"La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture non mancando mai, soprattutto nella liturgia, di nutrirsi del pane della vita, sia della Parola di Dio, sia del Corpo di Cristo". (Concilio Vaticano II)

domenica 11 dicembre 2011

Capire la Santa Messa - XXIII Appuntamento

Concludiamo oggi l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:



CAPIRE LA MESSA

ECCO L’AGNELLO DI DIO
N° 23

LA FRAZIONE DEL PANE

Ricordiamoci che la “frazione del pane” è la denominazione più antica della messa. Spezzare il pane è rifare, rinnovare il gesto di Gesù nell’ultima cena. La frazione del pane è un simbolo forte della passione e della morte di Cristo: il suo corpo è sppezzato come si spezza il pane. Nella messa, la frazione del pane è un gesto di preparazione alla comunione: l’unico corpo di Cristo è diviso perché tutti possano riceverlo e comunicarsi. Nei primi secoli si utilizzava del pane “normale”, fermentato, che portavano i fedeli; occorreva un certo tempo per poter dividere questo apne in tanti pezzetti quanti erano i fedeli. Più tardi, verso l’XI secolo, la chiesa latina stabilì l’uso di celebrare l’eucarestia con il pane azzimo (senza lievito), come aveva fatto il Cristo nella cena pasquale. Da allora, il gesto della frazione ha perduto la sua visibilità, poiché le ostie erano piatte e sottili. Solo quella del celebrante era spezzata, i fedeli si comunicavano con piccole ostie preliminarmente tagliate. La riforma liturgica dopo il Concilio Vaticano II ha richiesto che il rito della frazione ritrovi il suo significato. E’ dunque vivamente auspicato che il celebrante utilizzi un’ostia grande e possa così compiere visibilmente il rito della frazione del pane.

L’IMMISTIONE

Spezzando il pane, il sacerdote lascia cadere nel calice un frammento dell’ostia. Questo gesto si chiama immistione. (da immiscere, “unire a”, “mescolare con”). Qual è il senso di questo antichissimo gesto? Possiamo coglierne un triplice significato: temporale, ecclesiale e simbolico. In un senso molto pratico, può darsi che si immergessero un tempo nel calice i pani consacrati nelle messe precedenti, molto semplicemente per rammollirli. Questo gesto manifestava dunque l’unità del sacrificio eucaristico nel tempo: è sempre lo stesso sacrificio che noi celebriamo. Dal punto di vista ecclesiale, questo gesto segnava l’unità con il vescovo. Il più spesso possibile , i presbiteri concelebravano la messa presieduta dal vescovo. La domenica, il vescovo mandava degli accoliti a portare ai presbiteri, che celebravano la messa nei villaggi, un frammento dell’ostia che egli aveva consacrato. I sacerdoti mettevano questa particella nel calice in segno di unità con il vescovo. Oggi, questo vincolo di unità è significato dalla menzione del Papa e del Vescovo nella preghiera eucaristica. L’immistione conserva un significato simbolico molto profondo. Sull’altare il corpo e il sangue di Cristo sono separati; questo è un segno del suo unico sacrificio nel quale il suo sangue è stato versato sulla croce e, si potrebbe dire, è stato come separato dal suo corpo. L’immistione evoca all’inverso la resurrezione che ha unito per sempre, per la vita eterna, il corpo e il sangue di Cristo, compiendo questo gesto, il sacerdote chiede che noi abbiamo parte alla sua risurrezione: “il corpo e il sangue di Cristo, uniti in questo calice, siano per noi cibo di vita eterna.

IL CANTO DELL’AGNUS DEI

Mentre il celebrante spezza il pane, l’assemblea canta: “Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi”. Il messale precisa che questa invocazione potrà essere ripetuta tante volte quanto è necessario per accompagnare la frazione del pane. L’ultima volta, essa è conclusa dall’invocazione: “Dona a noi la pace”. Il canto dell’agnello di Dio è stato introdotto nella messa romana alla fine del VII secolo dal Papa Siriaco Sergio I. le parole provengono molto semplicemente dal Gloria (che risale almeno al IV secolo), nel quale noi cantiamo: “Signore Dio, Agnello di Dio, Figlio del Padre, tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi”. Oggi, la formulazione può porre qualche problema: alcuni pensano che essa non corrisponda più alla cultura contemporanea e sostituiscono l’Agnus Dei con un altro canto sul tema della pace.
Costoro passano accanto al significato profondo di questo canto che accompagna la frazione del pane, cioè il dono di Cristo, agnello pasquale, agnello immolato per noi.

