"La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture non mancando mai, soprattutto nella liturgia, di nutrirsi del pane della vita, sia della Parola di Dio, sia del Corpo di Cristo". (Concilio Vaticano II)

domenica 3 luglio 2011

Capire la Santa Messa - III Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:


3a PARTE

LA PROCESSIONE E IL CANTO D’INGRESSO

La messa comincia con una processione d’ingresso accompagnata da un canto.

LA PROCESSIONE D’INGRESSO

Che sia solenne, risalendo dal fondo della chiesa con dei ministranti che portano la croce, l’incenso e le candele, oppure che sia molto sobria, la processione d’ingresso ha un significato magnifico: l’assemblea accoglie il Cristo stesso, rappresentato dal celebrante.
Per sottolineare l’importanza di ciò che si sta vivendo, essa si alza e canta. Ritorneremo sul prossimo capitolo su questa processione, così come sulle vesti e sui colori liturgici.
Soffermiamoci ora sull’«azione» dell’assemblea durante questa processione: essa canta.

IL CANTO D’INGRESSO

Il canto d’ingresso ha una triplice funzione.
1. Permettere di entrare nella preghiera e di manifestare l’unione dell’assemblea.
2. «Dà colore» a ciò che stiamo per vivere, ci introduce nel tempo liturgico, nella festa del giorno o nel tema delle letture bibliche.
3. Più profondamente ancora, mette in risalto la gioia della chiesa, sposa, che accoglie il suo sposo, il Cristo.

1. Il canto d’ingresso concretizza l’unione dell’assemblea
Ci siamo riuniti in chiesa per partecipare alla messa. Entrando, abbiamo forse potuto accoglierci gli uni gli altri, salutarci, perfino scambiarci qualche notizia. Bisogna ancora che l’assemblea che noi formiamo adesso «prenda corpo». E’ questo il compito del canto d’ingresso. Anche se non siamo dei virtuosi, potremo unire le nostre voci, questo strumento che noi tutti abbiamo ricevuto. Il canto d’ingresso è un atto liturgico al quale ciascuno si associa per formare l’assemblea eucaristica. Veniamo da orizzonti differenti, ed ecco che cantiamo insieme le stesse parole sulle medesime note e allo stesso ritmo. Non è un simbolo della nostra riunione comunitaria?
2. Il canto d’ingresso dà colore al giorno.
Il canto ci introduce alla specificità di ciò che celebriamo. Sarà scelto in funzione della festa celebrata, del tempo liturgico (i tempi liturgici ci permettono di prepararci alle grandi feste di Natale e di Pasqua, e poi di viverne la gioia profonda nei giorni seguenti. Così, l’anno liturgico comincia con l’Avvento (da tre o quattro settimane prima di Natale), seguito dal tempo di Natale (fino alla festa del Battesimo di Gesù, la seconda domenica di gennaio). Prima di Pasqua, viviamo la Quaresima (dal mercoledì delle Ceneri al sabato santo) seguita dal tempo pasquale (fino alla Pentecoste). Al di fuori di questi quattro periodi, siamo nel tempo ordinario) o ancora del tema delle letture bibliche del giorno. Il canto d’ingresso ci prepara così a ciò che stiamo per celebrare, e alle letture che stiamo per ascoltare, e ce ne dà il significato profondo. Quando non c’è il canto d’ingresso, il sacerdote può leggere l’antifona d’ingresso che è, assai spesso, un versetto di un salmo o un’acclamazione in relazione con la festa del giorno.

3. Il canto d’ingresso è l’esultanza della sposa che accoglie il suo sposo.
Il canto accompagna la processione che, come abbiamo appena visto, non è un momento banale, «funzionale». E’ la Chiesa locale, la sposa, che accoglie il suo sposo, il Signore, rappresentato dal celebrante. Il suo ingresso nel santuario significa simbolicamente il ritorno di Cristo stesso.

