"La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture non mancando mai, soprattutto nella liturgia, di nutrirsi del pane della vita, sia della Parola di Dio, sia del Corpo di Cristo". (Concilio Vaticano II)

domenica 23 ottobre 2011

Capire la Santa Messa - XVIII Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:

CAPIRE LA MESSA
18° PARTE

L’epiclesi e la consacrazione

Dopo il prefazio e il Sanctus, arriviamo alla consacrazione del pane e del vino con l’invocazione dello Spirito Santo (epiclesi) e le parole di Gesù nell’ultima cena (racconto dell’istituzione)

Una scelta di preghiere eucaristiche

Il Messale romano propone una decina di preghiere eucaristiche. La prima preghiera eucaristica è denominata Canone romano; prima della riforma della liturgia, era la sola preghiera eucaristica a disposizione. la seconda è stata composta a partire da una antichissima tradizione che si attribuisce a sant’Ippolito (inizio del III secolo). Mentre la terza si ispira anch’essa a testi liturgici antichi, la quarta è una magnifica composizione recente, vicina alle preghiere dei cristiani d’Oriente, che sviluppa tutta l’opera della salvezza dalla creazione, passando per l’Alleanza al tempo di Mosè, quindi per i profeti, per arrivare alla nuova Alleanza nel Cristo. A queste quattro preghiere principali, si aggiungo due preghiere eucaristiche per la riconciliazione, tre per le assemblee dei bambini, e un’ultima per le circostanze particolari e i grandi raduni con quattro varianti. Leggendo le pagine seguenti, vi invito a riferirvi a queste preghiere eucaristiche che troverete in tutti i messali. Per non dilungarci troppo, citeremo più particolarmente la seconda.

La prima epiclesi

Il celebrante riprende l’acclamazione del Sanctus che è stato appena cantato riaffermando la santità di Dio, prima di chiedergli di effondere il suo Santo Spirito sul pane e sul vino. “Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura. Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi tutto l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto” (III). La domenica, giorno della resurrezione, e in occasione delle grandi feste, il Messale propone un’aggiunta in relazione alla festa del giorno. Ecco per esempio quella della pentecoste: “Per questo motivo siamo qui riuniti davanti a te, nella comunione di tutta la Chiesa, celebriamo il giorno santissimo della Pentecoste, nel quale lo Spirito Santo si è manifestato agli Apostoli con innumerevoli lingue di fuoco” (III).

Che cos’è l’epiclesi¹?

(¹la parola significa letteralmente una “chiamata sopra” “epi, su, sopra”, klesis dal verbo kaleo, “chiamare”.
L’epiclesi è una “invocazione”. Nella preghiera eucaristica, ci sono due epiclesi. La prima è l’appello rivolto al Padre perché invii il suo Spirito sul pane e sul vino affinché questi diventino il corpo e il sangue di Cristo; e la seconda è l’appello sulla comunità affinché essa sia santificata per la comunione al corpo e al sangue di Cristo.
Il padre Garneau ricorda che senza lo Spirito Santo non si può fare nulla: “Un tempo era occorso lo Spirito Santo perché il Cristo prendesse carne nel seno della Vergine Maria. Oggi, occorre ancora la forza dello Spirito Santo perché il pane diventi ancora il corpo di Cristo risorto e il vino il suo sangue. Occorre anche la presenza e la forza dello Spirito Santo perché tutti noi, che siamo riuniti per l’eucarestia diventiamo il corpo di Cristo! Ovunque qualche cosa di grande si compie nel nome di Dio, lo Spirito è lì. Niente si compie senza di Lui. Con Lui, tutto diventa possibile. Ciò che lo Spirito tocca, si ritrova consacrato, santificato”.

L’invocazione dello Spirito Santo sulle offerte

Noi chiediamo dunque al Padre di “santificare questi doni con l’effusione del tuo Spirito” sulle offerte, (II), di “mandare il tuo Spirito perché i doni che ti offriamo diventino il corpo e il sangue del tuo amatissimo Figlio, Gesù Cristo, nel quale anche noi siamo tuoi figli”(Riconciliazione I): “Ora ti preghiamo umilmente: manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri”. (III)
Questa prima epiclesi esprime dunque chiaramente che la transustanziazione (= cambiamento di sostanza del pane che diventa il corpo di Cristo e del vino che diventa il suo sangue) si opera per la potenza dello Spirito Santo. Noi ci mettiamo in ginocchio in segno di venerazione, di adorazione davanti al Signore che si rende presente mediante la venuta dello Spirito Santo e per mezzo delle parole efficaci del sacramento.

Le parole dell’istituzione

L’istituzione dell’eucarestia nell’ultima cena ci è riferita dai tre Vangeli sinottici come pure da S. Paolo². (² Mt26,26-28; Mc 14,22-24; Lc22,19-20; 1Cor 11,23-25).
Nella messa, noi riprendiamo il racconto dell’ultima cena. Ci sono alcune piccole varianti nella introduzione del racconto; queste sono interessanti, perché precisano l’intenzione di Cristo:
“Egli, venuta l’ora di essere glorificato da te, Padre Santo, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”(IV). “Egli, venuta l’ora di dare la vita per la nostra liberazione” (Riconciliazione II).
“Prima di stendere le braccia fra il cielo e la terra, in segno di perenne alleanza, Egli volle celebrare la Pasqua con i suoi discepoli” (Riconciliazione I).
Prima della sua morte sulla croce, Egli ci lasciò il segno più grande del suo amore” (Fanciulli II). “Egli offrendosi liberamente alla sua passione” (II).
Avvertiamo bene la chiara volontà del Signore di darsi liberamente e per amore al fine di salvarci. Seguono le parole di Cristo che sono le stesse in ogni preghiera eucaristica, ciò che facilita la celebrazione. Queste parole di Cristo sono accompagnate da quattro gesti che ne rischiarano il senso: Egli prese il pane, lo benedisse, lo spezzo e lo diede loro. “Nella notte in cui fu tradito, Egli prese il pane ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: “Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”.
Il sacerdote, in nome di Cristo. Prende il pane. Inchinandosi leggermente, in segno di rispetto e di venerazione, pronuncia queste parole lentamente, distintamente. Ogni parola ha la sua importanza: “Questo” designa il pane, frutto della terra e del lavoro degli uomini. Gesù lo benedice sottolineando così che questo pane è un dono di Dio. Questo pane spezzato e distribuito tra tutti unirà coloro che ne mangeranno: dato da Gesù ai discepoli, è fattore di comunione fra loro e Lui.
“Il mio corpo” designa tutta la persona di Gesù. E’ il corpo di Cristo morto, resuscitato e glorificato che noi riceveremo.
“E’”: questo pane è il mio corpo. Come è possibile? Noi vediamo sempre del pane….. Ma Gesù ha proprio detto questo è il mio corpo, e non questo rappresenta il mio corpo. Poiché Egli è il Figlio di Dio, noi sappiamo che realizza ciò che dice. D’ora in avanti, anche se i nostri sensi non percepiscono che del pane, crediamo che questo pane è diventato realmente corpo di Cristo.
“offerto per voi”: E’ per noi che il Cristo si è offerto, affinché noi abbiamo la vita, la salvezza. Noi siamo coinvolti in questo sacrificio.
“Prendete e mangiate”: è un appello a ricevere, a prendere nelle proprie mani e a non rimanere dei semplici ascoltatori. Queste parole implicano una relazione, e più ancora una reciproca abitazione di Cristo in colui che lo riceve e inversamente: “Colui che mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e Io dimoro in lui” (Gv 6,56). Durante la consacrazione, il sacerdote parla a nome di Cristo, non forma più che una cosa sola con Lui, si dà con Lui; evidentemente non è il suo proprio corpo che egli dà da mangiare, ma quello di Cristo.
Ascoltiamo il seguito del racconto con la consacrazione del vino: “Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli e disse: “Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”.
Il sangue è quello della nuova alleanza, un’alleanza definitiva, che non ha più bisogno di essere continuamente ricominciata come nell’Antico Testamento. Il sangue è versato per noi e per la moltitudine di tutte le età e di tutti i tempi.
E’ versato “in remissione dei peccati”, perché il sacrificio di Cristo, che ha preso su di sé tutte le nostre colpe, ci ottiene il perdono. Gesù aggiunge questa piccola affermazione che dà pienamente senso a ciò che noi celebriamo: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). Se noi ci riuniamo per celebrare la messa, è prima di tutto per rispondere a questo invito. Gesù ci invita a rivivere il dono del suo corpo e del suo sangue, perché possiamo, anche noi, oggi, raccoglierne i frutti di salvezza. Comprendiamo bene la solennità di questo grande momento. Dopo la consacrazione, il sacerdote mostra all’assemblea il pane divenuto corpo di Cristo e il vino divenuto sangue di Cristo. Noi possiamo brevemente adorare il Signore. Quando il sacerdote eleva l’ostia e il calice, un ministrante può incensarli. E’ talvolta usanza suonare una campanella per sottolineare la venuta di Cristo. Poi il celebrante fa una genuflessione in segno di riconoscenza e di adorazione della presenza di Cristo.


