"La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture non mancando mai, soprattutto nella liturgia, di nutrirsi del pane della vita, sia della Parola di Dio, sia del Corpo di Cristo". (Concilio Vaticano II)

mercoledì 26 febbraio 2014

Capire la Santa Messa - Ultimo Appuntamento

Torna l'appuntamento con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:


CAPIRE LA MESSA
25a PARTE
LA MESSA E’ FINITA, ANDATE

La benedizione e l’invio
E siamo alla quarta e ultima parte della messa, con i riti brevissimi dell’invio: un ultimo dialogo, la benedizione e il congedo. In alcune parrocchie questi riti sono preceduti da alcuni avvisi e informazioni sugli eventi della settimana.
Precisiamo subito che non si tratta di un fine – non si “conclude” la messa, anche se si sente talvolta qualcuno dire: “Finisce presto?” – ma di un invio: noi stiamo per ripartire, forti di ciò che abbiamo vissuto, ascoltato e ricevuto. La struttura dei riti dell’invito è del tutto simmetrica a quella dei riti di apertura.

La benedizione finale
La benedizione comincia di nuovo con il dialogo: “Il Signore sia con voi”. “E con il tuo spirito”. Ripreso al termine della celebrazione, questo dialogo riafferma con più forza ancora la presenza di Gesù in mezzo ai suoi. Dopo essersi comunicato, e dopo che anche i fedeli si sono comunicati, il celebrante augura ai fedeli di continuare a vivere alla presenza del Signore. Poi il sacerdote benedice l’assemblea da parte del Signore. Questa benedizione finale implora la protezione del Padre, del Figlio e dello Spirito su coloro che stanno per ripartire. Essa chiede che rimangano in loro i doni che hanno ricevuto, perché continuino a vivere dello Spirito dell’eucarestia che hanno appena celebrato. Questa benedizione si radica nell’AT dove i sacerdoti erano invitati a benedire l’assemblea al termine di ogni celebrazione liturgica. Il libro dei Numeri riporta anche una formula che si può ancora utilizzare: “Il Signore parlò a Mosè e disse: “Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “ Così benedirete gli Israeliti e direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti dia pace”. (6, 22-27). E’ la benedizione di Dio che viene invocata. E’ lo stesso per la benedizione del sacerdote alla fine della messa: “Vi benedica Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo”. Questa benedizione finale ricorda anche l’ultimo gesto di Gesù, alla fine del Vangelo di Luca, che è stato elevato al cielo mentre benediceva i suoi discepoli: “Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo” (24,50-51).
Allo stesso modo, prima di rimandare i fedeli nel mondo ad annunciare ai loro fratelli la resurrezione di Cristo, il sacerdote eleva le mani su di loro, li segna con il segno della croce e invoca su di loro la benedizione di Dio. Nelle grandi feste il Messale prevede una benedizione solenne e più ampia, essa sviluppa il mistero festeggiato in questo giorno. I fedeli ricevono attivamente la benedizione rispondendo Amen a ogni invocazione. Ecco la benedizione solenne nella notte di Pasqua:
In questa santa notte di Pasqua, Dio Onnipotente vi benedica e vi custodisca nella sua pace. – Amen.
Dio, che nella Pasqua del suo Figlio ha rinnovato l’umanità intera, vi renda partecipi della sua vita immortale. ─ Amen.
─ Voi, che dopo i giorni della passione celebrate con gioia la resurrezione del Signore, possiate giungere alla grande festa della Pasqua eterna. ─ Amen.
─ E la benedizione di Dio onnipotente, Padre, Figlio e Spirito santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre. ─ Amen.
Il Messale propone anche altre benedizioni solenni per circostanze particolari come una festa parrocchiale, una consacrazione, un battesimo, ecc.
Esiste una formula di benedizione riservata ai vescovi: ─ Sia benedetto il nome del Signore. ─ Ora e sempre. ─ Il nostro aiuto è nel nome del Signore. ─ Egli ha fatto cielo e terra. ─ Vi benedica Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito santo. ─ Amen.
Il vescovo traccia allora sull’assemblea un triplice segno di croce, segno di pienezza della benedizione che egli dà, in quanto successore degli Apostoli, da parte del Signore.

