"La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture non mancando mai, soprattutto nella liturgia, di nutrirsi del pane della vita, sia della Parola di Dio, sia del Corpo di Cristo". (Concilio Vaticano II)

domenica 31 luglio 2011

Capire la Santa Messa - VII Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:
  
CAPIRE LA MESSA
6a PARTE
 
IL DIALOGO DI APERTURA

La messa comincia con un dialogo “il Signore sia con voi”. “E con il tuo spirito”. Questo dialogo risuona a quattro riprese in ciascuna delle quattro grandi parti della messa: all’inizio della liturgia dell’accoglienza; al momento della liturgia della parola per introdurre la proclamazione del vangelo; al momento del prefazio, per aprire la grande preghiera eucaristica; alla fine della messa, per annunciare la conclusione con la benedizione e il rinvio. Questo dialogo dunque risuona nei momenti importanti della messa, come per invitare l’assemblea a volgersi al Signore e ad aprirgli il proprio cuore. Nella liturgia orientale, il diacono dice: “State attenti!”. Possiamo pensare anche noi così: il Signore è lì, siamo ben presenti a ciò che celebriamo. Più profondamente il dialogo liturgico tra il sacerdote e l’assemblea prolunga il dialogo tra Dio e l’uomo: “lo Sposo e la Sposa si parlano prima di unirsi nel mistero”. E’ per questo che è essenziale che l’assemblea risponda, non borbottando come può succedere di sentire, ma a voce alta e intellegibile….

Il Signore sia con voi

E’ una formula antichissima, una formula di benedizione che esprime l’augurio più bello che si possa fare a dei cristiani: che Dio faccia in voi la sua dimora, che vi accompagni, che vi animi! Questa espressione è, in qualche modo, un compendio di tutta la Bibbia, un condensato dell’alleanza di Dio con il suo popolo. Dire “Il Signore sia con voi” significa riconoscere che Dio è lì e che egli fa alleanza con noi. Ascoltare questa benedizione e accoglierla, significa entrare in questa alleanza e rinnovarla. Comprendiamo bene ora che non si tratta di un saluto banale, come si potrebbe dire stringendosi la mano: “Buongiorno, come sta?”. “Il Signore sia con voi” è un saluto pieno di forza, una benedizione del Signore e anche un magnifico atto di fede nell’alleanza che egli vuole instaurare con noi. Il sacerdote, pronunciando questo saluto, apre pienamente le braccia e le mani; questo gesto significa e realizza il dono della presenza di Dio. Una comunione si instaura nell’assemblea.
Qualche esempio famoso nella Bibbia della promessa che il Signore è con noi:
proprio prima di rivelare il suo nome, il Signore investì Mosè della missione di far uscire gli ebrei dall’Egitto, dandogli questa assicurazione: “Io sarò con te” (Es 3,12).
Tutto il popolo di Israele eredita questa garanzia: “Quando andrai in guerra contro i tuoi nemici e vedrai cavalli e carri e forze superiori a te, non temerli, perché è con te il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto” (Dt 20,1)
Coloro che ricevono una missione speciale al suo servizio si vedono rassicurati della medesima promessa: “Il Signore sarà con te”.
La nuova alleanza comincia con il saluto dell’angelo alla giovane Maria: “Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te” (Lc 1,28). Noi riprendiamo questa espressione, per es., nell’Ave Maria.
Questa affermazione si trova chiaramente in una dei nomi dati al Messia: “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, che significa Dio con noi” (Is 7,14 ripreso in Mt 1,23)f
Infine, il Vangelo di Matteo termina con questa promessa di Cristo: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (28,20).
Ma perché il sacerdote dice “Il Signore sia con voi” e non “Il Signore è con voi”? E’ vero, il Signore è effettivamente con noi, tutta la Bibbia lo dice: lo abbiamo appena visto. Ma noi, noi siamo sempre con lui? Con questo augurio preghiamo per essere sempre più aperti alla sua presenza, perché noi sperimentiamo proprio che ciò non può essere dato per scontato. Un augurio impegna molto più che un affermazione. Non è la stessa cosa dire “sei felice”, semplice constatazione, e “sii felice!”, augurio che esprime un desiderio profondo.
Inoltre: perché il sacerdote non dice “Il Signore sia con noi” dal momento che  fa parte anche lui  dell’assemblea? Il Signore non è anche con lui? Evidentemente, ma se il sacerdote non si include in questo augurio è perché egli è stato ordinato per parlar in nome di Cristo. Ascoltiamo il cardinale Lustiger, arcivescovo emerito di Parigi: “Quando celebro l’eucaristia, che io guardi in faccia l’assemblea e che dopo aver detto: “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, io mi rivolga a voi con queste parole: “Il Signore sia con voi”, è comunque il Cristo che con la mia bocca parla alla sua chiesa. Io ho dunque il dovere di lasciarla parlare a voi, sapendo bene che questa parola che io vi dico in suo nome è destinata anche a me e che, quanto a me, io la ricevo nel momento stesso in cui la pronuncio per voi, nello stesso atto di fede: il Cristo in  mezzo alla nostra assemblea eucaristica ci raduna con il suo Spirito per rendere grazie al Padre”.
E perché il vescovo comincia la messa dicendo: “La pace sia con voi!” (Gv 20,19.21). Soltanto i vescovi riprendono liturgicamente questa formula per manifestare che essi sono, in linea diretta, i successori degli apostoli, i quali hanno avuto il privilegio di vedere con i loro occhi il Cristo risorto.

E con il tuo spirito

La risposta dei fedeli: “E con il tuo spirito” può sembrarci un po’ sconcertante. Di  quale spirito si parla? In altre lingue, come l’inglese, si risponde molto semplicemente: “E anche con te” (“And also with you”). I nostri amici inglesi non hanno completamente torto. La formula che essi usano corrisponde anche a ciò che significava originariamente l’espressione “e con il tuo Spirito”. In ebraico, la parola “spirito” designa tutta la persona. Progressivamente, il senso di questa espressione si è evoluto. Nel IV secolo, san Giovanni Crisostomo ci ha detto che, nella risposta “e con il tuo spirito”, la parola spirito designa lo Spirito Santo che è stato comunicato al sacerdote in modo particolare perché egli presieda l’eucaristia in nome di Cristo. Così quando noi rispondiamo “e con il tuo spirito”, sottointendiamo: “lo Spirito che ti è stato dato nel giorno della tua ordinazione sia con te e agisca in te perché tu adempia bene il tuo compito di sacerdote!”. La riposta apporta dunque una grande ricchezza conservando il latino: “Et cum spiritu tuo”. Questa risposta è una atto di fede nella capacità del ministro: la grazia della sua ordinazione lo abilita a mettere gli altri in comunicazione con Dio.

