parole che verranno esauditi. (6,7). Al contrario, Gesù ci ingiunge di ritirarci nella nostra camera, e di rivolgere la nostra preghiera al nostro Padre che è lì nel segreto. Gesù ci invita a pregare con fiducia perché, dice, «il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate» (6,8). Aggiunge subito: «Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli…..» (6,9). In Luca (11,2-4), i discepoli trovano Gesù mentre sta pregando. Lo osservano, aspettando che abbia finito, e poi gli chiedono umilmente: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (11.1). Gesù risponde loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoni amo ad ogni nostro debitore, e non indurci in tentazione» (11,2-4). Gesù comunica le parole della sua preghiera; ci svela così la sua maniera originale di parlare con Dio e l’intimità che lo lega al Padre suo, ci indica come pregare il Padre suo che anche noi possiamo, seguendo il suo esempio e accogliendo il suo invito, chiamare «nostro Padre». Dire questa preghiera con lui ci fa entrare in una relazione filiale. Questa preghiera non è la domanda dei servi a un padrone, ma quella dei figli al loro Padre i quali possono dire: Abba, cioè: “Papà”. L’inserimento del Padre nostro nella liturgia è molto antico. Il suo posto all’inizio dei riti della comunione si spiega con la richiesta: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Il pane celeste che Dio ci dà è proprio quello dell’eucarestia. E poi, perché nel momento in cui stiamo per comunicarci insieme, manifestiamo con questa preghiera che siamo fratelli e sorelle, dal momento che abbiamo lo stesso Padre.

LA MONIZIONE DEL PADRE NOSTRO

Il messale romano propone alcune monizioni per introdurre la preghiera del Padre nostro: «obbedienti al comando del Salvatore e formati al suo divino insegnamento, osiamo dire». Questa prima monizione ci invita a prendere coscienza di ciò che stiamo per fare: se noi «osiamo» rivolgerci a Dio dicendo «Padre», è perché Gesù stesso ce l’ha insegnato e ci invita a farlo con Lui. Una seconda monizione esprime il ruolo dello Spirito Santo, uno Spirito di filiazione che ci spinge a chiamare Dio Abba, «Papà». «Il Signore ci ha donato il suo spirito. Con la fiducia e la libertà dei figli diciamo insieme».


LE PAROLE DEL PADRE NOSTRO

Ammettiamolo: il Padre nostro è una preghiera che sappiamo a memoria, che ripetiamo spesso, ma pensiamo veramente ciò che diciamo?
«Padre nostro»: Gesù ci invita dunque a entrare nella sua intimità col Padre, a pregarlo con Lui dicendo: “Abba”. Noi riconosciamo che <dio è nostro Padre, e che noi siamo suoi figli. Dire «nostro» Padre ci stabilisce in una grande comunione, poiché siamo figli e figlie di Dio, il quale è il Padre di tutti. Questa preghiera ci esorta a superare le nostre divisioni e le nostre opposizioni, e ci apre alle dimensioni di tutta l’umanità.
«Che sei nei cieli»: vuol dire che Dio è lassù nei cieli, dietro le nuvole, come se lo possono immaginare i bambini…..Prévert ha pronunciato questa celebre battuta di spirito: «Padre nostro che sei nei cieli, restaci!». Il cosmonauta sovietico Gagarin, di ritorno da una missione spaziale, aveva dichiarato solennemente: «Ho scrutato bene il cielo, non ho trovato Dio». Non si tratta evidentemente di un luogo, ma piuttosto di una maniera d’essere: questa espressione designa la sua santità, la sua maestà. I cieli designano il mondo celeste, il mondo di Dio, quello al quale noi tendiamo con tutto il nostro cuore. Dopo questa introduzione, glorifichiamo Dio con tre invocazioni che concernono il suo nome, il suo regno e la sua volontà.
«Sia santificato il tuo nome»: Nella Bibbia, il nome designa tutta la persona. Il verbo santificare significa riconoscere come santo. Noi vogliamo dunque dire: tutti possano riconoscere la tua grandezza, la tua santità, che tu sei Dio! La testimonianza della nostra vita permetta ai nostri fratelli di conoscere il tuo nome!
«Venga il tuo regno»: Noi domandiamo al Padre che il suo regno d’amore, di giustizia e di pace possa crescere in noi e per mezzo di noi.
«Sia fatta la tua volontà». La volontà di Dio, se si crede in Gesù,
è che tutti siano salvati. Dire: Sia fatta la tua volontà, è lavorare in questo senso. Significa entrare in un atteggiamento di fiducia.
Con l’espressione «Come in cielo così in terra», letteralmente «come in cielo così sulla terra», noi domandiamo che la volontà di Dio sia fatta da noi così come è fatta dagli angeli e dai santi. Possiamo anche vedervi una transizione verso le richieste che seguono e che ci riguardano, come il pane e il perdono.
«Dacci oggi il nostro pane quotidiano»: dopo tre invocazioni di lode e prima di altre tre richieste per i nostri bisogni umani, questa è la preghiera centrale del Padre nostro. Questa richiesta comprende tutto ciò che concerne la nostra vita fisica e biologica (cibo, salute, abitazione, lavoro, ricerca della gioia e della verità, senso della vita ecc). noi manifestiamo la nostra fiducia in dio dal quale vogliamo ricevere tutto, tutto il nostro necessario per questo giorno.
«Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori»: il perdono è anch’esso una necessità per la nostra vita in società. E’ per questo motivo che Gesù insiste tanto sul perdono da dare agli altri prima di riceverlo da Dio. Egli sa bene che non è facile perdonare, e forse ancor meno chiedere perdono. Noi chiediamo a Dio di aiutarci.
«E non indurci in tentazione»: in questa preghiera risiede una grande difficoltà; potrebbe dare l’impressione che è Dio che ci spinge alla tentazione…..l’antica traduzione: «non lasciarci soccombere alla tentazione» era certo migliore (la nuova traduzione dice così: «Non lasciarci soccombere alla tentazione»). Bisogna dirlo chiaramente: non è Dio che ci tenta o che ci getta nella tentazione. Egli vuole al contrario liberarcene. Noi gli chiediamo di non lasciarci imboccare la via che conduce al peccato. Lo preghiamo di agire perché noi non entriamo in tentazione.
«Ma liberaci dal male»: Il male, dal quale chiediamo di essere liberati, è in primo luogo la malattia, l’incidente, la disgrazia, la fame, ecc. Gesù parla anche del «male morale» che sta alla radice degli altri mali, come la cattiveria, la crudeltà. Questo male morale comprende le devianze personali (peccato, inganno, menzogna, furto) e le devianze collettive (razzismo, guerre, schiavitù, ingiustizie). Gesù ci invita anche a chiedere al padre di liberarci dal Male con la “M” maiuscola, dal Malvagio, dal Tentatore. Egli stesso non è stato risparmiato da satana, e sa che anche i suoi discepoli dovranno lottare. Come ultima risorsa, Gesù si carica egli stesso di tutti questi mali, e ne esce vincitore per mezzo del perdono e dell’offerta di se stesso per noi, sulla croce.