Il congedo
La messa si conclude con le parole dell’invio, che sono normalmente pronunciate dal diacono (oppure in sua assenza dal presbitero): “La messa è finita: andate in pace”. La versione originaria latina è più concisa ma anche più cruda: Ite, missa est, “Andate questo è il rinvio”. In effetti, come abbiamo visto nel primo capitolo, la parola latina missa significa “azione di lasciare andare”, “rinvio”. Il Signore ci invia, come ha inviato un tempo i suoi discepoli: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16, 15). “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”
(Mt 28, 19-20) . La messa in chiesa è finita, è dunque la missione nel mondo che incomincia. Noi ci siamo lasciati radunare dal Signore, ora siamo invitati per vivere concretamente questa fraternità con i nostri fratelli, e con le nostre sorelle in umanità. Abbiamo ascoltato la Parola di Dio, l’abbiamo meditata e acclamata, ora siamo invitati al fine di metterla in pratica e di testimoniarla. Abbiamo reso grazie a Dio nel corso della preghiera eucaristica, ora siamo inviati per proseguire nell’azione di grazie, scoprire l’azione del Signore nella nostra vita e la bellezza delle sue opere, e aiutare coloro che non hanno speranza. Abbiamo ricevuto Cristo che si è dato per amore fino alla fine, ora siamo inviati per dare la nostra vita come Egli ha dato la sua, per amare e perdonare come Lui. Abbiamo pregato per la pace e interceduto per coloro che soffrono, ora siamo inviati per agire concretamente, consolare coloro che faticano, riconfortare coloro che soffrono e costruire la pace intorno a noi. Con un ultimo grido di gioia e di fede, l’assemblea esprime la sua riconoscenza per questa eucarestia: “Rendiamo grazie a Dio”. A Pasqua durante l’ottava seguente e a Pentecoste, fine del tempo pasquale, si aggiungono degli Alleluia a questo dialogo di congedo che è, se possibile, cantato: ─ La messa è finita: andate in pace. Alleluia, Alleluia. ─ Rendiamo grazie a Dio. Alleluia, Alleluia.
Nietzsche diceva: Crederei più facilmente se i cristiani avessero una faccia da salvati”. E noi, che faccia abbiamo quando usciamo dalla chiesa? Alcune parrocchie e comunità religiose hanno preso la bella abitudine di concludere la messa con un canto alla Vergine Maria; è con Lei che noi vogliamo ripartire e meditare tutti questi avvenimenti nel nostro cuore.

Padre Leopoldo si commiata da noi con un suo pensiero: “Siamo così arrivati al termine di questo itinerario sulla santa messa. Ho iniziato invitandovi ad essere curiosi come quando riceviamo un nuovo apparecchio e ad approfondire ciò che viviamo in ogni messa. Spero che questo scopo sia stato raggiunto nel corso di questi venticinque capitoli.
Non so quante siano le persone che hanno avuto la “forza e la costanza” di seguire tutto il percorso di questa catechesi….. Mi piace pensare che forse qualcuno ne ha tratto giovamento. E anche se non abbiamo capito proprio tutto della messa ─ è impossibile, talmente grande è il mistero ─, potremo tuttavia vivere la messa in modo più profondo. E’ un grande mistero, ma è un mistero d’amore”.
Un grazie di cuore a P. Leopoldo, ex Priore Francescano della Chiesa San Francesco di Brescia per il bellissimo insegnamento che ha voluto lasciare a tutti noi. Dio la benedica Padre Leopoldo!

Capire la Santa Messa - XXIV Appuntamento



Torna l'appuntamento con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:  

 CAPIRE LA MESSA

24° PARTE



I RITI DELLA COMUNIONE



La comunione del sacerdote e dei fedeli
Il celebrante e i ministri ordinati si comunicano con rispetto dicendo innanzitutto a voce bassa: “il corpo di Cristo mi custodisca per la vita eterna. Il sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna”. Questa invocazione riprende la promessa di Gesù: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54). Ogni comunione fa crescere in noi la vita eterna ricevuta con il nostro battesimo.