Gli altri due dialoghi di apertura

Terminiamo con le altre due formule di saluto che il sacerdote può utilizzare all’inizio della messa. Esse vanno nello stesso senso, sviluppandone determinati aspetti. “La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi”. Questa benedizione è tratta dall’ultima frase della Seconda lettera di san Paolo ai Corinzi (13,13). Essa esprime in modo notevole la portata trinitaria della liturgia, che è già stata sottolineata al momento del segno della croce. Essa comincia con il Cristo che ci ha dato la grazia di entrare in una piena comunione con Dio, rivelandoci l’amore del Padre e la profonda comunione instaurata in noi dallo Spirito Santo. Noi rispondiamo allo stesso modo: “E con il tuo spirito”. “La grazia e la pace di Dio nostro Padre e del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi”. Questa seconda formula è tratta da questa stessa lettera di san Paolo, ma questa volta dal saluto iniziale (1,2). Qui il Padre è nominato per primo come fonte della grazia e della pace che suo Figlio Gesù è venuto a trasmetterci.

Ricapitolando

La messa comincia con un dialogo che mette bene in rilievo che l’assemblea non è passiva, ma pienamente parte significativa della celebrazione. “Il Signore sia con voi” è un augurio, una benedizione, un ricordo del fatto che Dio ci ha promesso di essere sempre con noi, e che introduce nella sua alleanza. Rispondendo “e con il tuo Spirito”, l’assemblea augura ugualmente che il Signore sia con il celebrante e riconosce lo Spirito che gli permette di agire come ministro ordinato. Accogliamo il saluto del celebrante come una benedizione del Signore che ci promette la sua presenza e la nostra risposta sia una sincera riconoscenza per il ministero che il sacerdote esercita generosamente in mezzo a noi!

giovedì 28 luglio 2011

Itinerari di fede - V appuntamento

Torniamo a meditare attraverso il nuovo percorso ricco di diversi itinerari, sempre scritti dalla mano di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia (ringraziamo sempre Enza per l'opera non facile di trascrizione): 

ITINERARI
 Le parole che valgono
(l’importanza di dire le cose vere nel momento giusto)
 
·         Ogni parola che diciamo è un’opportunità di mutare il male in bene
·         Sono convinto che il mondo sarebbe un posto migliore e più felice, se imparassimo a parlare più di ciò che funziona che di ciò che non va. Abbiamo così tanto da celebrare!
·         Anziché focalizzarsi sugli errori, porre l’accento su ciò che ha fatto o che avrebbe potuto fare
·         Quando facciamo bene qualcosa, e questo ci viene riconosciuto, siamo stimolati a fare ancora meglio in futuro: un elogio sincero fa emergere il meglio che c’è in noi
·         Se lo vogliamo, possiamo cambiare le nostre abitudini e i nostri schemi di linguaggio: riconoscere il problema è il primo passo per risolverlo
·         Le nostre parole scaturiscono da ciò che immagazziniamo nella nostra mente
·         Le parole buone che entrano in noi all’inizio della giornata possono avere un effetto positivo sul modo in cui parliamo per il resto della giornata
·         “Il bisogno più profondo della natura umana è il desiderio di sentirsi importanti”: troppe persone hanno la sensazione di non contare, di non essere importanti
·         Non c’è nulla di più importante di un incoraggiamento
·         “ciascuno di noi attraversa momenti in cui si trova a un bivio e non sa che direzione prendere. Poi arriva qualcuno che ci dice le parole giuste che ci fanno decidere”. Queste parole ci restano impresse e restano con noi per il resto della nostra vita
·         Guardatevi intorno. Troverete tante persone che arricchiscono la vostra qualità di vita. Diteglielo. La maggior parte di loro ha bisogno di sentirselo dire, di tanto in tanto. Farete sentire bene due persone: l’altra e voi stessi.
“Una famiglia, per essere sana, ha bisogno di una comunicazione sana” 
un suggerimento ben collaudato apportatore di influsso positivo e duraturo:
una serata dedicata alla famiglia
·         da tenere ogni settimana, lo stesso giorno, alla stessa ora
·         da tenere anche se un familiare è assente
·         deve durare minimo un’ora
·         le attività devono includere la conversazione
ogni familiare a turno decide l’attività (racconto di un fatto accaduto in giornata, una citazione da commentare, qualche domanda stimolante, un gioco ….),  gli altri partecipano senza sapere cosa li aspetta.
Un’ora la settimana programmata così, può fare una grande differenza e creare ricordi che dureranno sempre “ciò di cui gli altri hanno sempre bisogno di sapere da noi è che teniamo a loro, che il bene che essi ci fanno suscita gratitudine, e che sono amati. E’ così semplice. E solo perché si sentono esprimere questi sentimenti il lunedì, non significa che non abbiamo bisogno di risentirseli dire il martedì. E’ questa la ragione principale per cui le parole che risanano e incoraggiano vanno ripetute ancora e ancora. (un rabbino)

Un obiettivo semplice ma grande:

·         bada a ciò che dici e a come lo dici
·         Mi impegno a pensare di più alle parole che uso
·         Cercherò di rimpiazzare le parole che feriscono con parole che incoraggiano, avvicinano e arricchiscono
·         Non mi scoraggerò quando non riuscirò a scegliere bene le parole, perché fare del mondo un posto migliore è difficile

Modi per avvelenare l’atmosfera con le nostre parole:
vanterie, bestemmie e parolacce, pettegolezzi, parole rabbiose, menzogne, parole sgarbate o che feriscono, giudizi sul prossimo, lagne e autocommiserazioni, osservazioni scoraggianti, parole che imbarazzano e umiliano il prossimo, critiche eccessive, lamentele, brontolii e piagnistei, linguaggio villano e irrispettoso, parole di scherno e punzecchiature, osservazioni offensive di carattere etnico e razziale, commenti sessisti, minacce, interrompere l’interlocutore, adulare, gridare, esagerare, accusare e dare la colpa agli altri.

Alcune domande per riflettere:

·         mi giudichereste diversamente se usassi costantemente un linguaggio scurrile?
·         le persone colte e beneducate parlano così?
·         ci sono posti nella nostra società in cui non vi va di sentir parlare così?
·         le persone che dicono parolacce in pubblico sono educate o villane?
·         che cosa rivelate di voi stessi dicendo parolacce in continuazione?