L’EMBOLISMO

Embolismo significa letteralmente “intercalare”, “mettere dentro”. Nella liturgia, l’embolismno è la preghiera, recitata dal solo celebrante, che “si intercala” tra il Padre nostro e la dossologia. Essa sviluppa e amplifica l’ultima domanda del Padre nostro: “Liberaci dal male”, da dove precisamente derivano le sue prime parole: “Liberaci, o Signore, da tutti i mali”. Composta dalla chiesa di Roma al tempo in cui essa era vittima delle invasioni barbariche, questa è una preghiera di supplica pressante per far fronte alle avversità. Noi chiediamo al Signore anche il dono della pace, la liberazione dal peccato, la felicità promessa collegata all’ultima venuta di Cristo:
“Concedi la pace ai nostri giorni”: comprendiamo bene l’importanza di questa domanda. La pace è un dono prezioso, vitale per l’armoniosa esistenza dell’umanità. Portando il mondo intero nella nostra preghiera, imploriamo la pace per il nostro tempo, specialmente per tutte le regioni che vivono di pesanti conflitti armati, ma anche per la pace del nostro paese e nelle nostre famiglie.
“E con l’aiuto della tua misericordia, vivremo sempre liberi dal peccato”: Poiché Cristo si è offerto per il perdono dei peccati, la chiesa insiste perché la misericordia di Dio liberi i fedeli dai vincoli del peccato.
“E sicuri da ogni turbamento”: il verbo “rassicurare” è un po’ lezioso. L’espressione latina è più forte: ab omni perturbatione securi. Letteralmente: “da tutte le perturbazioni”, (turbamenti), “che noi siamo nella sicurezza, esenti dal pericolo”. Potremmo tradurre così: “Rendici forti davanti alle prove”. E’ dunque una bellissima domanda con la quale chiediamo al Signore la sua presenza e la sua forza per lottare contro le prove che incontriamo.
“Nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo”: La conclusione dell’embolismo ha una risonanza escatologica, ci orienta verso gli ultimi tempi. Questa felicità che noi attendiamo, o piuttosto questa “Beata speranza”, è proprio il ritorno di Cristo nella gloria.

LA DOSSOLOGIA DEL PADRE NOSTRO

L’embolismo del Padre nostro richiama una dossologia (“Parola di gloria”): “Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli!”. Questa dossologia è antichissima. Certo non si trova nel Vangelo (anche se è stata aggiunta in alcuni manoscritti del Vangelo secondo Matteo), ma risale al II secolo, o addirittura anche al I.
La si trova in ogni caso nella Didachè, uno dei testi cristiani più antichi. Questa formula non fa che riprendere un certo numero di dossologie che ornano la scrittura, come quella che troviamo nel libro dell’Apocalisse: “A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza nei secoli dei secoli” (5,13). La maggior parte delle chiese dell’Oriente e della Riforma utilizzano questa dossologia dopo il Padre nostro nella loro liturgia. Integrandola nella messa romana, il nuovo messale si congiunge alla tradizione delle altre chiese cristiane.