I ministri ausiliari dell’eucarestia
Se il sacerdote è solo o se i ministri ordinati non sono abbastanza numerosi per dare la comunione a una grande assemblea, si faranno aiutare dai ministri ausiliari della comunione. Dopo aver seguito una formazione, i ministri ausiliari della comunione ricevono un mandato dal vescovo. Essi hanno anche la bella missione di portare la comunione alle persone malate e anziane.

Tendere le mani verso l’eucarestia
I fedeli, contrariamente ai ministri ordinati, non prendono il corpo di Cristo, essi lo ricevono dal ministro che lo dà loro. Questo bel gesto da mettere in relazione con l’ultima cena nella quale i discepoli hanno ricevuto il pane e il vino dalle mani di Gesù, ricorda che l’eucarestia è un dono, il dono di Cristo nella cena e sulla croce. Nessun dono è più prezioso di questo. Ciascuno sceglie, secondo l’uso locale e la sua propria sensibilità, di ricevere la comunione in bocca, seguendo l’abitudine adottata nel Medioevo oppure tenendo le mani come la chiesa autorizza dalla riforma liturgica dopo il Vaticano II, e secondo l’antichissima consuetudine cristiana. Così, san Cirillo, vescovo di Gerusalemme nel IV secolo, spiega ai neofiti: “Udendo dunque l’invito, non avvicinarti con le palme delle mani spalancate o con le dita distanziate. Ma nella mano sinistra fa un trono per la destra che riceverà il Re. Ricevi il corpo di Cristo nel cavo della tua mano e rispondi: Amen” l’Amen che noi pronunciamo è una vera professione di fede: si, è proprio vero, è il corpo e il sangue di Cristo che io ricevo, è il Signore che si dà a me e che io voglio accogliere con tutto il mio cuore; Egli viene a dimorare in me perché io dimori in Lui e sia sempre più suo discepolo. “Se voi siete il corpo di Cristo e i suoi membri, scrive sant’Agostino, è il sacramento di ciò che voi siete che viene deposto sulla mensa del Signore; è il sacramento di ciò che voi siete che voi ricevete. E’ a ciò che voi siete che voi rispondete Amen. Questa risposta è la vostra firma. Tu ascolti in effetti “Corpo di Cristo”. E rispondi: “Amen!”. Sii membro del corpo di Cristo perché il tuo Amen sia vero!”.

Diventare il corpo di Cristo
Comunicandoci noi diventiamo ciò che riceviamo. E’ dunque il contrario di ciò che accade abitualmente: quando mangiamo assimiliamo un alimento che perde la sua sostanza. Così, quando mangio del coniglio, non divento un coniglio (fortunatamente); è il coniglio che cessa di esistere in quanto tale e che “diventa” me. Ma quando noi ci comunichiamo, se vi consentiamo, perché il Signore rispetta sempre la nostra libertà, è il Cristo che ci “assimila” perché noi siamo uniti a Lui. Così possiamo dire con san Paolo: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me”” (Gal 2,20).

La comunione sotto le due specie
La chiesa incoraggia, quando ciò è possibile, la comunione sotto le due specie del pane e del vino. Certamente, anche ricevendo soltanto il corpo di Cristo, i fedeli comunicano pienamente al Cristo totale, ma noi non rispondiamo perfettamente all’invito di Cristo che, dando il calice ai suoi discepoli ha detto: “Bevetene tutti” (Mt 26,27)

La frequenza della comunione
Nei primi secoli i fedeli si comunicavano spesso e si portavano anche a casa del pane consacrato per fare la comunione durante la settimana. Poi, al fine di sottolineare la grandezza di questo sacramento , si è arrivati a comunicarsi meno sovente, e anche soltanto qualche volta all’anno. Il Concilio di Trento incoraggiò la comunione frequente e il Papa Pio X la ristabilì effettivamente. La chiesa ci invita dunque a comunicarci ogni domenica e anche, se ciò è possibile, ogni giorno. Il fedele che partecipa pienamente a una seconda messa nello stesso giorno ha la possibilità di comunicarsi una seconda volta. Facciamo tuttavia attenzione a non comunicarci per abitudine seguendo il movimento della folla, ma accogliendo con tutto il nostro cuore il Signore che si fa cibo per noi.