giovedì 20 ottobre 2011

Itinerari di fede - XIII appuntamento

Torniamo a meditare attraverso il nuovo percorso ricco di diversi itinerari, sempre scritti dalla mano di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia (ringraziamo sempre Enza per l'opera non facile di trascrizione), concernenti ora la vita spirituale:

LA VITA SPIRITUALE (PARTE QUARTA)

LA FINALITA' DELLA VITA SPIRITUALE
 
Nel Cammino della VITA SPIRITUALE, guidato dalla potente azione dello Spirito Santo, fai una scoperta fondamentale, che è come una folgorazione: DIO è il TUTTO, tu sei il NULLA, trasformato dal suo amore in PURO DONO. Allora compi l'atto più grande e più vero della tua vita: ti prostri davanti a LUI in un silenzio profondo e adorante, come Mosè al roveto ardente. La stupenda preghiera che riportiamo ci orienta per individuare la vera finalità della VITA SPIRITUALE secondo il progetto di Dio.
O SIGNORE, DIO Tu ci ami da sempre e per sempre. Tu non possiedi nulla che non sia donato.
Tu non ti manifesti che come dono, non sai che donarti. Tu non ti riveli che abbandonato a noi.
Tu ami ciascuno di noi dal più profondo. Tu ti affidi, ti consegni a noi. Tu sei sempre vicino perché ci ami e basta. Tu ti offri e non ti imponi mai. Tu sei onnipotente, ma nell'amore: sei cioè uno che si dona senza misura. Tu ami gratis: non vuoi dei sudditi, non sei diffidente, non ti arrabbi, non sei vendicativo, non premi e non castighi. Tu continui sempre, tenace nell'amore, a donarci fiducia. Il catechismo di S. Pio X poneva all'inizio una domanda fondamentale che tutte le persone :"Perché Dio ci ha creato?" La riposta era tanto semplice quanto profonda: "Dio ci ha creato per conoscerLo, amarLo e servirLo in questa vita per meritare di goderLo poi eternamente in Paradiso". È vero: la risposta oggi si esprimerebbe diversamente nella forma, ma rimarrebbe comunque intatta nella sua sostanza: Dio ci ha creato per renderci suoi figli nel Figlio e come tali partecipi eternamente della sua vita divina. Ogni anima che sale la SANTA MONTAGNA, viene inondata progressivamente dal soffio potente dello SPIRITO SANTO, e scopre con gioioso stupore, che la SOLA, GRANDE VERITÀ DELLA VITA È L'AMORE. E quando si dice AMORE si dice DIO. "IN PRINCIPIO È L'AMORE", dal quale tutto si irradia e al quale tutto fa capo. Non può più tenere racchiusa in se stessa la PIÙ GRANDE SCOPERTA DELLA VITA: L'AMORE DI DIO. "La bocca parla della pienezza del cuore" (Mt. 12,34). E canta questo poema dell'Amore… "Come il Padre ha amato Me, così anch'Io ho amato voi. Rimanete nel mio Amore" (Gv. 15,9). L'Amore è CIRCOLARE. Inizia dal PADRE che ne è la Sorgente Inesauribile. Il PADRE (= AMANTE) dall'eternità genera il FIGLIO (=AMATO). Il FIGLIO ricambia l'Amore del PADRE con la stessa intensità e pienezza con cui lo riceve. Il flusso di Amore reciproco PADRE-FIGLIO-PADRE costituisce la persona dello SPIRITO SANTO (=AMORE), COMUNIONE ETERNA E BEATIFICANTE TRA IL PADRE E IL FIGLIO.
Questo AMORE TRINITARIO è la VITA DI DIO, infinitamente beato in se stesso, ma per un suo disegno imperscrutabile, Egli ha scelto di diffonderlo al di fuori di sé. "Non per altro ama Dio se non per essere amato, sapendo che coloro che lo ameranno si beeranno di questo stesso Amore" (San Bernardo). E così il Poema dell'Amore Trinitario di Dio viene comunicato e partecipato a miriadi di altri esseri mediante la CREAZIONE. Il grande progetto del PADRE: donare il proprio FIGLIO nella POTENZA DELLO SPIRITO SANTO, perché divenga il CUORE del mondo, il SIGNORE di ogni creatura umana, per renderla pienamente partecipe della sua vita divina. L'amore del PADRE si rende così visibile e si realizza in pienezza attraverso l'OPERA del FIGLIO che, pur continuando a vivere presso il Padre, "pone la sua tenda tra i figli degli uomini". Il FIGLIO manda il suo SPIRITO, che è anche lo SPIRITO del Padre, il quale porta a compimento la sua opera redentrice. E così la CIRCOLARITA' dell'AMORE TRINITARIO coinvolge ogni creatura dell'universo: PADRE-FIGLIO-SPIRITO SANTO-CREAZIONE E RESTAURAZIONE di ogni CREATURA nel FIGLIO-SPIRITO SANTO-PADRE. Così, nel cuore dell'Amore Trinitario, s'innesta il Poema dell'Amore Incarnato nel FIGLIO, che rivela l'Amore del PADRE e dello SPIRITO SANTO. Questo Poema ha un nome divino-umano: si chiama GESU' CRISTO, "al quale sia gloria nei secoli dei secoli." (Ebr. 13,21)
Quando l'anima, inondata dal Soffio dello Spirito Santo, vive l'esperienza ineffabile dell'Amore del Padre, riflesso sul Volto Radioso del Figlio suo Gesù Cristo, si sente come il violino nelle mani abili di un sapiente musicista: tutte le sue corde "vitali" vibrano di un'armonia arcana dolcissima che si modula soavemente come il gorgheggio dell'usignolo… Il gorgheggio si trasforma in Canto per esprimere questo Poema: "CAN-TERO' per il mio DILETTO il mio Cantico d'amore" (Is. 5,I)
"Io sono il PANE VIVO disceso dal Cielo (…) Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue DIMORA IL ME ed Io IN LUI (…) e VIVRÀ IN ETERNO" (Gv.6,51.56.58).

LA FINALITÀ DELLA VITA SPIRITUALE

• AMARE è CONDIVIDERE: farsi simile alle persone amate, per CONDIVIDERE la loro stessa vita. Ecco il Mistero dell'INCARNAZIONE. "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv. 1,14)

• AMARE è RIVELARSI: comunicare, dialogare, farsi comprendere da coloro che si amano. "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" (Gv. 15,15).
Ecco la RIVELAZIONE di Dio tramite la Sacra Scrittura e la Viva Tradizione della Chiesa, che ha raggiunto la sua pienezza nel Figlio che ci è stato donato. "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai nostri padri per mezzo dei Profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi, per mezzo del FIGLIO che ha costituito EREDE di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo"
(Ebr. 1,1-2). AMARE è SACRIFICARSI: sacrificarsi per coloro che si amano fino alla donazione totale di se stessi. "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv. 15,13). Ecco il Mistero della REDENZIONE. "Il FIGLIO dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Mt. 20,28).

AMARE è PERDONARE: perdonare coloro che hanno tradito l'Amore, cancellando tutte le loro colpe per riammetterli nella propria amicizia. Ecco il Mistero della RICONCILIAZIONE. "Perché piacque a Dio di fare abitare in LUI (nel FIGLIO) ogni pienezza e per mezzo di LUI RICONCILIARE a Sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di LUI, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli"
(Col. 1,19-20)

AMARE è ESSERE PRESENTE: essere sempre presente a coloro che si amano.
Ecco il Mistero dell'EUCARESTIA, che racchiude e RENDE PRESENTE in ogni tempo tutto l'amore di Dio per l'uomo in CRISTO GESÙ morto e risorto…
La sua PRESENZA resta perenne nel Segno Sacramentale e Sacrificale del Pane spezzato (il suo corpo trafitto) e del Vino versato (il suo sangue sparso):. "Ogni volta, infatti, che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché Egli venga" (1 Cor. 11,26)
E' sempre PRESENTE pure con il Suo Santo Spirito che ha inviato nella Pentecoste. "Ecco, IO SONO CON VOI tutti i giorni fino alla fine del mondo " (Mt. 26,20).