RICAPITOLANDO

Prima di fare la comunione, preghiamo il Padre con le stesse parole di Gesù, con la grande preghiera del Padre nostro. Questa preghiera ci prepara bene alla comunione, dal momento che chiediamo al Padre di darci il pane quotidiano. Questa preghiera è seguita da un embolismo che sviluppa tre temi che ritroveremo nel seguito dei riti della comunione: la pace, la liberazione del peccato, la felicità promessa collegata all’ultima venuta di Cristo. Essa si conclude con una dossologia aggiunta al Padre nostro nei primi secoli. Quando preghiamo il Padre nostro, prendiamo bene coscienza della portata di ogni domanda!

venerdì 18 novembre 2011

Itinerari di fede - XIV appuntamento

Torniamo a meditare attraverso il nuovo percorso ricco di diversi itinerari, sempre scritti dalla mano di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia (ringraziamo sempre Enza per l'opera non facile di trascrizione), concernenti ora la vita spirituale:

LA VITA SPIRITUALE (PARTE QUARTA)

LA CREAZIONE È LO SPLENDORE DELL'AMORE DI DIO RIFLESSO NELLE SUE CREATURE

Anche nella CREAZIONE l'anima "vede" l'Amore dello Sposo tanto amato, riflesso come la luce del sole che ne è il segno più evidente in tutte le sue creature. Ogni essere dell'universo racconta il Poema di questo
Amore, che si manifesta nella PROVVIDENZA del Padre: "LUI mi HA TRATTO DAL NULLA e mi FA CONTINUAMENTE SUSSISTERE con la sua ONNIPOTENZA; LUI mi GOVERNA con la sua infinita SAPIENZA".
"I cieli narrano la GLORIA di Dio e l’opera DELLE SUE MANI ANNUNCIA il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il Messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia" (Sal. 18,2-3).
Il Figlio Gesù Cristo è venuto a rivelarci la Gloria del Padre che risplende anche nella CREAZIONE. EGLI canta la PROVVIDENZA del Padre, sempre in opera nell'universo, con accenti di tenerezza filiale inconfondibile, rimproverando l'uomo per la sua cecità di fronte a questo GRANDE AMORE "Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete e neanche per il vostro corpo di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?" (Mt. 6,25-28)
Tutta la CREAZIONE proclama che LO SPLENDORE DELLA VERITÀ È L'AMORE.
• Anche tu, fratello, sorella, che nella CREAZIONE sei "Immagine e Somiglianza vivente di Dio", proclami che lo scopo e la pienezza della vita è L'AMORE. Proprio perché Dio è Amore, tu sei creato per amare. Il più grande rammarico per tutti sarà alla fine quello di non avere amato abbastanza.
La Vita Spirituale raggiunge il suo apice nel grado di Amore-Comunione che l'anima riesce a raggiungere con il suo Sposo. Per questo S. Agostino, a chi chiede di dare una risposta pratica al senso della vita, dice: "AMA e CAPIRAI". Nell'inno alla CARITA' San Paolo esalta l'eccellenza dell'amore su tutti i carismi e su tutte le altre virtù ( Cfr. 1 Cor. 13,1-13 ). Nel brano appena citato, l'Apostolo afferma che tutto finirà, ma "la CARITÀ non avrà mai fine" (1 Cor. 13,8). Partecipare dunque in pienezza ed eternamente all'amore di Dio, Uno e Trino, è lo scopo ed il traguardo della VITA SPIRITUALE. ALBERT SCHWEITZER è un grande medico e filosofo francese del secolo XX. Giunto alla piena maturità della vita, mentre era già affermato nella carriera e viveva agiatamente, ha abbandonato l'Europa. Si è recato in Africa equatoriale per fondare un centro ospedaliero dove ha assistito e curato, per una cinquantina d'anni, gli abitanti indigeni. La sua filosofia della vita l'ha tradotta in queste parole, che rimangono come il suo Testamento Spirituale:
"l'unica cosa importante, Quando ce ne andremo, saranno le TRACCE D AMORE Che avremo lasciato".
L'uccello canta, Ma non domanda se qualcuno l'ascolta:
La sorgente scorre, Ma non domanda perché scorre.
L'albero fiorisce Ma non domanda se qualcuno lo guarda.
Albero, uccello, sorgente, Il loro dono lo danno per niente.

Canto popolare.