Le scelte migliori per promuovere la vita negli altri e in noi stessi:
incoraggiare, ringraziare, tener conto degli altri, salutare con calore, fare un complimento, congratularsi con qualcuno, insegnare, fornire spiegazioni e direttive, consolare, stimolare il prossimo, celebrare e rallegrarsi, informarsi, mostrare interesse, far pace, ricostruire rapporti in crisi, far ridere, mostrare fiducia e fede, condividere buone notizie, lodare, onorare, edificare, esprimere sollecitudine, mostrare comprensione-empatia, approvare, formulare un invito, mostrare cortesia e rispetto, dare suggerimenti, scusarsi, perdonare, offrire il proprio aiuto, dire la verità, mettere in evidenza ciò che c’è di buono nella realtà e nel prossimo, usare parole affettuose, fornire informazioni utili, comunicare amore.

domenica 24 luglio 2011

Capire la Santa Messa - VI Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:
 


CAPIRE LA MESSA
6a PARTE

IL SEGNO DELLA CROCE

Il nostro primo gesto, all’inizio della messa, è quello di tracciare su di noi il segno della croce. Questo gesto antichissimo è il segno per eccellenza dei cristiani. Perché? Perché ci collega allo strumento stesso della nostra salvezza: è per mezzo della croce che noi siamo salvati. La croce, è il cuore stesso del cristianesimo: nessun’altra religione avrebbe potuto “ inventare” un Dio così “folle” da accettare di morire così….. Ma il più orribile degli strumenti di supplizio è diventato per noi ciò che c’è di più prezioso: il segno dell’amore di Dio che si offre fino in fondo per salvarci. Il giorno del nostro battesimo, il sacerdote ha tracciato una croce sulla nostra fronte dicendo: “La comunità cristiana ti accoglie con gioia; nel suo nome, io ti segno con il segno della croce”.

Un segno della nostra adesione

Fare su di noi il segno della croce significa mostrare molto concretamente che aderiamo al Cristo che ci salva con la croce, e che vogliamo offrirci insieme a lui. Non è dunque un gesto banale. Talvolta, purtroppo, vediamo delle persone che fanno un gesto vago scuotendo la mano come se avessero una mosca sul naso…. Dobbiamo al contrario farlo degnamente, con bellezza e ampiezza. Il segno della croce è uno strumento pedagogico straordinario che la chiesa ci dà.
Un anziano prete, che aveva attraversato dei momenti difficili per la chiesa ed era rimasto fedele nonostante tutto, diceva: “per anni non ho potuto pregare, neppure quando dicevo messa. Invece, ho sempre fatto ciò che mi ha insegnato mia madre: tutte le mattine, quando la sveglia suonava, qualunque ora fosse, ho fatto un segno di croce; ed è questo che mi ha salvato”.
Il segno della croce incomincia dalla testa, dall’intelligenza che noi chiediamo al Padre di purificare, e di benedire. La mano scende al nostro cuore dove chiediamo al Cristo di stringerci, di non lasciarci mai. E la mano risale alle nostre due spalle perché lo Spirito Santo abbracci tutto il nostro corpo e ci dia la forza.

Un segno che ci introduce nella celebrazione.

Il segno della croce è il primo gesto della liturgia. Esso “ pone” l’insieme della celebrazione nella luce della croce e della resurrezione; questi due misteri sono inseparabili. Ci introduce in ciò che stiamo per vivere: in ogni messa, noi siamo ai piedi della croce. Scrive Monsignor Bernard Genoud: “Supponiamo di sapere che all’altro capo del mondo il figlio di Dio sta per dare la sua vita, e che tutti quelli che assisteranno alla sua morte avranno la certezza di essere salvati. Non saremmo tutti pronti a rompere il nostro salvadanaio, per essere tra quelli, per partecipare a questo grande avvenimento ed essere salvati a colpo sicuro? Ebbene, questo è ciò che accade in ogni messa! E noi, noi facciamo ancora i “difficili” per andarvi!”
Come è possibile ciò? Molto semplicemente perché la messa ci permette di rivivere il dono di Gesù sulla croce. Intendiamoci bene: la Passione di Cristo è un avvenimento unico che ha avuto luogo una volta sola per tutti i tempi. Ma, in previsione delle generazioni future, e perché anch’esse fossero “toccate” da questo avvenimento di salvezza, il Cristo ha istituito la sua presenza ed il sacrificio che si sarebbe compiuto sotto le apparenza del pane e del vino.
Così, ci è dato di riviverlo  ogni volta che un sacerdote prende il pane e il vino e pronuncia le parole rituali: “questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. Ad ogni messa ci troviamo ai piedi della croce con Maria e Giovanni, perché riviviamo il sacrificio unico di Cristo. La croce posta sull’altare è lì proprio per ricordarcelo. Ma ricordiamoci che c’erano due modi di stare ai piedi della croce. Il primo è quello della maggior parte dei contemporanei di Cristo: erano là fisicamente ma con indifferenza, per semplice curiosità, amici o nemici di Cristo mescolati fra loro. Il secondo modo è quello di Maria e di Giovanni: stavano ai piedi della croce non solamente con il loro corpo, ma anche con tutto il loro cuore. Essi si univano all’offerta di Gesù e ne accoglievano i frutti di grazia. Possiamo anche noi vivere la messa come Maria e Giovanni!

“Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen”

Queste parole, che accompagnano il segno della croce aprono la liturgia. Esse indicano che tutto ciò che diremo, vivremo, celebreremo, si farà “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
La messa comincia dunque con una prima professione di fede, nel mistero del nostro Dio trinitario. I cristiani vi aderiscono completamente con l’Amen che pronunciano. Questa formula trinitaria è molto antica: essa è frequentemente utilizzata dalle prime comunità cristiane. La si trova anche alla fine del vangelo secondo San Matteo: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (28,19).

Il nostro Dio è Trinità.

Non è poco ricordare all’inizio della messa che il nostro Dio è Trinità: questo è il cuore della nostra fede cristiana. La Trinità ci insegna che il nostro Dio è famiglia e comunione. Che Dio non è rivolto a se stesso ma verso l’Altro. Perciò, due esseri che cominciano ad amarsi diventano al contrario immagine di questo Dio trinità che è Tutto–Amore. Dio non è dunque un Essere che ci sovrasta, ci schiaccia e ci punisce, ma un Dio che si da eternamente, il cui amore trabocca e diventa creatore: “E’ perché in Dio l’amore trabocca che Egli suscita queste creature che vuole che noi siamo, è perché in Dio l’amore trabocca che Egli ci fa venire all’esistenza. Egli vuole comunicarci ciò che lui è, vuole che noi diventiamo come Lui, trasparenti alla sua luce, vuole che diventiamo come Lui, un puro respiro d’amore. E lo slancio creatore sbocca nell’eucarestia”.