• AMARE è VIVERE IN COMUNIONE: non solo essere presente, ma VIVERE IN COMUNIONE CON le persone amate, una comunione intima, piena e totale. "Se uno mi ama, osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e PRENDEREMO DIMORA IN LUI". ( Gv. 14,23 ).

• AMARE è RENDERE FELICI: RENDERE PER SEMPRE FELICI coloro che si amano.
Ecco il Mistero della BEATITUDINE ETERNA CON DIO. "Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono Io, perché contemplino la mia Gloria, quella che mi hai dato, poiché Tu mi hai amato prima della creazione del mondo. (Gv. 17,24).

LA CREAZIONE È LO SPLENDORE DELL'AMORE DI DIO RIFLESSO NELLE SUE CREATURE
Anche nella CREAZIONE l'anima "vede" l'Amore dello Sposo tanto amato, riflesso come la luce del sole che ne è il segno più evidente in tutte le sue creature. Ogni essere dell'universo racconta il Poema di questo
Amore, che si manifesta nella PROVVIDENZA del Padre: "LUI mi HA TRATTO DAL NULLA e mi FA CONTINUAMENTE SUSSISTERE con la sua ONNIPOTENZA; LUI mi GOVERNA con la sua infinita SAPIENZA".
"I cieli narrano la GLORIA di Dio e l’opera DELLE SUE MANI ANNUNCIA il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il Messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia" (Sal. 18,2-3).
Il Figlio Gesù Cristo è venuto a rivelarci la Gloria del Padre che risplende anche nella CREAZIONE. EGLI canta la PROVVIDENZA del Padre, sempre in opera nell'universo, con accenti di tenerezza filiale inconfondibile, rimproverando l'uomo per la sua cecità di fronte a questo GRANDE AMORE "Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete e neanche per il vostro corpo di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?" (Mt. 6,25-28)
Tutta la CREAZIONE proclama che LO SPLENDORE DELLA VERITÀ È L'AMORE.
• Anche tu, fratello, sorella, che nella CREAZIONE sei "Immagine e Somiglianza vivente di Dio", proclami che lo scopo e la pienezza della vita è L'AMORE. Proprio perché Dio è Amore, tu sei creato per amare. Il più grande rammarico per tutti sarà alla fine quello di non avere amato abbastanza.
La Vita Spirituale raggiunge il suo apice nel grado di Amore-Comunione che l'anima riesce a raggiungere con il suo Sposo. Per questo S. Agostino, a chi chiede di dare una risposta pratica al senso della vita, dice: "AMA e CAPIRAI". Nell'inno alla CARITA' San Paolo esalta l'eccellenza dell'amore su tutti i carismi e su tutte le altre virtù (1 Cor. 13,1-13 ). Nel brano appena citato, l'Apostolo afferma che tutto finirà, ma "la CARITÀ non avrà mai fine" (1 Cor. 13,8). Partecipare dunque in pienezza ed eternamente all'amore di Dio, Uno e Trino, è lo scopo ed il traguardo della VITA SPIRITUALE. ALBERT SCHWEITZER è un grande medico e filosofo francese del secolo XX. Giunto alla piena maturità della vita, mentre era già affermato nella carriera e viveva agiatamente, ha abbandonato l'Europa. Si è recato in Africa equatoriale per fondare un centro ospedaliero dove ha assistito e curato, per una cinquantina d'anni, gli abitanti indigeni. La sua filosofia della vita l'ha tradotta in queste parole, che rimangono come il suo Testamento Spirituale:
"l'unica cosa importante, Quando ce ne andremo, Saranno le TRACCE D AMORE Che avremo lasciato".
L'uccello canta, Ma non domanda se qualcuno l'ascolta:
La sorgente scorre, Ma non domanda perché scorre.
L'albero fiorisce Ma non domanda se qualcuno lo guarda.
Albero, uccello, sorgente, Il loro dono lo danno per niente.
Canto popolare.

La VITA SPIRITUALE è un CAMMINO: il cammino dell'anima verso Dio. Come il cammino è fatto di TAPPE INTERMEDIE prima di raggiungere la META o il tra¬guardo del viaggio, così nella Vita Spiri-tuale l'uomo non può raggiungere Dio se non percorrendo le TAPPE del Cammino Spirituale CHE CONDUCE a Lui.La vita è una STRADA. L'importante è camminare sulla strada, anche se faticosa, verso la META. La vita invoca una meta, pena l'apatia, la disperazione, il falli¬mento.Cristo si è fatto per te VIA per accompagnarti e sorreg¬gerti nel VIAGGIO DELLA TUA VITA INCONTRO AL PADRE. Non ti esime, però, dal compiere la tua parte. Senza la tua volontà e il tuo impegno assiduo, quotidiano, di seguire LUI, tu non cammini sulla STRADA.Nella VITA SPIRITUALE fermarsi significa retroce¬dere. Medita le parole del grande dottore della Chiesa S. Agostino, sopra citate. "Se dici 'Basta' sei perduto. Avan¬za sempre, cammina sempre", ricordandoti che su questa strada non sei mai solo …I Maestri di vita nello Spirito hanno tracciato l'iti¬nerario che progressivamente conduce l'anima ad incon¬trare Dio.
È L'AVVENTURA PIÙ AFFASCINANTE DELLA VITA.
Eccone le varie tappe:

INIZIO DEL CAMMINO


La VITA SPIRITUALE è un DONO che Dio fa all'uomo.

II "Bagaglio Umano”, cresce sempre più comprese le esperienze negative. NELLA FEDE, l’uomo viene assunto e "trasfigurato": diventa ESPERIENZA DI DIO. giungerà in cielo. La GLORIA che ognuno godrà in Paradiso sarà proporzionale al grado di Santità raggiunto nel Cammino della Vita Spirituale. Il Percorso è SENZA LIMITI, perché tra l'uomo e Dio la distanza è infinita: "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt. 5,45).

La SORGENTE della VITA SPIRITUALE è la PASQUA di Gesù (Passione Morte Risurrezione). "Dalla sua pienezza - dice S. Giovanni - noi tutti abbiamo ricevuto e Grazia su Grazia" (Gv 1,16). Questa pienezza di Grazia ci viene donata mediante i Sacramenti. Nel BATTESIMO, che fonda la VITA SPIRITUALE perché fonda la VITA CRISTIANA, per opera dello SPIRITO SANTO veniamo INCORPORATI IN CRISTO. In LUI diveniamo FIGLI DI DIO e quindi COEREDI CON LUI della VITA ETERNA nella GLORIA. LA VITA SPIRITUALE è un CAMMINO CON CRISTO, dall'ESPERIENZA dolorosa e drammatica della LOTTA in mezzo alle TENTAZIONI nel DESERTO, fino all'ESPERIENZA BEATIFICANTE della CONTEMPLAZIONE di Dio sul TABOR. Il Padre chiama ogni anima a percorrere questa strada verso il MONTE SANTO, per "trasfigurarla" nel proprio FIGLIO.


Il Cammino è lungo e faticoso. Ma, se è fedele a seguire lo Spirito Santo che la illumina, la guida, la fortifica, la persona inizia a vedere la propria vita con occhi nuovi: gli occhi della Fede. Sotto questa Luce, essa percepisce anzitutto la gravità del peccato come l'unico vero male che si oppone a Dio.

domenica 16 ottobre 2011

Capire la Santa Messa - XVII Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:

CAPIRE LA MESSA
17° PARTE

IL PREFAZIO E IL SANCTUS

La preghiera eucaristica

La preghiera eucaristica è spesso percepita come un lungo monologo recitato dal sacerdote. E’ bene ricordare che questi non fa che pronunciare delle parole a nome di tutta l’assemblea; egli parla sempre alla prima persona plurale: “Noi ti presentiamo…. Noi ti offriamo….”. la preghiera eucaristica è un’azione di grazie. E’ prima di tutto l’azione di Gesù che, nell’ultima cena, prese il pane (cf. la presentazione dei doni), rese grazie (preghiera eucaristica), lo spezzò (frazione del pane) e lo distribuì (comunione). E poi, è un’azione di tutta l’assemblea che si unisce all’offerta di Cristo e rende grazie con Lui e per Lui. La preghiera eucaristica è anche, come il suo nome indica, una preghiera, e dunque non una storia raccontata o una lettura. Il sacerdote non si rivolge all’assemblea, ma a Dio Padre a nome dell’assemblea. Questa preghiera si radica nella tradizione della liturgia ebraica e in alcune antichissime preghiere cristiane.