LA VITA SPIRITUALE E’ UN CAMMINO: il cammino dell'anima verso Dio. Come il cammino è fatto di TAPPE INTERMEDIE prima di raggiungere la META o il traguardo del viaggio, così nella Vita Spirituale l'uomo non può raggiungere Dio se non percorrendo le TAPPE del Cammino Spirituale CHE CONDUCE a Lui. La vita è una STRADA. L'importante è camminare sulla strada, anche se faticosa, verso la META. La vita invoca una meta, pena l'apatia, la disperazione, il fallimento. Cristo si è fatto per te VIA per accompagnarti e sorreggerti nel VIAGGIO DELLA TUA VITA INCONTRO AL PADRE. Non ti esime, però, dal compiere la tua parte. Senza la tua volontà e il tuo impegno assiduo, quotidiano, di seguire LUI, tu non cammini sulla STRADA. Nella VITA SPIRITUALE fermarsi significa retrocedere. Medita le parole del grande dottore della Chiesa S. Agostino, sopra citate. "Se dici 'Basta' sei perduto. Avanza sempre, cammina sempre", ricordandoti che su questa strada non sei mai solo … I Maestri di vita nello Spirito hanno tracciato l'itinerario che progressivamente conduce l'anima ad incontrare Dio.

È L'AVVENTURA PIÙ AFFASCINANTE DELLA VITA.
Eccone le varie tappe:

INIZIO DEL CAMMINO
La VITA SPIRITUALE è un DONO che Dio fa all'uomo.
II "Bagaglio Umano”, cresce sempre più comprese le esperienze negative. NELLA FEDE, l’uomo viene assunto e "trasfigurato": diventa ESPERIENZA DI DIO. Giungerà in cielo. La GLORIA che ognuno godrà in Paradiso sarà proporzionale al grado di Santità raggiunto nel Cammino della Vita Spirituale. Il Percorso è SENZA LIMITI, perché tra l'uomo e Dio la distanza è infinita: "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt. 5,45).

LA SORGENTE DELLA VITA SPIRITUALE E’ LA PASQUA DI GESU’ (Passione Morte Risurrezione). "Dalla sua pienezza - dice S. Giovanni - noi tutti abbiamo ricevuto e Grazia su Grazia" (Gv 1,16). Questa pienezza di Grazia ci viene donata mediante i Sacramenti. Nel BATTESIMO, che fonda la VITA SPIRITUALE perché fonda la VITA CRISTIANA, per opera dello SPIRITO SANTO veniamo INCORPORATI IN CRISTO. In LUI diveniamo FIGLI DI DIO e quindi COEREDI CON LUI della VITA ETERNA nella GLORIA. LA VITA SPIRITUALE è un CAMMINO CON CRISTO, dall'ESPERIENZA dolorosa e drammatica della LOTTA in mezzo alle TENTAZIONI nel DESERTO, fino all'ESPERIENZA BEATIFICANTE della CONTEMPLAZIONE di Dio sul TABOR. Il Padre chiama ogni
anima a percorrere questa strada verso il MONTE SANTO, per "trasfigurarla" nel proprio FIGLIO.
Il Cammino è lungo e faticoso. Ma, se è fedele a seguire lo Spirito Santo che la illumina, la guida, la fortifica, la persona inizia a vedere la propria vita con occhi nuovi: gli occhi della Fede. Sotto questa Luce, essa percepisce anzitutto la gravità del peccato come l'unico vero male che si oppone a Dio. Il primo passo nella VITA SPIRITUALE, ed in ogni Cammino di Conversione, è la detestazione della colpa, perché Dio non può abitare nel cuore dove regna il Maligno ossia dove l'uomo vive in uno stato di ribellione contro di Lui. Alle origini dell'umanità, come ci attesta la Bibbia, il peccato dell'uomo e della donna è stato la causa di tutti gli altri mali, sintetizzati nella morte ( Gen. c.3) "Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con esso la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato" ( Rm. 5,12 ). Nella VITA SPIRITUALE, la visione che un'anima ha nei confronti del peccato è direttamente proporzionale al senso che ha di Dio. Chi minimizza il peccato, manifesta praticamente di non prendere sul serio Dio, il suo Mistero di Amore rivelatoci dalla croce, la sua infinita Santità. Meditiamo in proposito le parole dell'Apostolo Pietro che ci svelano qual è il costo del nostro peccato. "Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l'argento e l'oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma CON IL SANGUE PREZIOSO DI CRISTO, Agnello senza difetti e senza macchia " (1Pietro 1,18-19). Agli inizi del Cammino Spirituale, l'anima viene illuminata soprattutto su due gravi insidie del male, che traggono in inganno e fanno cadere molte persone: la malizia dell'orgoglio, primo vizio capitale che li riassume tutti, e la nefasta seduzione che esercitano il denaro e le ricchezze sul cuore umano. La persona orgogliosa non vive nella verità del proprio essere di creatura, ma si autoinnalza al di sopra di se stessa e al di sopra degli altri, ponendosi di fatto, come i Progenitori, al posto di Dio. L'Apostolo Giovanni smaschera la SUPERBIA, come anche gli altri due vizi capitali che maggiormente "tiranneggiano" il cuore dell'uomo: l'AVARIZIA e la LUSSURIA. Questi tre vizi, ai quali l'uomo si abbandona più facilmente, dimenticando il suo rapporto con Dio Creatore e Padre, possono essere sintetizzati concretamente nei tre verbi: POTERE, AVERE, GODERE.

"Tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza (=desiderio sfrenato) della carne, la concupiscenza degli occhi, la SUPERBIA della vita non viene dal Padre, ma dal mondo" (I Gv. 2,16 ). L'orgoglio poggia tutto su una grande menzogna, che tende a divenire mistificazione dei valori. Ogni vizio, come ogni peccato, cercano sempre di camuffarsi, per non apparire nella loro cruda realtà. Soltanto la Parola di Dio, che è " la Spada dello Spirito", (Ef. 6,17) sa smascherarli pienamente. Ecco la menzogna di fondo: "Che cosa mai possiedi - ci dice San Paolo - che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come non l'avessi ricevuto?" (1 Cor. 4,7)... Quando pecchi, tu usi sempre i doni di Dio per rivoltarti direttamente contro di Lui e offenderlo. L'altra insidia che minaccia maggiormente l'uomo nel Cammino Spirituale, e che l'anima inizia a smascherare, è l'avidità del denaro e delle ricchezze. Anche se continua ad essere tentata dalla cupidigia di possedere, viene gradualmente illuminata sulla caducità e sulla insaziabilità dei beni materiali, dai quali, purtroppo, molte persone vengono sedotte. E' ancora San Paolo che ci mette in guardia dall'assecondare il desiderio di arricchire. Esso, per chi vi cede, diventa una vera trappola che ingabbia il suo cuore in una "fame di possesso" che è senza limiti. Questa a sua volta diventa il movente che causa, oltre a molti affanni, preoccupazioni e tribolazioni, anche tanti soprusi ed ingiustizie nei confronti del prossimo. "Quelli che vogliono arricchire, cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione. L'attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali" ( 1 Tim. 6,9 ). Come sono vere queste parole…! L'esperienza della storia e la cronaca quotidiana ne offrono ampia conferma. La bramosia sfrenata del denaro è la causa che scatena i delitti, gli atti di violenza, i furti e tutte le organizzazioni delinquenziali. 

domenica 13 novembre 2011

Capire la Santa Messa - XX Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:

CAPIRE LA MESSA
20° PARTE

RICORDATI, SIGNORE

Come in ogni preghiera di benedizione ebraica, la lode è accompagnata da domande; è così che noi riconosciamo la grandezza di Dio. Con il Cristo presente sull’altare, vogliamo affidargli i nostri defunti, la chiesa e coloro che la guidano, in breve, tutto ciò che ci sta a cuore. Come si presentano queste intercessioni? Normalmente, noi preghiamo prima per la chiesa in cammino sulla terra, nominando il Papa, il vescovo della diocesi e tutti i vescovi, i presbiteri, i diaconi e, in modo generale, tutti quelli che hanno la responsabilità del popolo di Dio. Preghiamo poi per i defunti che ci hanno preceduto nella fede e che vivono ora vicino a Dio, e infine per la comunità celebrante, affinché essa sia radunata con la Vergine Maria e tutti i santi del cielo in una sola ed eterna lode.

La preghiera per la Chiesa

Affidiamo dunque al Signore la chiesa, popolo di Dio e corpo di cristo, e coloro che hanno ricevuto la missione di governarla. Tutte le preghiere eucaristiche fanno menzione del Papa e del vescovo della diocesi del quale la messa è celebrata. Questo legame è importante, perché non si può celebrare validamente l’eucarestia se non in comunione con il vescovo, responsabile della chiesa locale – è da lui che il presbiterio ottiene il suo sacerdozio – e con il Papa successore di san Pietro, che presiede alla carità ed è garante della comunione di tutta la chiesa. Il Canone romano inizia chiedendo al Padre di accettare e di benedire queste sante offerte. Il sacerdote aggiunge: “Noi te l’offriamo anzitutto per la tua chiesa santa e cattolica, perché tu le dia pace e la protegga, la raccolga nell’unità e la governi su tutta la terra, con il tuo servo il nostro Papa N., il nostro vescovo N., e con tutti quelli che custodiscono la fede cattolica, trasmessa dagli apostoli”. Abbiamo qui una magnifica preghiera per la chiesa che possiamo fare nostra: chiediamo al padre di concederle la pace, di proteggerla da ogni male, di radunarla nell’unità e di governarla su tutta la terra. Per manifestare la nostra appartenenza a questa chiesa che noi affidiamo al Padre, il Canone aggiunge immediatamente: “Ricordati, Signore, dei tuoi fedeli. Ricordati di tutti i presenti, dei quali conosci la fede e la devozione”. La domanda: “Ricordati” potrebbe dare l’impressione che Dio si potrebbe dimenticare…. No, Dio non soffre di amnesia! Questa bella espressione, noi la incontriamo spesso nella Bibbia, nel corso dell’AT dove è spesso detto che “Dio si ricorda della sua alleanza”, fino al buon ladrone sulla croce che chiede: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”
(Lc 23, 42). Questa è la nostra preghiera confidente in Dio che veglia su di noi. La terza preghiera eucaristica apporta una bella nota di universalità: “Per questo sacrificio di riconciliazione dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la sua chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa N., il nostro vescovo., il collegio episcopale, tutto il clero [i presbiteri, i diaconi] e il popolo che tu hai redento. Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza. Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi”. Noi chiediamo al padre che il sacrificio di Cristo che noi riproponiamo produca i suoi frutti di salvezza e di pace sul mondo intero. Questa preghiera menziona non soltanto i presbiteri e i diaconi, ma ancora “tutto il popolo dei redenti”. Il sacerdote affida poi a Dio la preghiera di ogni membro dell’assemblea, e prega in qualche modo perché la chiesa missionaria possa raccogliere tutti i figli di Dio. La quarta preghiera aggiunge ancora che noi offriamo il sacrificio per “tutti gli uomini che ti [Dio] cercano con cuore sincero”.