UN CANTO CHE NON RAGGIUNGE SEMPRE IL SUO SCOPO

A partire da questi aspetti importanti, possiamo osservare ciò che viviamo e constatare che il canto d’ingresso non sempre raggiunge il suo scopo….
1. Se è cantato dalla sola corale e l’assemblea lo ascolta passivamente, non concretizza l’unione dell’assemblea. La corale non deve eseguire tutti i canti (alcune parti «appartengono» all’assemblea e non le possono essere tolte). Non si tratta di opporre il canto della corale e quello dell’assemblea, ma di ritrovare un equilibrio nel quale ciascuno abbia il suo posto. Là dove  «fa tutto» la corale, l’assemblea diventa passiva e finisce con il non cantare più!
2. Se è scelto troppo velocemente senza tener conto di ciò che celebriamo, non introduce correttamente alla specificità del giorno.
3. Se è intonato, per mancanza di un animatore liturgico, dal sacerdote che presiede, e che non può quindi nello stesso tempo far cantare ed entrare nel nome di Cristo, non manifesta pienamente l’esultanza della sposa che accoglie il suo sposo.
Il canto dell’assemblea:
Poiché la liturgia è l’azione di tutta la comunità, il canto principale, in ogni celebrazione, è quello dell’assemblea. Così, tutti i membri di una comunità si esprimono con le stesse parole. E questo diviene il segno più evidente dell’unanimità dei cuori che si esprimono.
Il canto della corale:
La corale ha sicuramente un posto importante nella liturgia. Essa apporta un sostegno essenziale all’assemblea trascinandola e permettendole di apprendere nuovi canti e di variare il repertorio. In certi momenti della liturgia (offertorio, comunione, strofe di un salmo), essa interpreta da sola un canto più complesso, in polifonia. L’unione delle differenti  voci è un segno molto bello dell’armonia, dell’unità nella diversità, di un’unanimità nella quale ciascuno è riconosciuto e apprezzato per il suo carattere proprio e che si raduna per formare un insieme melodioso. Tuttavia, la corale deve sempre ricordarsi che non è lì per eseguire un concerto, e che essa rimane, come tutti gli altri attori, sacerdote compreso, al servizio della liturgia, e al servizio del canto dell’assemblea.
Le cause di un disequilibrio:
Storicamente, schematizzando un po’, siamo passati, nel corso della storia della chiesa, da un canto comunitario, derivato dalle liturgie ebraiche, a un canto di tipo monastico, e poi, nel secondo millennio, a un canto polifonico che è diventato sempre più complesso. La liturgia è diventata il luogo in cui si eseguono delle belle opere musicali. Questo sviluppo ha permesso di generare magnifici capolavori. Ma questo progresso di un canto liturgico colto ha provocato molto presto il declino della partecipazione del popolo, ciò che è assai dannoso a livello liturgico, poiché il popolo si trova così privato del suo ruolo attivo nelle celebrazioni. La riforma liturgica del Vaticano II ha voluto riequilibrare questi valori ridando vita alle celebrazioni del popolo. Questo ritorno alle fonti della liturgia cantata è una nuova sfida che si apre davanti a noi. Che differenza, in effetti, tra una liturgia nella quale si sente un’assemblea che partecipa e che canta, e alcune messe domenicali nelle quali l’assemblea sta in fondo alla chiesa, con le braccia conserte e soprattutto con la bocca chiusa, che sembra attendere che la corale abbia finito l’esecuzione del suo pezzo…. Molto opportunamente la riforma liturgica prevede per le corali una collocazione sul lato del coro. Si tratta insomma di ritrovare un saggio equilibrio che permetta a ciascuno di trovare il suo posto nella liturgia. Come il sacerdote prega a nome di tutti utilizzando il «noi», così l’assemblea può unirsi alla strofa di un canto o al mottetto che canta la corale o il salmista.
  
Gli animatori liturgici:
In liturgia, non è desiderabile che una sola persona faccia tutto. La presenza di un animatore liturgico o di una animatrice liturgica permette di meglio ripartire i ruoli nella liturgia e di guadagnarne in qualità.

GLI STRUMENTI MUSICALI

Nella liturgia, beneficiamo anche dell’accompagnamento degli strumenti musicali. Questi non sostituiscono la voce umana che resta principale. Così, le chiese d’Oriente non ammettono gli strumenti musicali nelle celebrazioni, poiché non possono trasmettere la Parola. Nelle chiese della Riforma, si è a lungo esitato a utilizzare l’organo nel culto, a causa di una certa sobrietà. Esso ha tuttavia acquistato a poco a poco un posto importante nella liturgia, prima per sostenere la voce dell’assemblea, poi anche per creare degli spazi di meditazione. La chiesa romana si è molto evoluta, nel corso dei secoli, sulla questione della musica strumentale. Quando si fu totalmente liberato della sua connotazione profana originaria, l’organo acquisì diritto di cittadinanza nelle chiese, e anche durante lunghi periodi, l’esclusività. Oggi gli strumenti a corda, gli strumenti a fiato e le percussioni sono ammessi, anche se l’organo a canne conserva il primo posto.

RICAPITOLANDO
Il canto d’ingresso ha una triplice funzione:
1. Permette di costituire visibilmente l’assemblea che canta insieme con un solo cuore,
 «con una voce sola».
2. «Dà colore» a ciò che stiamo per vivere, ci introduce nel tempo liturgico, nella festa del giorno o nel tema delle letture bibliche.
3. Più profondamente ancora, mette in risalto la gioia della chiesa, sposa, che accoglie il suo sposo, il Cristo, rappresentato dal sacerdote. 

MEDITATO E SCRITTO DA PADRE LEOPOLDO
PRIORE FRANCESCANO CONVENTUALE DELLA
CHIESA DI SAN FRANCESCO DI BRESCIA 

 

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