Il dialogo del prefazio

La preghiera eucaristica comincia con un dialogo. E’ il dialogo più importante della liturgia; lo troviamo in tutte le liturgie cristiane della più alta antichità. Tutta la preghiera eucaristica riposa su questo dialogo che permette al celebrante e all’assemblea di verificare la loro coesione. – Il Signore sia con voi/– E con il tuo spirito.
Queste prime due battute ci sono già note. Figurano all’inizio della celebrazione, e prima della lettura del Vangelo. Ricordiamo semplicemente che si tratta di una benedizione di una riconoscenza per i doni di ciascuno. Questo primo dialogo annuncia sempre un momento essenziale: ciò che stiamo per vivere è importante.
- In alto i nostri cuori /- Sono rivolti al signore. Si tratta di un movimento di conversione: i credenti sono invitati ad abbandonare i loro crucci, le loro preoccupazioni e i loro attaccamenti per mettersi in qualche modo “alla giusta altezza”, secondo le parole di San Paolo: “Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3,2).
Con la sua risposta, l’assemblea manifesta che essa aderisce a questo appello del celebrante e che vuole volgere il suo cuore verso il Signore e attaccarsi a Lui solo.
- Rendiamo grazie al Signore nostro Dio!/- E’ cosa buona e giusta.
Il celebrante invita i fedeli a entrare nella grande preghiera di ringraziamento. Potremmo trascrivere “rendiamo grazie” con “celebriamo l’eucarestia” per il Signore nostro Dio! Il sacerdote invita dunque i credenti a “fare eucarestia”. A questo invito, l’assemblea dà il suo consenso rispondendo: “E’ cosa buona e giusta”. Essa delega in qualche modo il celebrante a pronunciare l’azione di grazie in suo nome. Approva in anticipo ciò che si svolgerà, manifestando pienamente il suo consenso in quanto popolo sacerdotale. Essere giusti significa dare o rendere a ciascuno ciò a cui ha diritto in fatto di beni materiali o spirituali, di ricchezze o di onore. Nei confronti di Dio, la giustizia consiste nel riconoscere ciò che egli è: Creatore e redentore. Rendere a Lui grazie non è dunque altro che giustizia, perché noi riceviamo tutto da Lui. Si aggiunge anche che ciò è “cosa buona”, piacevole e allietante. Noi siamo felici di rendere grazie a Dio che ci ha colmato e ci ama a tal punto. Noi lo facciamo di buon cuore, come un bambino piccolo che salta al collo del suo papà o della sua mamma per dire loro grazie.

Il prefazio

Il sacerdote prosegue partendo dalla risposta dei fedeli: “E’ veramente cosa buona e giusta rendere grazie a te”. Ciò illustra molto bene l’unità profonda del sacerdote e dell’assemblea: tutti rendono grazie, anche se il sacerdote soltanto pronuncia la grande preghiera che tutti ratificheranno con un Amen solenne alla fine della dossologia. Il prefazio è l’inizio dell’azione di grazie rivolta al Padre. In latino, la Parola praefatio significa: “preambolo”, “prefazione”. Esso consiste di tre parti: 1 il riconoscimento della lode dovuta al Padre per la mediazione del Figlio: 2 i motivi particolari dell’azione di grazie che sottolinea la celebrazione; 3 introduzione al Sanctus.

Riconoscimento della lode dovuta al Padre

La formula iniziale, che riprende la risposta precedente dei fedeli, è la stessa per la quasi totalità dei prefazi: “E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre Santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore”. Queste prime parole hanno la loro origine nelle formule della pietà ebraica. Il nostro prefazio riprende questa azione di grazie con molto lirismo e comincia anche con veramente: è proprio vero. Questa azione di grazie come il seguito della preghiera eucaristica, è rivolta al Padre, “Per Cristo, nostro Signore”. È con Gesù e come Lui, come bambini amati, che noi ci rivolgiamo a Dio nostro Padre.

2. Motivi particolari dell’azione di grazie

Dopo il preambolo stereotipato, viene una seconda parte che varia a seconda della festa, del tempo liturgico o ancora dell’evento che riguarda la Chiesa locale, come un matrimonio, una ordinazione, un funerale; ne abbiamo poco più di ottanta nel Messale romano. Questi prefazi sono dei gioielli: il senso profondo della festa celebrata vi si dispiega con poche parole. Ecco, come esempio, il secondo prefazio di Pasqua: “Per mezzo di Lui (il Cristo), rinascono a vita nuova i figli della luce, e si aprono ai credenti le porte del regno dei cieli. In Lui morto è redenta la nostra morte, in Lui risorto tutta la vita risorge”.

3. Introduzione al Sanctus 

Dopo aver cantato o proclamato il motivo particolare dell’azione di grazie, il prefazio conduce al Sanctus con una nuova formula stereotipata, che conosce qualche leggera variante: “E noi, uniti agli angeli e agli arcangeli, ai troni e alle dominazioni e alla moltitudine dei cori celesti, cantiamo con voce incessante l’inno della tua gloria”. La lode della Chiesa, all’inizio della grande preghiera eucaristica, si unisce a quella degli angeli e dei santi nella gloria di Dio.

Il canto del Sanctus

La prima parte del Sanctus è direttamente ispirata all’AT e alle preghiere ebraiche. Questa preghiera si riferisce all’acclamazione degli angeli nel racconto della vocazione del profeta Isaia (6,1-3): “Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di Lui stavano dei serafini (…). Proclamava uno all’altro, dicendo: “Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria”.
Leggendo questa preghiera del mattino della liturgia ebraica, “la benedizione di Yotser”, cioè del Creatore, sarete colpiti dalla somiglianza con il prefazio e il Sanctus. “Sii benedetto, nostra roccia, nostro Re, nostro Redentore, che crei gli angeli santi. Sia glorificato il tuo nome nell’eternità, nostro Re, che crei gli angeli. I tuoi angeli stanno nelle altezze dell’universo, proclamano insieme con timore, a piena voce, le opere del Dio vivente e del Re dell’universo. Tutti sono santi, tutti eletti, tutti potenti, tutti compiono con rispetto e timore la volontà del loro Creatore, tutti aprono le loro bocche con santità e purezza, cantono melodiosamente, benedicono, glorificano, magnificano, adorano, proclamano il Re Santo e il nome di Dio. E tutti insieme, prendono su di loro il giogo del regno dei cieli e si esortano reciprocamente alla lode del loro Creatore; in tutta pace spirituale, con labbra degne e con santa soavità, tutti con voce unanime, si rispondono con venerazione e rispetto dicendo: “Santo, Santo, Santo è il Signore Sabaoth! La terra è piena della sua gloria”. Il nostro Sanctus riprende questo versetto di Isaia, più o meno nel senso che la terra si unisce al cielo, dal momento che noi ci uniamo agli angeli per cantare la gloria di Dio: “Santo, Santo, santo, il Signore Dio dell’universo! I cieli e la terra sono pieni della sua gloria”. Santo, kadosh in ebraico, designa letteralmente ciò che è “separato”, “differente, “altro”. Noi cantiamo la grandezza di Dio, il Totalmente Altro. “Dio dell’universo” traduce l’espressione ebraica: Yahvè Sabaoth, “Signore degli eserciti”; la scrittura attribuisce spesso questo titolo a Dio, per mostrare che Lui è il Signore degli angeli e degli astri. Questo inizio del Sanctus è attestato alla fine del IV secolo. Il seguito appare prima del VI secolo: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell’alto dei cieli”. Riconosciamo l’acclamazione degli ebrei al momento dell’entrata messianica di Gesù a Gerusalemme, il giorno delle Palme. “La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: “ Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli” (Mt21,9). Questa acclamazione è tratta dal Salmo 117 (118): “Ti preghiamo, Signore: dona la salvezza! Ti preghiamo, Signore: dona la vittoria! Benedetto colui che viene nel nome del Signore” (25-26°). In ebraico, “dona la salvezza” si dice: hoshiah’na. Bisogna sapere che si supponeva che questo Salmo avrebbe accompagnato l’accoglimento del Messia al momento del suo arrivo. Gli israeliti lo canteranno in occasione delle Palme: e questo è proprio il segno che essi hanno riconosciuto in Gesù il Messia. Hosanna aveva allora perduto il suo significato originario per diventare una semplice acclamazione di gioia e di vittoria. Ma nel momento in cui Gesù entra in Gerusalemme per subire la passione e salvarci, questa acclamazione riacquista tutto il suo significato. Del resto, il nome ebraico di Gesù, Yeshuà, significa “liberatore, “salvatore”. “nell’alto dei cieli” è un ebraismo. Si deve intendere: Osanna a Dio che abita nel più alto dei cieli. Noi riconosciamo l’infinita grandezza di Dio. CON IL CANTO DEL Sanctus, celebriamo dunque la gloria di Dio con gli angeli, in una atmosfera di grande festa. I liturgisti richiedono dunque che questa acclamazione sia cantata da tutta l’assemblea, con forza e con gioia: “Un Sanctus sussurrato dolcemente con voci parsimoniose, economizzando avaramente il fiato (….) è al di fuori del testo; il canto dei serafini di Isaia faceva vibrare i cardini della porta del Tempio!”.