La preghiera per i defunti

Preghiamo quindi per i nostri defunti, “che ci hanno preceduto con il segno della fede e dormono il sonno della pace”. Perché pregare per i defunti? Perché la messa è celebrata per i vivi e per i morti. A ogni messa, noi rinnoviamo il sacrificio di Cristo sulla croce, che ci apre le porte del cielo e ci fa accedere alla gloria promessa. Fin dai suoi inizi, la chiesa si è sempre ricordata dei defunti celebrando la “frazione del pane”. Santa Monica, al momento di morire, non chiederà nient’altro ai suoi figli che la messa: “Seppellite il mio corpo dove vi sembrerà bene e non inquietatevi affatto. Vi chiedo soltanto di ricordarvi di me davanti all’altare del Signore in qualsiasi luogo voi siate”. E’ per questo che noi offriamo delle intenzioni di messa per i nostri defunti¹ [¹ Ciò non significa che il sacramento sia lucrabile (cioè, ottenibile) o venga celebrato per un unico defunto, perché ogni messa è offerta per il mondo intero. Questa offerta è un segno concreto della nostra fede nell’efficacia dell’eucarestia, e anche un contributo materiale per il sacerdote, riconoscendo il ministero che egli compie e il suo ruolo essenziale nella vita della chiesa e del mondo].
La prima preghiera eucaristica implora la misericordia di Cristo per i nostri defunti: “Ricordati, o Signore, dei tuoi fedeli [di N. e di N.] che ci hanno preceduto con il segno della fede e dormono il sonno della pace. “Dona loro, Signore, e a tutti quelli che riposano in Cristo, la beatitudine, la luce e la pace”. Vediamo una magnifica progressione: i nostri defunti dormono nella pace; segnati dal dal segno della fede, riposano nel Cristo. Noi chiediamo al Padre che essi entrino nella gioia, nella pace e nella luce. La seconda preghiera eucaristica va nello stesso senso chiedendo al Signore di riceverli nella sua luce, vicino a Lui: “Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione, e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza: ammettili a godere la luce del tuo volto”. In occasione delle messe per i defunti, noi aggiungiamo l’intercessione seguente: “Ricordati del nostro fratello (della nostra sorella) N., che (oggi) hai chiamato a te da questa vita²: e come per il Battesimo l’hai unito alla morte di Cristo, tuo Figlio, così rendilo partecipe della sua risurrezione” (II). Noi ricordiamo che con il Battesimo, siamo stati “sepolti” con il Cristo nella morte per resuscitare con Lui. La terza preghiera eucaristica evoca la risurrezione dei nostri corpi, “ quando [[Cristo] farà sorgere i morti dalla terra e trasformerà il nostro corpo mortale a immagine del suo corpo glorioso”.
[² L’espressione “che hai chiamato a te (da questa vita)” potrebbe essere ritenuta non troppo felice. Certo, attesta un bell’atto di fede, ma può essere mal recepita, particolarmente in occasione della morte di un giovane, dando l’impressione che sia Dio che gli toglie così la vita. Bisogna ripetere con forza, come proclama il libro della Sapienza: “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi” (1,13).

La nostra comunione con i santi

Questa preghiera per i defunti orienta il nostro sguardo verso la chiesa del cielo. Terminiamo queste intercessioni domandando al Signore di avere parte alla comunione dei santi: “Di noi tutti abbi misericordia: donaci di avere parte alla vita eterna, insieme con la Beata Maria, vergine e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria” (II). Noi ci affidiamo alla misericordia di Dio perché “abbiamo parte alla vita eterna” e, in maniera più lirica, possiamo così cantare la lode del Padre per Gesù Cristo, suo diletto Figlio, con tutti i santi. L’evocazione dei santi comincia sempre con la Vergine Maria, riconoscendo che Ella è la Beata Madre di Dio. Dopo la menzione degli apostoli, dei martiri, il celebrante può nominare il santo festeggiato in questo giorno oppure il santo patrono della parrocchia. Le differenti preghiere eucaristiche descrivono mirabilmente la vita che che ci attende dopo il nostro “passaggio” attraverso la morte e la resurrezione. noi saremo ammessi nella comunità dei santi per vivere in loro compagnia(I), canteremo con loro la lode del Padre (II), otterremo i beni del mondo futuro (III) ricevendo in eredità la vita eterna dove potremo, con la creazione tutta intera finalmente liberata dal peccato e dalla morte, glorificare il Padre (IV) e contemplare lo splendore del suo volto. I santi che noi invochiamo non cessano di essere “nostri intercessori presso di te” (III). Le nostre intercessioni esprimono profondamente l’unità della chiesa.