La messa azione di tutta la trinità.

La messa è proprio questo traboccamento dell’amore, questo dono totale del Dio Trinità. Il Padre ci offre suo Figlio, il Figlio si offre completamente. Lo Spirito Santo, unità del Padre e del Figlio, nella quale si compie questa offerta, ci prepara all’incontro con il Cristo e ci dona di offrirci con Lui.
La nostra immersione nella Trinità.
Queste prime parole della liturgia ci ricordano anche il nostro battesimo, il giorno nel quale siamo stati battezzati: “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Queste parole, che accompagnano il segno della croce, ci ricordano dunque l’essenziale della nostra vita cristiana e vi ci ricollocano. Ancora di più, l’eucarestia è “cibo” del nostro battesimo, combustibile della nostra vita cristiana, facendoci entrare sempre più profondamente nella Santa Trinità, nella quale siamo stati immersi. Comunicando al corpo di Cristo, diventiamo sempre più figli e figlie del Padre, perché Gesù, il Figlio diletto, viene a vivere in noi, ci conduce al Padre ed effonde in noi lo Spirito Filiale.

Ricapitolando

Il primo gesto che compiamo insieme all’inizio di ogni liturgia è il segno della croce, segno per eccellenza dei cristiani. Questo gesto ci introduce, in profondità, nella liturgia; a ogni messa, noi partecipiamo al sacrificio della croce, siamo ai piedi della croce. Il sacrificio si rinnova per noi, nello stesso modo, anche se non in una maniera cruenta. Questo segno della croce si accompagna alla invocazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, prima professione di fede nel nostro Dio trinità. La liturgia è l’azione della Trinità che si offre in un traboccamento d’amore e ci invita a rimanere sempre immersi in essa. Stiamo attenti al nostro modo di entrare nella celebrazione! Facciamo attenzione  a non fare più il segno della croce  distrattamente e meccanicamente, ma lasciamoci abbracciare dal nostro Dio Trinità! Possiamo anche mettere in pratica il buon consiglio di questa mamma: ogni mattina, alzandoci, il nostro primo gesto sia un bel segno di croce!

giovedì 21 luglio 2011

Itinerari di fede - IV appuntamento

Torniamo a meditare attraverso il nuovo percorso ricco di diversi itinerari, sempre scritti dalla mano di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia (ringraziamo sempre Enza per l'opera non facile di trascrizione): 


ITINERARI
Le parole che valgono
(l’importanza di dire le cose vere nel momento giusto)

Viviamo nel mondo della parola, ma non tutte le parole hanno lo stesso valore….Ci sono parole semplici che hanno un potere enorme… proviamo a pensarci…. Vi propongo alcune puntate in proposito… Forse a qualcuno servono (almeno così mi illudo di pensare….)

Le parole gentili costano poco ma rendono molto, possono addirittura cambiarci la vita.
“le parole hanno il potere di distruggere o di risanare. Quando sono vere e gentili, possono cambiare il mondo” (Buddha)
Ciò che dite e il modo in cui lo dite, può davvero essere importante; spesso parliamo senza pensare e senza essere consapevoli dell’influsso che hanno le nostre parole. Eppure quell’influsso può essere straordinario tanto sugli altri quanto su noi stessi
Abbiamo bisogno di accrescere la nostra consapevolezza del male che le nostre parole possono fare, e di essere stimolati a riflettere sul fatto che possiamo controllare la nostra lingua. Alcune parole, benché significhino poco sul momento per chi le dice, possono avere un effetto enorme; le parole che spesso diciamo sbadatamente, o lasciandoci trasportare dall’emotività, possono avere un influsso di lunga, lunghissima durata.
Oggi il linguaggio risente di una certa mancanza di educazione. E’ spesso crudo, rabbioso, scortese, in ogni ambiente sociale e in quasi tutte le fasce di età. Il miglior strumento di cui disponiamo per rendere una comunità più civile, virtuosa, corretta è il linguaggio; esso contiene migliaia di parole meravigliose, positive, che promuovono e valorizzano la vita
Parole gentili dette con garbo, placano spesso un animo superbo; mentre spezzano sovente i vincoli d’amore parole sgarbate, dette con rancore
“Pietre e bastoni possono spezzarmi le ossa, ma le parole possono spezzarmi il cuore”
Certe parole provocano profonde ferite e spesso lasciano cicatrici che richiedono molto tempo per guarire.
Una volta detta una cosa, non potete più rimangiarvela. E le parole che per essere pronunciate richiedono un secondo possono causare un dolore che dura per anni.
Le due frasi che più hanno il potere di risanare un rapporto in crisi sono anche le due che ci riesce più difficile dire: “avevo torto”, “Mi dispiace”.
“La vera arte della conversazione non sta soltanto nel dire la cosa giusta al momento giusto, ma, ancor più difficile, nel trattenersi dal dire la cosa sbagliata quando si è tentati di farlo”
Non ci rendiamo conto di quanto spesso ci lamentiamo; più abbiamo e più la vita è facile, più ci lamentiamo. Non compiangersi, non disperarsi, non diventare cattivi, acidi .. focalizzarsi sulle cose che funzionano nella vita ed esserne grati 

2a PARTE: LE PAROLE CHE VALGONO
(l’importanza di dire le cose vere nel momento giusto)
Le nostre parole sono il riflesso di quanto sta accadendo dentro di noi … esaminando il nostro linguaggio riusciamo a conoscerci meglio