domenica 9 ottobre 2011

Capire la Santa Messa - XVI Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:

CAPIRE LA MESSA
16° PARTE

 I riti dell’offertorio

La preparazione dei doni
 
Prima dell’offertorio, sull’altare non ci sono che una tovaglia che manifesta che l’altare è proprio la tavola del banchetto eucaristico, delle candele che indicano che questo pasto è sacro e un crocifisso che ricorda che ogni messa noi siamo ai piedi della croce. Il celebrante dispone il corporale, panno bianco quadrato, chiamato così perché un tempo si deponeva direttamente su di esso l’ostia consacrata, il corpo di Cristo. Vicino al corporale o sopra di esso si mette un purificatoio, piccolo tovagliolo piegato in lunghezza, destinato a detergere il vino consacrato e a “purificare” (nel senso di “desacralizzare”) il calice dopo la comunione. Questo panno non si deve confondere con il manutergio, da “mano” e tergere “asciugare” che il sacerdote utilizza per asciugarsi le mani. Vi si colloca inoltre il messale che contiene tutte le preghiere della messa. Prima di essere disposti sull’altare, questi oggetti sono stati preparati su un piccolo tavolo che si chiama credenza.

I vasi sacri
I ministranti portano i vasi sacri chiamati così perché sono essi che conterranno il corpo e il sangue di Cristo. Hanno dei nomi un po’ complicati come patena, calice o ciborio. La patena, dal latino patena, “vaso vuoto” di forma circolare e concava è destinata a ricevere le ostie durante la celebrazione della messa. Fatta di materiale solido e nobile, essa è accompagnata dal calice. Il calice viene dal greco kulix e dal latino calix che designano una “coppa”. Il calice contiene il vino che diventerà il sangue di Cristo. Quando i fedeli a messa sono numerosi le ostie da consacrare vengono collocate nei cibari. L’origine di questa parola è poetica: kiborion designa il frutto della ninfea e per estensione, la coppa che ha la forma di questo frutto. A differenza del calice, esso comprende un coperchio, spesso sormontato da una croce perché opportuno che nel tabernacolo dove si conserva il santissimo sacramento, le ostie siano nelle migliori condizioni di conservazione. Oggi la parola ciborio si usa meno, è infatti più comune la parola pisside. Il pane è, almeno in occidente, l’alimento fondamentale per gli uomini, a tal punto che è diventato il simbolo di ogni alimento. E’ il frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Per avere del pane, occorrono prima di tutto una buona terra, l’acqua e il sole. Ma anche molto lavoro, dall’agricoltore che semina, ara, miete e batte le spighe per estrarne i grani, fino al mugnaio che produrrà la farina e al panettiere che lavorerà la pasta e la cuocerà. E’ un bel simbolo di ogni nostro lavoro che presentiamo a Dio. I padri della chiesa hanno messo in rilievo che il pane, come il vino del resto, è u n segno di unità: dei grani così diversi sono impastati per formare una sola farine e un solo pane. Così la comunità unificata dall’azione dello spirito santo si comunica al medesimo corpo di Cristo per formare ormai un solo corpo. Possiamo leggere della Didaché uno dei documenti cristiani più antichi: “come questo pane che noi spezziamo, una volta disseminato sulle colline è stato raccolto per non farne più che uno solo, così la tua chiesa sia radunata dalle estremità della terra nel tuo regno!”. Il Cristo ha scelto questo cibo ricco di significato per darsi a noi. Già nel discorso sul pane di vita (Gv 6), Gesù dichiara che egli è “il pane di Dio, colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo” (6,51). Questo cibo viene dal Padre: è quello che noi sollecitiamo nel Padre nostro domandandogli “il nostro pane quotidiano”. Noi abbiamo la consuetudine di usare del pane azzimo, cioè non lievitato. Perché? Innanzitutto sicuramente in relazione alla Pasqua ebraica. Prima di passare dalla schiavitù alla libertà, Dio ha ordinato al popolo ebraico di mangiare rapidamente l’agnello e il pane azzimo. Nell’ultima cena condivisa con i suoi discepoli, Gesù ha dunque preso del pane azzimo e noi vogliamo fare lo stesso. Ci sono anche delle ragioni pratiche: si conserva più a lungo del pane lievitato e fa meno briciole quando lo si distribuisce. Questo pane diverso ci ricorda che l’eucaristia non è un pasto come tutti gli altri. Nello stesso tempo è importante che le ostie conservino intatto il gusto del pane. Ostia viene dal latino hostia che significa “vittima”. L’ostia designa dunque la vittima offerta in sacrificio e che prima di essere presentata a Dio è stata colpita, immolata.

Il vino

“Il vino rallegra il cuore dell’uomo”. E’ il segno della festa e anche il simbolo delle nozze eterne. In occasione dell’ultima cena, offrendo la coppa del vino, Gesù aggiunge che non berrà più d’ora in avanti il frutto della vite fino a che non sarà venuto il regno di Dio (Lc 22,18). Nell’attesa, questo vino sarà quello del suo sangue versato. Nel giardino degli Ulivi, mentre prova solitudine e l’angoscia fino a sudare sangue, Gesù parla di questo calice che egli accetta: “padre, se vuoi allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà!” (Lc 22,42) Perché si utilizza del vino bianco piuttosto che del vino rosso? Di nuovo per delle ragioni pratiche: il vino bianco macchia meno di quello rosso. Talvolta si usa del vino dolce perché si conserva più a lungo.

La processione delle offerte


Questo rito proposto dalla riforma liturgica del Vaticano II, rinvia ai primi tempi della chiesa quando i cristiani portavano il pane, il vino e l’acqua come pure il cibo, per il pasto comunitario, che si chiamava agape. Oggi non sono più i fedeli che preparano direttamente il pane e il vino (le ostie sono fabbricate dalle monache e salvo che nelle regioni viticole, il vino viene prodotto altrove), ma questa processione simbolizza la partecipazione dell’assemblea a questo atto di offerta: sono le nostre attività, il nostro lavoro e tutta la nostra vita che presentiamo al Signore, Dio ci ha colmato dei suoi doni, noi vogliamo offrirgliene una porzione simbolica, in riconoscenza dei suoi benefici. Più profondamente, siamo chiamati ad associarci al dono che il Cristo fa della sua vita. Questo è il momento di spossessarsi di se stessi per aprirsi con fiducia a Dio. E’ anche il mondo intero, con le sue sofferenze e le sue lacerazioni che noi rimettiamo nelle mani del Padre.

La questua

Per significare la nostra partecipazione all’offertorio, abbiamo sostituito i doni in natura con la questua. Ci si può domandare se sia questo il momento buono per farla, perché il rumore degli spiccioli disturba e distrae l’assemblea…. Tuttavia, la questua fa parte, a suo modo, della liturgia dell’offertorio. Con il nostro dono partecipiamo simbolicamente all’acquisto di queste offerte e inoltre al sostentamento della chiesa come pure dei suoi ministri e alle attese di coloro che sono socialmente più svantaggiati. Il denaro così raccolto è il segno materiale dell’offerta che noi facciamo di noi stessi, delle nostre forze e delle nostre energie.
 
Il canto d’offertorio
 
Possiamo eseguire un canto che accompagna l’offerta di Cristo perché la processione delle offerte rappresenta simbolicamente l’”entrata” di Cristo che viene a dare la sua vita. Questo canto ricorda le acclamazioni della folla quando Gesù è entrato a Gerusalemme.