La dossologia

La preghiera eucaristica si conclude con una grande acclamazione. Dossologia viene da doxa, che significa “Gloria” in greco, e logos, “Parola”. Si tratta dunque di una parola di “Gloria”, di parole per rendere gloria a Dio o per cantare la sua gloria: “Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli”. La dossologia è proprio il coronamento della preghiera eucaristica che ha per scopo di rendere grazie a Dio per i suoi innumerevoli benefici. Il gesto di elevazione e le parole esprimono come il Cristo immolato sia nello stesso tempo ricevuto dal padre e offerto al padre, nello slancio dello Spirito Santo, a beneficio di tutta la chiesa.
Una dossologia trinitaria
A te, Dio Padre, per Gesù nello Spirito: noi rendiamo gloria al Padre, dal quale viene ogni dono, per Gesù, con Lui e in Lui. Questa formula solenne canta la mediazione di Cristo: è per Lui che tutto ci è stato dato, ed è con Lui che tutto si fa, ed è in Lui che tutto ritorna al Padre. Questo dono e questo ritorno non potranno tuttavia compiersi senza la potenza unificante dello Spirito. E’ lui che ci unisce profondamente al padre e al Figlio.

L’elevazione

Dicendo “queste parole di gloria”, il sacerdote eleva il calice e la patena. Un gesto magnifico di offerta del Figlio al padre nello Spirito Santo. Questa elevazione rinvia direttamente alla croce sulla quale il Cristo è stato elevato da terra per salvare il mondo, alla sua risurrezione dai morti e alla sua ascensione al cielo alla destra del Padre. Dal momento che tutto è stato fatto per il Cristo, è tutta la creazione che noi eleviamo al padre offrendo il corpo e il sangue di suo Figlio. Le parole della dossologia sono pronunciate soltanto dal celebrante (e dai sacerdoti concelebranti), perché esse sono inseparabili dalla preghiera eucaristica che le hanno precedute. Ma i fedeli potranno esprimere la loro piena adesione dicendo o cantando Amen.
Questo Amen deve essere pronunciato con forza ( San Girolamo dice che dovrebbe essere come un colpo di tuono!), perché ratifica tutta la preghiera eucaristica. Con questa semplice parola, noi esprimiamo il nostro consenso a ciò che è stato appena compiuto; noi riconosciamo che il pane e il vino sono diventati il corpo e il sangue di Cristo; facciamo nostre le lodi e le intercessioni che sono state pronunciate dal celebrante. “Amen!” una parola eccezionale.


domenica 6 novembre 2011

Capire la Santa Messa - XIX Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:

CAPIRE LA MESSA
19° PARTE

E’ grande il mistero della fede!

Fare memoria

Anamnesi viene dal greco anamnèsis che significa “ricordo”, “commemorazione”. Fare anamnesi significa dunque ricordarsi, fare memoria, in relazione diretta con la Parola di Cristo che si è appena ascoltata dalla bocca del sacerdote: “Fate questo in memoria di me”. Celebrando l’eucarestia, noi obbediamo a questo comando. Perché “fare memoria” in senso Biblico, non è soltanto commemorare un fatto storico, ma celebrare un avvenimento passato che ha una ripercussione in ciò che noi viviamo oggi.
Quando una coppia di sposi festeggia il suo anniversario di matrimonio, non è tanto un avvenimento del passato che essi celebrano, quanto piuttosto il loro amore che sussiste e si approfondisce. E’ proprio ciò che noi viviamo a messa, quando facciamo memoria di Cristo che ha detto: “Questo è il mio corpo”, non si tratta di un semplice ricordo. Il pane diventa il corpo di Cristo e noi possiamo nutrircene oggi. E’ proprio un nutrimento divino che ci orienta verso l’avvenire, verso il banchetto del regno eterno. Approfondiamo questa acclamazione che si ritrova in alcune liturgie d’Oriente, ma che è stata introdotta da noi soltanto con la riforma liturgica dopo il Vaticano II.

L’invito del sacerdote

L’anamnesi incomincia con l’invito del sacerdote: “(E’ grande il) mistero della fede” oppure “Proclamiamo il mistero della fede”. Precisiamo che “Mistero” non ha niente a che vedere con misterioso, nel senso di occulto, bizzarro, enigmatico: “Ma dove sono finite allora le mie chiavi? E’ un mistero!” oppure “Questa persona non parla molto, non si sa che cosa pensi, è misteriosa…”. Il mistero designa l’azione con la quale Dio realizza il suo progetto di salvarci. Nella liturgia dell’eucarestia, noi celebriamo il mistero pasquale che ingloba tutta la Pasqua di Cristo, dall’ultima cena, passando per la passione, la morte e la resurrezione, fino alla glorificazione. “(E’ grande il) mistero della fede”: il sacerdote invita dunque l’assemblea ad acclamare il Cristo morto, resuscitato, glorificato, vivo e presente in mezzo a noi. E poiché il pane e il vino conservano le stesse apparenze, è per la fede che noi riconosciamo e acclamiamo questo grande mistero.