Anche quando cerchiamo di nascondere  i nostri sentimenti le nostre parole rivelano ciò che è riposto in noi.
“Il bene più lo si diffonde, più cresce rigoglioso”
Rispettate il potere delle parole, sceglietele con cura (antico detto cinese)
“La nostra vita è determinata dalle scelte, non dal caso”. Una delle scelte importanti riguarda il modo in cui trattiamo gli altri: “Possiamo avvilirli o rincuorarli. Possiamo essere egoisti e irrispettosi o generosi, gentili e disponibili” e facciamo queste cose principalmente attraverso il linguaggio
Rendersi conto dell’influsso che la nostra scelta delle parole può avere sugli altri: * alcune parole entrano nel nostro corpo e ci fanno sentire bene, pieni di speranza, felici, pieni di energia, entusiasti e scherzosi e allegri. * oppure possono abbatterci, entrano nel nostro corpo e ci fanno sentire tristi, amareggiati, depressi e alla fine ci fanno ammalare  -  rendersi conto del potere di cui dispongono le parole se solo sono scelte saggiamente
Come salutiamo il nostro prossimo è una scelta: i buoni saluti creano rapporti migliori, maggior energia, maggior divertimento non è tanto ciò che dici, quanto come lo dici. Non è tanto il linguaggio che usi, quanto il tono in cui lo porgi”.
Il tono della nostra voce può essere altrettanto e, talvolta, anche più importante delle parole che usiamo.
I nostri corpi parlano … sorrisi e gesti amichevoli sono l’accompagnamento ideale di parole gentili
“Se vuoi avvicinarti a chi ti sta intorno, sii consapevole del potere della comunicazione, che è in mano tua”
Un tocco gentile o un abbraccio caloroso, offerti nel contesto opportuno, possono essere un modo estremamente valido per rafforzare le nostre parole.
Talvolta, tacere è la decisione più saggia.
Sviluppare l’abitudine di pensare prima di parlare (scegliere con maggior attenzione le parole) è il primo passo verso una migliore capacità verbale voi potete facilmente accrescere la somma totale della felicità di questo mondo. Come? Elargendo qualche parola di sincero apprezzamento a qualcuno che è solo e scoraggiato. Voi forse domani avrete già dimenticato le parole gentili dette oggi, ma chi le riceverà le terrà care per tutta la vita”.
“Il miglior uso che ciascuno di noi può fare di ogni giorno è gioirne, e poi estendere ad altri la propria gioia. Celebriamo l’oggi!”
Ci sono tante buone cose da dire: tutto ciò che dobbiamo fare è guardarci intorno
Cercate il bene, negli altri e in ogni situazione.
Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri (lettera ai filippesi 4,8).
Cercate il bene anziché il male, il giusto anziché l’iniquo, la bellezza anziché la bruttura, la gioia anziché il dolore. Fatelo, e avrete sempre qualcosa di buono da dire.

 (CONTINUA)

domenica 17 luglio 2011

Capire la Santa Messa - V Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:


CAPIRE LA MESSA
5a PARTE

IL RUOLO CENTRALE DELL’ALTARE
La meta della processione d’ingresso è l’altare, la mensa sulla quale sarà celebrata la messa. Avete notato che la prima azione del celebrante è baciare l’altare. Lo incenserà anche. Questi gesti rimangono del tutto incomprensibili – arrivate forse a baciare la vostra tavola prima di mangiare? – se non si capisce il significato dell’altare. Proviamo allora a spiegare.

L’altare

Altaare traduce il latino altare che deriva da altus, “elevato”. Perché elevato? Perché nelle differenti religioni, l’altare rappresenta il luogo alto che serve da congiunzione tra la divinità e gli uomini. L’altare è una pietra o una tavola che si costruisce spesso su un luogo elevato sulla quale si offre cibo agli dei. Poste sull’altare, le offerte passano nella sfera del sacro. Nell’AT, questa tavola non è dunque accessibile a tutti: i sacerdoti soltanto, generalmente, possono avvicinarsi. Dopo l’offerta, una parte del cibo è restituita ai sacerdoti e ai fedeli: è un cibo sacro che essi ricevono da Dio e che li fa comunione con Lui. I cristiani hanno conservato questo simbolismo forte dell’altare. L’altare è un punto di riferimento per il fedele: sopra di esso viene ricordata l’offerta del Figlio unigenito; sopra di esso è distribuito il cibo dell’eternità. L’altare è davvero il luogo per eccellenza nel quale Dio e l’uomo si incontrano e si uniscono9, il luogo nel quale Dio va verso l’uomo e l’uomo va verso Dio. luogo del sacrificio, l’altare è anche il luogo del pasto. E’ la mensa nella quale i figli di Dio vengono per mangiare e per bere.

L’altare è il Cristo

Nella nuova alleanza, l’altare acquisterà una dimensione nuova, che va ben al di là di tutti i simboli evocati: esso sarà identificato con il Cristo stesso. Nel quinto prefazio del tempo pasquale, leggiamo: “Offrendo il suo corpo sulla croce, diede compimento ai sacrifici antichi, e donandosi per la nostra redenzione, divenne altare, vittima e sacerdote”. Comprendiamo bene che Cristo sia il sacerdote: è lui che officia e che pronuncia le parole del sacrificio: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. Riusciamo a capire che Egli sia anche la vittima: è proprio Lui che si offre sulla croce. Ma come può essere anche l’altare? Ecco due spiegazioni che si completano tra loro:
1.       Abbiamo visto che l’altare è il luogo di congiunzione tra Dio e l’uomo, il luogo in cui si realizza la comunione, il luogo dell’alleanza. Possiamo dire che il Cristo adempie in pienezza questa comunione nel suo corpo. in effetti, nel suo corpo, Dio e l’uomo non formano che una cosa sola, poiché il Cristo è veramente Dio e veramente uomo. Di più, dando la sua vita, è tutta la nostra umanità che Gesù offre a Dio con una offerta perfetta. In cambio riceviamo il suo corpo e il suo sangue come nutrimento divino. Il corpo di Cristo è dunque il “luogo” stesso della comunione perfetta tra Dio e l’uomo, il “luogo” nel quale noi ci offriamo a Dio, e il “luogo”  nel quale noi lo riceviamo; è dunque il vero “altare”.
2.       Il Cristo si presenta Egli stesso come la pietra angolare: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi” (Mt 21,42). San Paolo riprenderà questa immagine affermando che Gesù è la “Pietra angolare” sulla quale tutto riposa: “Voi siete) edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù” (Ef 2,20).
L’altare è proprio la “pietra centrale” che rappresenta il Cristo stesso. E’ dunque “il mobile” più importante della chiesa. Nella liturgia, è opportuno che sia collegato nel posto migliore, perché tutto vi si organizzerà intorno. Occorre che tutti lo vedano. Per riprendere il simbolismo di Cristo, pietra angolare, l’altare è fatto solitamente in pietra, oppure contiene una pietra. La sua forma rettangolare è quella di una tomba, che ricorda la tomba vuota del mattino di Pasqua per evocare la resurrezione.