La presentazione dei doni

Il sacerdote presenta questi doni a Dio. Egli alza leggermente la patena poi il calice. E’ un gesto eloquente per tutti: le nostre offerte terrene, simboli di tutta la nostra vita, sono elevate al mondo celeste. Il sacerdote pronuncia delle formule di benedizione che si ispirano alla liturgia ebraica: “Benedetto sei tu Signore, Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane frutto della terra e del lavoro dell’uomo; lo presentiamo a te, perché diventi per noi bevanda di salvezza”. Benedire, bene-dicere significa “dire bene”. L’uomo vuole dire bene di Dio che lo colma, che lo ha benedetto con tutta la creazione. Alla formulazione ebraica delle benedizione del pane e del vino, il Messale romano aggiunge la menzione del “lavoro dell’uomo” con il Creatore per la valorizzazione della terra, una collaborazione indispensabile. Una sinergia (attività comune) tra Dio e l’uomo trova la sua dimensione nella liturgia, che è un atto comune tra Dio e il suo popolo per la celebrazione della loro alleanza. Alla benedizione pronunciata dal sacerdote per il pane e poi per il vino i fedeli sono invitati a rispondere con una acclamazione che è anche una benedizione “Benedetto nei secoli il Signore”.

La goccia d’acqua nel calice
 
Perché dunque il sacerdote versa un po’ d’acqua nel vino? L’origine pratica di questo gesto si trova nell’usanza giudaica e greca di mischiare un po’ d’acqua al vino che era troppo forte. Ma c’è certamente un significato più profondo. Ascoltiamo ciò che dice il sacerdote: “L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”. Si tratta dunque di un magnifico simbolo della nostra umanità che si unisce alla divinità di Gesù. Già nel III secolo , san Cipriano scriveva: “Quando si mischia l’acqua al vino nel calice, il popolo non forma che una cosa sola con il Cristo (….). Questo congiungimento , questa associazione dell’acqua e del vino si compie nel calice del Signore in una maniera indissolubile, di conseguenza niente potrà separare il Cristo dalla chiesa (….). Essa gli sarà sempre attaccata e l’amore farà dei due un tutto indivisibile”. Una volta che l’acqua è mischiata al vino, non la si può più distinguere, né togliere. Così è della nostra unione con il Signore nell’eucaristia: noi non formiamo più che una cosa sola con lui. Questa goccia d’acqua è la nostra umile partecipazione, essa è certo molto piccola e limitata, ma è il Signore che non vuole fare nulla senza di noi, che ce la richiede.

“Accoglici o Signore”

Dopo aver benedetto Dio per il pane e per il vino, il sacerdote si inchina in un gesto di umiltà dicendo: “umili e pentiti, accoglici o Signore. Ti sia gradito il nostro sacrificio che oggi si compie dinanzi a te”. Questa formula si ispira a un brano del profeta Daniele: il cantico di Azaria nella fornace. “Ora invece, Signore, noi siamo diventati più piccoli di qualunque altra nazione, oggi siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati (…). Potessimo essere accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocausti di montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli. Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito perché non c’è delusione per coloro che confidano in Te” (Dn 3,37,39-40). Prima di offrire a Dio il sacrificio perfetto della nuova ed eterna alleanza, noi riconosciamo la nostra indegnità, ma sappiamo che Dio non respinge mai un cuore pervaso da umiltà e fiducia.
 
Incensare le offerte
 
Il celebrante incensa le offerte che diventeranno il corpo e il sangue di Cristo. E’ il segno che vuole fare salire le offerte verso Dio come l’incenso che si innalza. Egli incensa ancora una volta l’altare, segno di Cristo che si offrirà per noi sulla croce, “luogo” del sacrificio. Poi il turiferario incensa il sacerdote e i fedeli che si offriranno con il cristo, affinché siano essi stessi santificati da questa azione santa.

Il gesto del lavabo

Il sacerdote si lava le mani. Questo gesto si chiama “lavabo” non perché il sacerdote sta per lavarsi le mani al lavabo ma a causa della parola latina che incomincia il versetto di un salmo che lo accompagna: “Lavo (laverò) nell’innocenza le mie mani e giro attorno al tuo altare, o Signore (salmo 25(26),6). E’ la ripresa di un gesto ebraico di purificazione che anche Gesù praticò. In origine il sacerdote compiva questo gesto per ragioni d’igiene, perché le sue mani erano sporche dopo aver ricevuto le offerte in natura. Esso ha preso poi un significato spirituale. Lavandosi le mani, il sacerdote dice: “lavami, Signore, da ogni colpa, purificami da ogni peccato”. Con queste parole d’umiltà, il sacerdote manifesta che egli è peccatore tanto quanto un altro battezzato. Al momento di compiere un’azione così grande, egli riconosce la sua indegnità e il suo bisogno di essere purificato.
 
La preghiera sulle offerte 

A conclusione della preparazione dei doni, il sacerdote invita l’assemblea ad alzarsi in piedi e a pregare: “Preghiamo fratelli perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente”. Questa formula esprime bene che il sacrificio eucaristico non impegna soltanto il sacerdote che lo offrirà e l’assemblea che si unisce a lui, ma anche la chiesa e l’umanità tutta intera.
I fedeli rispondono precisamente “il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa”. Questa formula breve esprime le due finalità del sacrificio: esso dà a Dio “ogni onore e gloria” come canterà la conclusione solenne della preghiera eucaristica e procura al mondo intero la salvezza. Solidale con tutta l’umanità, è il mondo intero che noi accogliamo nella nostra offerta ed è il mondo intero che beneficia del sacrificio di Cristo. Segue la preghiera sulle offerte che si chiamava un tempo secreta, non perché fosse segreta ma perché era la preghiera sui doni che erano stati messi da parte (secreta, da secernere “separare”, “mettere da parte”) per la celebrazione dell’eucaristia. Queste preghiere, spesso antichissime, cantano il mirabile scambio che si sta per compiere: i doni che noi offriamo a Dio sono chiamati a diventare per l’azione dello Spirito Santo, Dio stesso che si offre a noi. Noi non portiamo quasi mai nulla, semplicemente un po’ di pane e di vino, in cambio ci sono date tutte le ricchezze di Dio. Noi portiamo la nostra vita: una vita debole e ferita, una vita segnata dal peccato, il cambio riceviamo la vita del Risorto. Si, che meraviglioso scambio!

Ricapitolando
 
L’offertorio è il momento nel quale si preparano e si portano i doni che serviranno per l’eucaristia. E’ una specie di transizione tra la Parola e l’eucaristia, ma che nondimeno costituisce un tempo importante e denso di significato. Presentando il pane e il vino è tutta la nostra vita che noi presentiamo ed ci disponiamo così ad accogliere il nostro Signore. Questa presentazione è accompagnata da formule di benedizione che si ispirano alla liturgia ebraica. La goccia d’acqua versata nel calice manifesta la nostra partecipazione a questa offerta e la nostra unione a Cristo. L’incensamento è il segno che vogliamo fare salire le offerte a Dio come l’incenso che si innalza. Il lavaggio delle mani ricorda che il sacerdote è un uomo peccatore e che egli non sta all’altare in ragione dei suoi meriti o delle sue qualità, ma unicamente per il dono di Dio ricevuto con l’ordinazione. Infine, la preghiera sulle offerte e il suo dialogo manifestano che tutta la comunità è parte pregnante nella presentazione delle offerte e che noi celebriamo per il mondo intero. Viviamo intensamente questa liturgia dell’offertorio, offrendo noi stessi al Padre con il Cristo!

 

venerdì 7 ottobre 2011

Itinerari di fede - XII appuntamento

Torniamo a meditare attraverso il nuovo percorso ricco di diversi itinerari, sempre scritti dalla mano di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia (ringraziamo sempre Enza per l'opera non facile di trascrizione), concernenti ora la vita spirituale:

LA VITA SPIRITUALE (PARTE TERZA)