L’azione di grazie
Dopo aver ricevuto un così grande “Tesoro”, è bene fermarsi un momento al fine di potersi rendere conto di ciò che è appena accaduto, di accogliere la presenza del Signore che viene a dimorare in noi. Tuti i liturgisti che ho consultato insistono sull’importanza del silenzio che segue la comunione. A proposito di questo momento di ringraziamento san Tommaso Moro (Thomas More) diceva: “Avendo ricevuto nostro Signore, avendolo presente nel nostro corpo, non lo lasceremo tutto solo per occuparci di altre cose senza più fare alcun caso a Lui: solo un maleducato tratterebbe in questo modo l’ultimo degli invitati. Gesù sia la nostra unica occupazione. E’ questo il momento di rivolgerci a Lui con una preghiera fervente, di intrattenerci con Lui con ferventi meditazioni”.
Che tristezza vedere la gente che scappa subito dopo la comunione! Un bambino, mentre sua nonna voleva andarsene subito dopo la comunione senza riservare un momento al ringraziamento le disse: “Ma nonnina! Il Signore non ha finito!”. San Filippo Neri vedeva che diversi parrocchiani uscivano dalla chiesa dopo aver ricevuto la comunione, senza concedersi il tempo di ringraziare il Signore per il dono della propria carne. Un giorno lui mandò due ministranti con delle candele ad accompagnare questi parrocchiani all’uscita della chiesa. Questi furono sorpresi e turbati  e chiesero al santo padre che cosa ciò significasse. Filippo Neri disse loro:  “Ho mandato i ministranti semplicemente per accompagnare il Santo Sacramento che hai ricevuto alla comunione affinché ringraziassero e lodassero il Signore al posto tuo”. Avendo ricevuto il signore, essendo così intimamente uniti a Lui, possiamo confidargli tutto. Possiamo intercedere per quelli che soffrono, e anche comunicarci per quelli che non vengono, chiedendo a Dio di riversare nel loro cuore le stesse grazie che riceviamo noi. Capite bene ora l’importanza di questo tempo di silenzio dopo aver ricevuto il Signore. Silenzio di raccoglimento. Silenzio di intimità con il Cristo. Silenzio di adorazione e contemplazione. Silenzio d’intercessione. Quale danno che il silenzio del dopo comunione non venga rispettato, o che sia così breve che si abbia appena il tempo di abbeverarsi! Dieci, quindici secondi….., come se si avesse fretta di ripartire! E’ nel silenzio che Dio lavora i cuori e agisce. E’ tempo di riscoprire il valore del silenzio nella liturgia.

Il canto di comunione
Questo canto di comunione permette all’assemblea di rendere grazie tutti insieme per il dono ricevuto e di meditare questo grande mistero. La corale può anche cantare mentre i fedeli si comunicano, e lasciare posto al silenzio dopo la comunione. Se non ci sono canti, come per esempio nelle messe della settimana, il sacerdote può leggere l’antifona proposta nel Messale. Queste antifone sono tratte dalla Bibbia, prese in prestito principalmente dai Vangeli e dai salmi. Variando a seconda della festa o del tempo liturgico, esse sono offerte alla nostra meditazione. Così, per la solennità dell’Ascensione il messale propone: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Per la festa del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo: «Dice il Signore: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me, e io in lui”» (Gv 6,56).


La preghiera dopo la comunione
I riti della comunione si concludono con una preghiera, una “Colletta” che il sacerdote dice a nome di tutti. E’ l’ultima delle tre orazioni variabili della messa dopo la preghiera di apertura e quella sulle offerte. In questa preghiera noi chiediamo al Padre che questa comunione porti abbondanti frutti e ci faccia crescere verso la vita eterna. Imploriamo anche la forza dello slancio missionario perché possiamo testimoniare ciò che abbiamo ricevuto. Prendiamo, per esempio, la preghiera della tredicesima domenica ordinaria; insiste sulla vita divina che abbiamo ricevuto e che è chiamata a portare frutto: “La divina eucarestia, che abbiamo offerto e ricevuto, Signore, sia per noi principio di vita nuova, perché, uniti a te nell’amore, portiamo frutti che rimangono per sempre. Per Cristo nostro Signore.