Il bacio dell’altare

Comprendiamo meglio ora perché l’altare è oggetto di una così grande venerazione. Del resto, durante la messa, non ci si inchina più davanti al tabernacolo bensì davanti all’altare, segno di Cristo che si offre a noi. I ministri ordinati lo baceranno anche all’inizio e alla fine della messa. Per afferrare ancora meglio il significato e l’importanza dell’altare, possiamo accennare brevemente alla sua consacrazione che è il rito principale della “dedicazione” (inaugurazione) delle chiese. Questo rito è impressionante: il vescovo si toglie la sua casula e indossa un grembiale. Dopo avere fatto le unzioni sulle cinque croci (una al centro e le altre ai quattro angoli), egli spalma e friziona tutto l’altare con il sacro crisma.
  L’unzione con il santo crisma fa di questa pietra il simbolo di Cristo che il Padre ha unto di Spirito Santo.
  L’incenso che si fa bruciare sull’altare simbolizza il sacrificio di Cristo che si è offerto al Padre suo in odore           di santità, e anche le preghiere dei fedeli che salgono verso il Signore.
  Le tovaglie poste sull’altare manifestano che esso è la tavola del pasto eucaristico, dove Dio e l’uomo comunicano non più nel sangue di vittime animali, ma nel sangue di Cristo, morto e risorto.
  Lo splendore delle candele, che circondano l’altare, evoca il Cristo “Luce delle nazioni” (Lc 2,32)
  Sotto la tavola dell’altare, noi poniamo delle reliquie di santi per manifestare la nostra unione con tutti quelli e tutte quelle che ci hanno preceduto.
Qual è il significato di questo bacio? Esso è un gesto di venerazione, di tenerezza rispettosa nei confronti del simbolo consacrato della presenza di Dio, di Cristo e della chiesa del cielo (in ragione delle reliquie dei santi sigillate nell’altare). Il presbiterio e il diacono esprimono così la loro comunione con tutto il mistero di Dio, rivelato e realizzato una volta per tutte nel sacrificio di Cristo; il loro bacio simbolizza la loro adesione a tutto ciò che sta per essere attualizzato sull’altare.

L’incenso dell’altare

Poi, almeno nelle grandi feste, il celebrante incensa l’altare. Questa prima incensazione costituisce un gesto di venerazione dell’altare, rivolto a Cristo, nostra “Roccia”. L’incenso ricorda il “nembo” che riempì il santuario, quando Salomone consacrò il primo tempio. L’incenso fa anche una diretta allusione a un versetto di un salmo: “Come incenso salga a te la mia preghiera” (Salmo 140). L’incenso è una resina aromatica che brucia sprigionando un fumo odorifero. La chiesa offre a Dio l’incenso per significare concretamente la sua adorazione e la sua preghiera.
Questo fu il gesto dei Magi, che si sono prosternati davanti al Bambino Gesù e gli hanno offerto oro, incenso e mirra. (cf Mt 2,11). L’altare non è la sola cosa ad essere incensata. Tutto ciò che, in un modo o nell’altro, tocca Dio o è toccato da Lui riceve l’omaggio dell’incenso: la Croce, il libro dei Vangeli, le offerte, il sacerdote stesso e i fedeli.

Ricapitolando

L’altare è la suppellettile più importante della chiesa, perché è il segno di Cristo stesso. In effetti, il Cristo non è solamente il sacerdote e la vittima del sacrificio, ma è anche l’altare perché nel suo corpo offerto si uniscono nella maniera più perfetta Dio e l’uomo: il Cristo offre la nostra umanità a Dio e ci dà il suo corpo come nutrimento divino. Di più, il Cristo si presenta egli stesso come la pietra angolare, la pietra centrale sulla quale tutto si costruisce. Ecco perché l’altare è venerato in una maniera del tutto particolare: i membri della processione si inchinano davanti a esso, i ministri ordinati lo baciano, e colui che presiede la liturgia lo incensa. Quando vediamo il sacerdote baciare l’altare e incensarlo, perché non unirci a lui, nel nostro cuore? Veneriamo, anche noi, il Cristo. e prima che la messa incominci, possiamo fissare il nostro sguardo sull’altare e pensare a tutto ciò che esso rappresenta!


giovedì 14 luglio 2011

Itinerari di fede - III appuntamento

Torniamo a meditare attraverso il nuovo percorso ricco di diversi itinerari, sempre scritti dalla mano di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia (ringraziamo sempre Enza per l'opera non facile di trascrizione): 


ITINERARI



A-  La direzione spirituale 

Imparare a prestare attenzione al disegno di Dio, che si fa strada attraverso gli avvenimenti, è imparare a riconoscere la Sua voce.
Ci sono nella Chiesa molti aiuti dal punto di vista oggettivo e generale, che ci permettono di comprendere dove il Signore ci sta conducendo (omelie, catechesi, liturgia,...), ma la via privilegiata che ci aiuta a comprendere è la direzione spirituale.
Un’attenta e prudente direzione spirituale si pone come strumento che favorisce la sintesi delle varie esperienze e le orienta alla crescita umana e cristiana, nella prospettiva della ricerca vocazionale. Essa spinge ad un cammino (suppone quindi la volontà di muoversi) che va al di là di quello che la persona è, o pensa di essere: lo Spirito tende a muovere, a configurare a Cristo.

Tappe fondamentali della direzione spirituale:

1)  Lavoro di ricerca e di sviluppo delle doti personali positive, delle attitudini, dei desideri, delle virtù umane e cristiane. La direzione spirituale qui tende a far cogliere, alla luce della fede, che la storia personale e il nostro oggi, ricchi di doni, sono voluti da Dio.

2)  Lavoro di purificazione. Non si può essere ingenui o falsamente ottimisti: ci sono in ognuno carenze, difetti, vizi ed egoismi.  Qui la direzione spirituale diventa invito alla conversione per un graduale cambiamento nella preghiera, nel carattere, nell’uso del tempo, nell’attenzione ai doveri quotidiani...

3)  Lavoro di conduzione a Cristo e confronto con Lui, che è il Signore e il centro della vita. La direzione spirituale avvia un lavoro di crescita dell’uomo secondo lo Spirito. Qui entra in chiave personale l’educazione alla preghiera, ai sacramenti, all’ascolto della Parola, alla contemplazione di Cristo amico, Figlio di Dio e modello perfetto dell’uomo.
4)  Lavoro di discernimento vocazionale, di orientamento, di apertura al progetto di Dio sulla propria vita con attenzione alle attitudini, alle possibilità di servizio e di impegno a tempo pieno per il Regno di Dio.