L’anamnesi dell’assemblea

Nella prima delle tre formule, l’assemblea risponde: “Annunciamo la tua morte Signore (Gesù), proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”. Noi acclamiamo il mistero della fede in questa triplice dimensione temporale: il Cristo era morto per noi (passato<9, è vivo, risorto (presente), ritornerà nella gloria (futuro). Questa prima anamnesi aggiunge una dimensione dinamica da parte nostra: noi attendiamo il suo ritorno, siamo protesi verso questo orizzonte. Nella seconda acclamazione, diciamo: “Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice, annunciamo la tua morte Signore, nell’attesa della tua venuta”.
Questo dialogo si ispira direttamente alla frase che san Paolo aggiunge al racconto dell’ultima cena: “Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché Egli venga” (1 Cor 11, 26). La terza anamnesi dell’assemblea riprende gli elementi essenziali delle altre formule, cioè il ricordo della morte, della resurrezione e dell’attesa del ritorno di Cristo: “Ti ci hai redenti con la tua croce e resurrezione: salvaci, o Salvatore del mondo!”.
Rimarchiamo che queste acclamazioni si rivolgono direttamente a Cristo, ciò che è raro nella liturgia. E’ come se facessimo una pausa nella preghiera eucaristica rivolta al Padre per acclamare il Cristo che si rende presente.

L’anamnesi del sacerdote e la preghiera d’offerta

Il sacerdote prosegue riprendendo l’anamnesi dell’assemblea: egli menziona anche il nostro memoriale della morte, della resurrezione e dell’attesa del ritorno glorioso di Cristo. Questa anamnesi andrà a sbocciare in una preghiera di offerta e di ringraziamento: “Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta, ti offriamo, Padre, il rendimento di grazie, questo sacrificio vivo e santo” (III).
Questa offerta, il Cristo vivo e santo che noi offriamo al Padre per rendere a Lui grazie, e riconosciamo che questo sacrificio “riconcilia nel tuo amore l’umanità intera” (Riconciliazione I)
“Per la salvezza del mondo” (IV). Alcune preghiere aggiungono che noi stessi ci offriamo insieme al Cristo: “Celebrando il memoriale della morte e resurrezione del tuo figlio, noi ti offriamo, o Padre, il sacrificio di riconciliazione, che egli ci ha lasciato come pegno del suo amore e che tu stesso hai posto nelle nostre mani. Accetta anche noi, Padre Santo, insieme con l’offerta del tuo Cristo” (Riconciliazione II)

La seconda epiclesi

Questa preghiera d’offerta e di ringraziamento introduce una nuova epiclesi: noi invochiamo lo Spirito Santo, questa volta sull’assemblea, perché essa possa beneficiare pienamente di ciò che si è appena realizzato. Per il dono dello Spirito, noi chiediamo di essere costituiti in un solo corpo, noi che riceveremo il medesimo corpo di cristo: “Ti preghiamo umilmente, per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo” (II). La formula è più sviluppata nella terza preghiera, nella quale noi chiediamo al Padre di vedere nel sacrificio della Chiesa quello del tuo figlio, che lo ha compiuto sulla croce “una volta per tutte” (Eb 7, 27) e che la Chiesa ripropone in ogni eucarestia: “Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito” (III).
Le preghiere per la riconciliazione insistono sull’azione dello Spirito Santo che fa scomparire le cause delle nostre divisioni. La preghiera per le circostanze particolari evoca anch’essa la nostra incorporazione al corpo di Cristo: “La forza del tuo Spirito faccia di noi, ora e per sempre, i membri del tuo Figlio risorto, per mezzo della nostra comunione al suo corpo e al suo sangue”.
Le epiclesi sono belle e importanti, ma sfortunatamente non abbastanza valorizzate.

Ricapitolando

Noi acclamiamo il Cristo presente sotto le apparenze del pane e del vino con il canto dell’anamnesi. Questo termine significa “memoriale”, perché noi facciamo memoria della sua morte, della sua resurrezione e del suo ritorno nella gloria che attendiamo. Il celebrante prosegue rendendo grazie a Dio per l’offerta di cristo che salva il mondo, e invoca una seconda volta lo Spirito Santo, sull’assemblea, questa volta, perché essa sia pienamente santificata in virtù della comunione al corpo e al sangue di Cristo, e perché essa sia costituita in un solo corpo.
Invochiamo con tutto il nostro cuore il dono dello Spirito santo sull’assemblea e su tutta la Chiesa!