IL RUOLO INSOSTITUIBILE DI MARIA NELLA VITA SPIRITUALE
La mamma è sempre sollecita nel soccorrere il frutto delle proprie viscere, mettendo a repentaglio la sua stessa vita. Nel cammino della tua vita, spesso difficile e travagliata, affidati con tutto il cuore a Maria, "la Mamma delle mamme". Gesù te l'ha donata dalla croce come madre precisamente per questo. Lui stesso, mentre ti affida alle sue cure materne: "ECCO TUO FIGLIO", ti esorta a metterti nelle sue mani e nel suo cuore: "ECCO LA TUA MADRE. Con tanto interessamento e con tanto amore la Beatissima Vergine lavora a ottenere a tutti noi il divino aiuto, che come per mezzo di Lei discese sulla terra, così per mezzo di Lei gli uomini salgono al cielo. La malvagità degli uomini, assai spesso, eccita la divina indignazione. La Madre di Dio è l'Arca dell'Alleanza eterna perché non venga distrutta l'umanità. Le preghiere degli altri Santi si basano soltanto sulla Divina Misericordia; le preghiere di Maria, invece, su un certo diritto materno. Accostandosi quindi al trono del Figlio suo, come AVVOCA TA domanda, come ANCELLA prega, come MADRE comanda (Pio VII, bolla "Tanto studio "). Qui ora, riportiamo Documenti, Esperienze, Testimonianze di veri Maestri, che hanno tracciato un CAMMINO nella VITA SPIRITUALE. Tutti i Santi (ricordiamo in modo speciale i Fondatori di Ordini e di Congregazioni, sia religiosi che laicali) hanno ricevuto dallo Spirito Santo Carismi diversi per Ministeri diversi, al fine di far rifulgere nella CHIESA, che è "come la Sposa adorna per il suo Sposo" (Ap. 21,2), la Santità e lo Splendore del volto di Cristo. Hanno aperto VIE di Spiritualità che sono e saranno sempre feconde di frutti. Ma, mentre i Santi hanno attinto dalla "multiforme GRAZIA di CRISTO
(1 Ptr. 4,10) i DONI proporzionali alla loro Vocazione-Missione, Maria Santissima ha partecipato come Madre e anche come Prima Discepola (Prima Cristiana "ante litteram"), in maniera totale ed unica, al Mistero della sua Incarnazione e della sua Redenzione. Nessuno ha mai condiviso né potrà mai condividere come Lei la vita di Gesù e quindi l'Ideale del suo Vangelo. Tra Maria e Gesù non ci fu solo una unione di opere, di vicende, di convivenza, ma raggiunse il cuore. Il Bèrulle, cardinale e teologo francese, nelle pagine mirabili che dedicò alla contemplazione dell'ineffabile unione di mente e di cuore tra Gesù e Maria, scrive: "Gesù e Maria non sono, ci sembra, che un solo vivente sulla terra: il cuore dell’uno non vive e non respira che per l'altro " ("Le grandezze di Maria, pag.158). Come è vero che la VITA SPIRITUALE è il CAMMINO per incontrare Cristo in una maniera sempre più piena e vitale, nessuno l'ha mai incontrato né lo potrà mai incontrare come Maria, sua Madre. S. Luca, per farci capire quanto Maria fosse unita a Gesù e mettesse sempre il Figlio al centro della propria vita, ci dice: "Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore" (Lc. 2,19). Tutto ciò che faceva e diceva suo Figlio, tutto ciò che gli altri facevano e dicevano nei riguardi di Lui, passava dal suo cuore materno: lo meditava confrontandolo nella Fede, che diveniva incessante preghiera, per conformarsi sempre alla volontà del Padre. Così Maria è stata costantemente fedele a quelle parole pronunciate come risposta a Dio nell'Annunciazione: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc. 1,38). E' la FEDE piena e senza riserve di Maria che Le attira tutti i Favori di Dio, quella FEDE che lo Spirito Santo stesso, per bocca di Elisabetta, proclama: "Beata Colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore"(Lc. 1,45). 
Papa Paolo VI, di venerata memoria, nell'Esortazione Apostolica "SIGNUM MAGNUM" del 1967 sul culto da tributarsi a Maria, esalta le virtù evangeliche che con la fede rifulgono mirabilmente in LEI. "Contempliamo Maria ferma nella fede, pronta nell'obbedienza, semplice nell'umiltà, esultante nel magnificare il Signore, ardente nella carità, forte e costante nell'adempiere la sua missione fino all'olocausto di se stessa, in piena comunione di sentimenti con il Figlio suo che si immolava sulla croce per donare agli uomini una VITA NUOVA" (Signum magnum N° 12). Nei momenti più importanti della vita di Gesù troviamo sempre in maniera significativa, la presenza di Maria. A Cana compie il primo Miracolo di tramutare l'acqua in vino per la Mediazione materna di Maria. L'episodio mette in risalto l'attenzione e la vigilanza con cui Ella segue, momento per momento, lo svolgersi della festa, per cui si accorge quando il vino sta per finire. Sono squisite la sua sollecitudine e insieme la sua discrezione nell'intervenire presso il Figlio: "Non hanno più vino " (Gv. 2,3). Senza interferire minimamente circa le modalità del suo intervento, Lei ha la certezza che vi avrebbe comunque provveduto. Per questo si rivolge ai servi e dice loro semplicemente: "Fate quello che vi dirà" (Gv. 2,5). "Sono, dice il Beato Giovanni Paolo II, come le parole-testamento di Maria". Tutti i suoi Messaggi nelle diverse apparizioni della storia riecheggiano questa Sua missione: portare le anime a Lui. "Fate quello che vi dice mio Figlio". Sul Calvario, al compimento dell'ORA di Cristo e dell' ORA della storia, ai piedi della croce, Maria partecipa nel cuore al Sacrificio Redentore del FIGLIO con un abbandono totale alla volontà del PADRE. Unita intimamente a Cristo, la Vergine è MODELLO e FIGURA della CHIESA, chiamata ad accogliere, non passivamente ma con la propria collaborazione, la Redenzione operata da LUI. Per questo dalla croce il Figlio la dichiara MADRE dell'umanità redenta. "Gesù allora, vedendo la MADRE e lì accanto il discepolo che Egli amava, disse alla Madre: "Donna, ecco tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco la tua madre!" (Gv. 19,26-27). Attraverso l'esperienza del Calvario, Maria è divenuta la MADRE della REDENZIONE, perché in Cristo e con Cristo ci ha rigenerati come Figli di Dio, e nostra AVVOCATA di Grazia e di Misericordia. Qualche Santo arriva a definirla “L’ONNIPOTENTE PER GRAZIA". Il Sommo Poeta Dante, nel Canto XXXIII del PARADISO, in una delle più belle preghiere di esaltazione alla Vergine, esprime così la sua Efficace Mediazione presso il Figlio Gesù: "Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual vuol Grazia ed a Te non ricorre, sua desianza vuol volar sanz’ali". Maria è la DONNA del SABATO SANTO. Tra lo sconcerto dei discepoli, smarriti dopo la fine ignominiosa del loro Maestro nel quale avevano riposto tutte le loro speranze, ELLA, "nel Sabato del silenzio di Dio" è, e rimane la "Virgo fidelis", la Vergine fedele. Sotto la croce non crolla, ma come dice il Vangelo. "STA". Lo SPIRITO SANTO, che inonda pienamente la sua anima benedetta, la ILLUMINA, la FORTIFICA, la GUIDA nel percorrere tutto l'arco della fede. All'alba del mattino di PASQUA, Maria non è presente con le pie donne che vanno alla tomba a piangere un morto. ELLA è sicura che LUI, come aveva predetto, sarebbe risuscitato. Anche se il Vangelo non ne parla espressamente, è ovvio che Gesù risorto è apparso per primo a sua Madre. Troviamo finalmente Maria presente all'EVENTO grandioso che inaugura ufficialmente la Chiesa: la PENTECOSTE. Nei giorni di attesa dello Spirito Consolatore, che li avrebbe trasformati in suoi Testimoni, ELLA anima, rincuora e tiene uniti gli Apostoli e i Discepoli. "Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù e con i fratelli di Lui" (Atti 1,14). Questa presenza materna di Maria, tanto assidua e premurosa nel servire, e “nell'ascoltare” il Figlio, diventa così la sua missione nella vita della Chiesa: essere MEDIATRICE di GRAZIA per la salvezza di tutti i figli che Lui le ha "consegnato" dalla croce. Ogni DONO, ogni GRAZIA ci vengono elargiti dalla misericordia del Padre, che non ha limiti, per i meriti infiniti del proprio Figlio Gesù Cristo, Crocifisso e Risorto. Maria però intercede efficacemente perché il TESORO INESAURIBILE della REDENZIONE venga donato a ciascuna anima nel cammino verso la VITA ETERNA, secondo la Vocazione di ogni persona, che è UNICA e IRREPETIBILE. I miracoli e le conversioni innumerevoli che sono avvenuti e avvengono continuamente per l'Intervento e la Mediazione di Maria, specialmente nei santuari a Lei dedicati, vere "Oasi di Spiritualità", confermano come la Sua Potenza di Intercessione in favore dei propri figli è sempre all'opera. "Ecco la tua Madre! ". Questo caldo invito di Gesù ad accogliere la sua Mamma come mamma nostra è il più dolce dei Testamenti. Nessuno ha tanto influsso nella vita di ogni persona, nessuno entra nel suo cuore quanto la propria mamma. Gesù, donandoci sua Madre “e quale Madre!” come Madre nostra, ce l'ha affidata come MAESTRA e GUIDA sicura nel cammino della VITA SPIRITUALE. 