B- LA GUIDA SPIRITUALE

La guida spirituale è una persona che si offre di camminare insieme a te verso l’unica meta: Gesù; sia chi guida che chi è guidato, nel cammino verso il Signore, cresce e perfeziona la sua maturità umana e spirituale. Tuttavia tra la guida e il diretto non deve esserci un atteggiamento paritario altrimenti non si trova aiuto.
La guida spirituale è necessaria per imparare a leggere con obiettività la tua situazione e verificare se la risposta e l’impegno che metti nelle cose sono frutto di una fedeltà alla volontà di Dio, o piuttosto decisione che scaturisce dalla nostra caparbietà.
La guida però non è il protagonista della direzione spirituale, protagonista è lo Spirito Santo.
Una cosa importante che puoi e devi fare per la persona che ti segue spiritualmente è pregare per lei: la tua guida ha bisogno di luce per vedere bene te e per conoscere il piano che Dio ha su di te; la bisogno di intelligenza per indicarti la strada giusta, che non è sempre la più breve e la più piacevole; ha bisogno di pazienza per saper attendere e rispettare i tuoi momenti di crescita.

Ricordati: è necessario che tu chieda esplicitamente a questa persona di Dio se si sente di assumere la responsabilità della tua crescita. Oltre ad avere il tempo a disposizione per ascoltarti con regolarità, essa deve possedere una certa maturità spirituale ed avere esperienza dei diversi cammini di fede.
Tuttavia non credere che la tua guida spirituale possa “leggerti” immediatamente né, tanto meno, sostituirsi a te, al tuo impegno e alle tue decisioni. Tu solo ne sei responsabile! Essa potrà solamente aiutarti a capire, spesso dentro uno spazio abbastanza lungo di tempo, qualcosa del tuo mistero, decifrando le tue costanti.

C- IL DIALOGO SPIRITUALE

Il dialogo che si instaura tra il diretto e la guida aiuta a comprendere le motivazioni più ampie che sottostanno alle scelte, motivazioni che si arriva a fare proprie e quindi ad amare perché in esse si crede fermamente.

Caratteristiche per la buona riuscita del dialogo:

la più assoluta fiducia reciproca; l’amore di entrambi per la verità;
la limpidezza; la chiarezza dei discorsi;
la libertà di qualsiasi riserva o pregiudizio, che fa sentire accolti e capaci di accogliere sempre;
la docilità e l’obbedienza da una parte e la fermezza dall’altra, che vanno di pari passo, attingendo direttamente alla scuola di Gesù, unica vera guida spirituale;
una buona dose di umiltà da entrambe le parti;
fedeltà al calendario prefissato e non agli umori personali (ma se senti la necessità dell’incontro può essere anche più spesso);
vita di preghiera di entrambi.

Attenzione:

non si fa direzione spirituale per telefono;
non si parla mai per mezzo di altri.

Di cosa parlare?

Puoi cominciare col rileggere la tua storia nelle sue tappe più salienti, manifestando anche i doni che hai scoperto in te, le aspirazioni più segrete, che tuttavia ti ritornano costantemente. Tutto questo per riconoscerti all’interno di una storia d’amore in cui Dio ha fatto il primo passo verso di te e in cui ti scopri protagonista insieme a Lui.
Successivamente, puoi rispondere a questa domanda: «Che cosa ho fatto del mio Battesimo?» Rileggi perciò la tua maturazione di fede nei suoi ritmi di crescita, gli incontri che ti hanno segnato positivamente, i momenti in cui sei giunto alla certezza di essere amato da Dio come un suo figlio.

Descrivi poi i momenti bui, le tentazioni lungo il tuo cammino di fede, quando ti è stato difficile riconoscere la presenza del Signore nella tua vita o hai dubitato del suo amore.
Leggi criticamente il tuo presente con le sue inquietudini (i tuoi problemi religiosi, affettivi, morali, vocazionali, famigliari), ma non dimenticare le tue bellezze interiori.
Chi ti ha messo in cuore il desiderio di giungere a una fede più matura e a un sì più convinto ti darà la luce necessaria perché tu possa esprimere nell’operosità quotidiana la freschezza di una vita evangelicamente vissuta.

domenica 10 luglio 2011

Capire la Santa Messa - IV Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:


CAPIRE LA MESSA
4a PARTE

LE VESTI LITURGICHE E I COLORI LITURGICI

La liturgia non è un atto ordinario; essa richiede l’uso di vesti capaci di mostrare a tutti l’importanza dei gesti “divini” che saranno compiuti. Presentiamo allora questi differenti “attori” della liturgia considerando il significato delle vesti che indossano.

I MINISTRANTI

I ministranti (da noi si usa chiamarli anche chierichetti) esercitano differenti funzioni. Eccole nel loro ordine di arrivo nella processione d’ingresso.

1.       La processione si apre con il turiferario (nome che arriva dal latino e significa: colui che porta l’incenso che è contenuto in una navicella). Il fuoco è invece contenuto (sotto forma di carboncini) in un turibolo (vaso di metallo con tre catenelle). Perché l’incenso? Perché l’incenso profuma il cammino e simbolizza la nostra preghiera che si eleva al Signore.
2.       Subito dietro sta il crocifero (portatore della croce), segno che Gesù ci apre il cammino e ci invita a seguirlo.
3.       La croce è attorniata dalle candele accese: la luce ci guida sul cammino.
4.       Seguono gli altri ministranti, che possiamo chiamare anche accoliti, i quali eserciteranno diverse funzioni, in modo particolare quella di portare le offerte all’altare.
5.       Vengono quindi i ministri ordinati: diaconi, presbiteri (parola che deriva dal greco e vuol dire anziano, ma non si riferisce all’età, ma al fatto che un anziano ha (…..aveva) autorità; noi siamo soliti dire invece di presbitero: sacerdote) e vescovi (parola che deriva dal greco e significa “guardiano”).

 L’alba (o camice)

I ministranti, così come i ministri ordinati, sono tutti rivestiti da un’alba (da alba, “veste bianca”). L’alba (ma da noi questa parola si usa poco, si usa dire  più comunemente: il camice) è il segno della resurrezione, della vita nuova che ci viene da Cristo! nei Vangeli, gli angeli della resurrezione apparvero in vesti bianche (o abbaglianti), per l’appunto “in alba”. Nell’Apocalisse, il Cristo promette ai fedeli che condivideranno la sua vittoria di essere vestiti di bianco: “essi mi scorteranno in vesti bianche, perché ne sono degni. Il vincitore sarà dunque vestito di bianche vesti, non cancellerò il suo nome dal libro della vita” (3,4-5). Più avanti, viene spiegato a Giovanni che queste persone vestite di bianco “sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello” (7,14).
La veste bianca, l’alba o il camice, è dunque dei battezzati. E’ per questo motivo che i bambini sono rivestiti di una veste bianca al loro battesimo.

 LE VESTI LITURGICHE DEI MINISTRI ORDINATI

Abitualmente, nelle nostre chiese, è un presbitero (anche a proposito di questo termine occorre dire che nel linguaggio comune si usa poco, più usato è invece : sacerdote) quello che vediamo celebrare la messa. Ma prima di essere ordinato presbitero, egli ha ricevuto l’ordinazione diaconale. Anche alcuni uomini sposati sono ordinati diaconi, senza diventare poi sacerdoti; essi sono chiamati “diaconi permanenti”. Tra i ministri ordinati, ci sono dunque diaconi, presbiteri e vescovi. Come riconoscerli? E’ molto semplice: il diacono porta, sul camice (o alba), la stola in diagonale ed eventualmente la  dalmatica; il presbitero è rivestito della stola e della pianeta; il vescovo ha il capo coperto da una mitra, tiene un pastorale e porta un anello alla mano destra. Dalmatica, pianeta, mitra: ecco dei termini che sembrano davvero strani. Proviamo a spiegarli. Una volta che ha rivestito il camice, il ministro indossa la stola (ha la forma di una sciarpa)che, per quanto riguarda l’abbigliamento, è l’insegna propria di coloro che hanno ricevuto il sacramento dell’ordine. Essa è intonata ai colori liturgici. Il vescovo e il presbitero portano la stola sulle due spalle, in segno del potere sacerdotale che è stato loro conferito. Il diacono la porta a tracolla sulla spalla sinistra. Senza entrare nei dettagli, ecco la specificità dei ministri ordinati:
il vescovo è il pastore di una diocesi, cioè un territorio che forma una “chiesa locale”. Egli riceve il triplice ufficio di governare, di insegnare e di celebrare. I vescovi sono i successori degli apostoli, in comunione gli uni con gli altri e più particolarmente con il vescovo di Roma, il Papa, successore di S.Pietro, che presiede all’unità. Poiché il vescovo non può adempiere da solo il compito pastorale nella sua diocesi, egli si circonda di collaboratori, i presbiteri, che egli ordina per celebrare la messa e altri sacramenti. Affida loro una piccola parte della sua diocesi, una parrocchia, un settore di parrocchie o un’altra missione come, ad es., l’animazione della pastorale dei giovani (da noi di solito chiamato “curato”= colui che si prende cura) o la cappellania di un ospedale, o altro.

I diaconi, il cui nome significa “servitore”, sono configurati a Cristo Servo. Essi si mettono più particolarmente al servizio dei più poveri e di coloro che sono lontani dalla chiesa. Nella liturgia, essi assistono il vescovo o il presbitero e proclamano il Vangelo. Conferiscono i sacramenti del battesimo e del matrimonio, ma non possono celebrare la messa né dare nl’assoluzione.
Il vescovo o il presbitero indossa poi la pianeta (o casula), una veste ampia (può sembrare un mantello)  che si infila dalla testa. La parola viene da “casa”. In effetti, la casula, che avvolge completamente colui che la indossa, evocava una casetta (casula) o una tenda. Il presbitero la riceve nel corso della sua ordinazione sacerdotale, dopo l’unzione delle mani,per significare che egli è rivestito di Cristo. questo è proprio il senso profondo della casula: il presbitero “riveste” il Cristo in nome del quale agirà. Al posto della pianeta, il diacono può rivestire la dalmatica. Veste originaria della Dalmazia (oggi in Croazia), questa veste romana è diventata la veste propria dei diaconi. E’ una specie di casula più corta, con delle maniche. Quanto al vescovo, egli porta sulla testa uno zucchetto (copricapo a forma circolare, segno di autorità. E’ di colore viola, mentre per i cardinali è rosso) e una mitra (niente di…..pericoloso….mitra deriva dal greco e significa diadema). La mitra era portata dai sacerdoti dell’AT. Nell’uso cristiano, questo copricapo sacerdotale fu adottato e riservato ai vescovi e agli abati dei monasteri. Essa si accompagna al pastorale, il bastone del pastore, simbolo eloquente dell’autorità del “pastore”. Gia che ci siamo, accenno anche a qualche altro “elemento” dell’abbigliamento del sacerdote. L’amitto: è una specie di grande fazzoletto che il sacerdote si mette sulle spalle e attorno al collo prima di mettere il camice. Il cingolo: oltre ad una intuibile funzione pratica, è segno di purezza.

 I COLORI LITURGICI

Un po’ come il colore degli alberi che cambia secondo la stagione, i colori liturgici segnano i tempi dell’anno liturgico. Essi segnalano anche le feste che viviamo. Cominciamo con il bianco che è, come abbiamo visto, il colore della resurrezione. Lo si usa quindi a Pasqua e nel tempo pasquale. Colore della festa, si utilizza anche a Natale e nel tempo natalizio, così come in tutte le feste della Vergine Maria, degli Angeli e dei Santi che non sono martiri. Il bianco evoca la purezza, ma più ancora la gloria divina e lo splendore di tutto ciò che tocca Dio. Da notare che si può utilizzare l’oro per le grandi feste, che si chiamano solennità, e l’azzurro per le feste della Vergine Maria.
Il rosso evoca il sangue e ilo fuoco dello Spirito Santo. Colore del sangue, è utilizzato per la domenica della Passione (delle Palme), il venerdi santo e la croce gloriosa, come pure per le feste di tutti i santi che hanno versato il loro sangue nel martirio. Colore dello Spirito Santo, lo si porta alla Pentecoste e alle confermazioni. Il rosso è dunque legato alla testimonianza suprema dell’amore, che è il dono del sangue, e al culto di colui che è l’Amore. Il viola è il colore dell’implorazione. Lo si utilizza per i Tempi dell’Avvento e della Quaresima, come pure per le celebrazioni penitenziali, il sacramento della riconciliazione, l’unzione degli infermi e per gli uffici dei defunti. Due volte all’anno, si può utilizzare il rosa: la terza domenica dell’Avvento, denominata Gaudete, “Rallegratevi”, e la quarta domenica di Quaresima, denominata Laetare, “Siate nella gioia”. A metà di questi due tempi di penitenza, la chiesa fa pausa per intravedere la gioia del Natale o della Pasqua che prepara e attende. In queste due domeniche, il viola si mescola col bianco per dare così il rosa. Il verde infine è ilo colore liturgico del tempo ordinario; lo si porta quando non vi è alcun’altra festa o tempo speciale. Il colore verde evoca la crescita della chiesa, grazie alla linfa vitale donata da Dio. Un tempo si usava anche il nero per i defunti (il nero è il colore del lutto). Oggi normalmente si usa il colore viola.