San Luigi Grignion di Montfort, il Santo innamorato della Madonna, che ha tanto contribuito con la sua vita e con i suoi scritti a diffonderne la devozione, in particolare con l'atto di Affidamento a Lei, spiega come questa pratica "è una strada comoda, breve, perfetta e garantita per giungere alla unione con il Signore, dove e 'è la perfezione cristiana” (Trattato della vera devozione" N° 152 e ss.). Il Beato GPII, che con molta sapienza ha guidato la Chiesa nel trapasso da un millennio all'altro, ci ha mostrato con la santità della sua vita e con la fecondità prodigiosa del suo Alto Magistero, che cosa significa affidarsi a Maria.
Il 13 maggio 1981 giorno della prima Apparizione della Vergine a Fatima, nel gravissimo attentato che ha subito, è stato salvato da Dio per Intercessione di Maria. La devozione di GPII alla Madonna è stata intensa, tenera e filiale. L’ha espressa continuamente: nelle molte e stupende preghiere per Lei composte, negli Atti di Affidamento di se stesso, delle singole nazioni come dell'umanità intera, nei frequenti pellegrinaggi ai Santuari mariani, in tutti i luoghi dove l’ha portato il suo zelo apostolico indefesso, paragonabile a quello di San Paolo. Anche il motto del suo pontificato, eminentemente mariano lo sintetizza bene: "TOTUS TUUS, O MARIA: Sono tutto tuo, o Maria". 
 
La PREGHIERA LITURGICA della Chiesa esprime sempre la sua fede: "LEX ORANDI, LEX CREDENDI".
Per questo essa applica a Maria le parole che ne esaltano la sua potenza di Grazia. Sono tratte dal Libro dei PROVERBI: "Chi trova Me trova la VITA, e ottiene FAVORE dal Signore" (Prov. 8,35). Per concludere, ogni anima, finché è pellegrina in questo mondo, tra tante prove e sofferenze, guardi sempre a Maria che ci viene descritta nella GLORIA di DIO dall'Apostolo Giovanni, con meravigliose immagini "...Nel cielo apparve poi un SEGNO GRANDIOSO: una DONNA vestita di SOLE, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle " (Ap. 12,1 ).
Germano, patriarca di Costantinopoli ( morto nel 733), innalza a Maria una stupenda preghiera, usando delle bellissime e delicatissime immagini che esprimono un grande amore ed una tenerezza filiale verso la Madre di Dio:
 
Mio sollievo, Maria, mia rugiada e refrigerio nell'arsura. Pioggia che scende da Dio sul mio cuore, Lampada risplendente nell'oscurità dell'anima; Guida nel cammino e sostegno nella debolezza, Veste della mia nudità e ricchezza nella mia miseria. Medicina delle mie insanabili ferite, Sollievo dei miei dolori e speranza della salvezza.
"Eccomi, sono la Serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38). Nel Cammino della VITA SPIRITUALE ti previene e ti accompagna sempre la GRAZIA di DIO, che richiede però la tua disponibilità e la tua collaborazione. Se al Dono di Dio tu corrispondi con pienezza, sull'esempio di Maria, ricevi tutto; se vi corrispondi molto, ricevi molto; se vi corrispondi poco, ricevi poco. "Tenete a mente che chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà" (2 Cor. 9,6).

domenica 2 ottobre 2011

Capire la Santa Messa - XV Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:

CAPIRE LA MESSA
15° PARTE

La preghiera universale 

Dopo il credo si recita la preghiera universale, che conclude la liturgia della Parola.
La preghiera universale o “preghiera dei fedeli” è una tradizione molto antica. Essa si radica nella tradizione ebraica che associa benedizioni e preghiere di domanda in una lode confidente in Dio. Essa si appoggia anche sulle raccomandazioni di san Paolo: “Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità.” (1Tm 2, 1-4). La preghiera dei fedeli nel corso della messa è stata sfortunatamente abbandonata verso il VI secolo. E’ la riforma liturgica dell’ultimo concilio che ha permesso di riannodare i rapporti con questa tradizione molto antica. L’OGMR (Ordinamento generale Messale Romano) la definisce così: “Nella preghiera universale, o preghiera dei fedeli, il popolo risponde in un certo modo alla Parola di Dio accolta con fede e, esercitando il proprio sacerdozio battesimale, offre a Dio preghiere per la salvezza di tutti” (n° 69). Si tratta dunque proprio della preghiera del popolo, dell’assemblea, che intercede per i bisogni del mondo e dei membri della comunità. Idealmente, questa preghiera non dovrebbe essere composta dal sacerdote celebrante, come troppo spesso avviene, ma dai fedeli. In alcune parrocchie ci sono esperienze molto significative al riguardo. Questa preghiera è universale, perché essa si allarga alle dimensioni della chiesa universale. Non è dunque prima di tutto una preghiera per noi, per i nostri propri bisogni, ma una preghiera per il mondo, per l’universo intero. Esaminiamo ora lo svolgimento di questa preghiera.

L’invito
 
Il celebrante invita l’assemblea alla preghiera. Ecco (vale come esempio) una proposizione del Messale Romano per la Quaresima: “All’avvicinarsi delle solennità pasquali, preghiamo il Signore in modo più pressante, affinché l’universo intero benefici maggiormente delle ricchezze del mistero della salvezza”.
O ancora questa introduzione proposta per il tempo ordinario, che manifesta bene l’apertura della nostra preghiera al mondo intero: “E ora, fratelli carissimi, apriamo i nostri cuori a tutte le sofferenze e a tutti i bisogni dei nostri fratelli uomini”.

Le intenzioni di preghiera
 
Le intenzioni sono lette da un diacono o da un lettore. Possono essere dette dai membri dell’assemblea nel caso di una preghiera spontanea. Se dovete comporre delle intenzioni di preghiera universale, l’OGMR (n° 70) vi suggerisce di pregare:
─ per i bisogni della chiesa, per i suoi pastori e i suoi fedeli;
─ per i dirigenti degli affari pubblici, affinché operino a favore di una vera pace nella giustizia, e per la salvezza del mondo intero;
─ per tutti coloro che sono oppressi da una difficoltà;
─ per la comunità locale, per i suoi defunti e per i suoi bisogni particolari.
Dopo ogni intenzione, l’assemblea prega cantando un ritornello o restando semplicemente in silenzio.
 
La conclusione
 
Al termine di queste diverse domande, il sacerdote conclude con una orazione. Ecco un esempio proposto dal messale: “O Dio che tutto conosci, tu vedi tutti i bisogni della nostra vita umana. Accogli le preghiere di coloro che credono in te, esaudisci i desideri di coloro che ti supplicano. Per Cristo nostro Signore.
Il modello più sorprendente di preghiera universale è la grande intercessione del Venerdì Santo, con le dieci preghiere per la santa Chiesa, per il Papa, i vescovi e i presbiteri, per i catecumeni, per l’unità dei cristiani, per gli ebrei, per quelli che non credono in Gesù, per quelli che non conoscono Gesù, per i poteri pubblici e per quelli che soffrono. Ritroveremo queste intercessioni nella preghiera eucaristica, particolarmente per il Papa, per i vescovi, per i defunti e per tutto il popolo di Dio. Al fine di evitare dei doppioni, possiamo fare attenzione che le intenzioni della preghiera universale si ispirino alle letture che sono state appena proclamate. Così, la preghiera universale permetterà una buona conclusione della liturgia della Parola, che suscita le domande, prima di incominciare la grande preghiera eucaristica, che è l’intercessione per eccellenza. In alcune parrocchie , la preghiera universale è seguita dagli “avvisi” e dalla presentazione del lavoro sostenuto con le offerte della questua. Questi avvisi possono anche farsi, più opportunamente, alla fine della messa, prima del congedo. Posti dopo le preghiere, sono l’occasione di portare nella nostra preghiera i differenti avvenimenti parrocchiali, così come i bambini che saranno battezzati, i giovani che si son sposati e i parrocchiani che hanno raggiunto la casa del Padre.

Ricapitolando
 
La liturgia della Parola si conclude con la preghiera universale, che è la preghiera dei fedeli per l’universo, per il mondo intero. Dopo un invito del celebrante, formuliamo diverse intenzioni per la chiesa, per i responsabili politici, per le persone che soffrono e per la comunità locale.
Queste preghiere possono essere ispirate dalle letture del giorno oppure essere dette in maniera spontanea. Anche senza dirle ad alta voce, è questo il momento per ognuno di noi di affidare al Signore le intenzioni che portiamo nel cuore.