«L’AGNELLO» NELLA BIBBIA

Il tema dell’agnello attraversa tutta la Bibbia, dal sacrificio di Abele che offrì a Dio i primogeniti del suo gregge (cf. GN 4,4) fino alle ventotto menzioni nell’Apocalisse di Cristo come l’Agnello che siede sul trono. Due testi di maggiore importanza devono essere messi in rilievo. Prima di tutto, quello dell’Esodo, che leggiamo nel corso della messa del giovedì santo: si tratta della prescrizione del sacrificio dell’agnello pasquale, preludio all’uscita dall’Egitto, il cui sangue versato sugli architravi salverà gli Israeliti dal decimo flagello (cf. Es 12,1-14). In secondo luogo, il quarto canto del Servo sofferente nel libro del profeta Isaia, letto all’inizio della celebrazione del venerdì santo: “Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di Lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta davanti ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca.” (53,6-7). Così, il tema dell’agnello, che si immola per la salvezza di tutti, è molto presente nel pensiero semitico. Quando Giovanni Battista presenta Gesù ai discepoli, dice loro semplicemente: “Ecco l’Agnello di Dio” (Gv 1,36). I discepoli comprendono immediatamente che Giovanni designa il Messia atteso e si mettono a seguirlo.
Con il suo sacrificio, il Cristo “ricapitolerà” nello stesso tempo il rito espiatorio dell’agnello pasquale e l’offerta amorosa del servo sofferente.

LE PREGHIERE PRIMA DELLA COMUNIONE

Dopo la frazione del pane e il canto che l’accompagna, il sacerdote si raccoglie un momento e pronuncia una delle due preghiere che gli sono proposte, mentre i fedeli si preparano in silenzio a ricevere il loro Signore. proprio come la preghiera per la pace, questa preghiera si rivolge direttamente a Cristo, cosa che è eccezionale nell'ordinario della messa. “Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l’opera dello Spirito Santo morendo hai dato la vita al mondo, per il santo mistero del tuo corpo e del tuo sangue liberami da ogni colpa e da ogni male, fa che io sia sempre fedele alla tua legge e non sia mai separato da te”. Questa prima formula risale al nono secolo. L’invocazione: “Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo” è la ripresa della confessione di fede di san Pietro a Cesarea (Mt 16,16). Prima di consumare il Pane vivo, il sacerdote ripete con il capo degli apostoli la sua fede in Gesù che, con la sua morte, ha dato la vita al mondo. Questa confessione è trinitaria, poiché noi ricordiamo che Gesù ha sempre fatto la volontà del Padre che è di salvare tutti gli uomini, e che Egli agisce per la potenza dello Spirito santo. Poiché il sangue dell’Agnello purifica da ogni peccato, il sacerdote può chiedere che il corpo e il sangue di Cristo lo liberino dai suoi peccati e da ogni male. Egli implora anche la grazia di rimanere fedele ai comandamenti del Signore, e di non essere mai separato da Lui. Ecco l’altra formulazione che il sacerdote può utilizzare: “La comunione con il tuo corpo e il tuo sangue, Signore Gesù Cristo, non diventi per me giudizio di condanna, ma per tua misericordia sia rimedio e difesa dell’anima e del corpo”. Questa preghiera si ispira alla messa in guardia di San Paolo: “Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice, perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1Cor 11,27-29). Nel momento in cui si comunicherà, il sacerdote è ben consapevole della sua indegnità, ma fa appello alle parole del Signore che non è “venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”
(Mt 9,13) e gli chiede che questa comunione lo sostenga e gli doni la guarigione.

“ECCO L’AGNELLO DI DIO!”

Dopo questa preghiera di preparazione alla comunione, il sacerdote fa una genuflessione, come aveva fatto dopo ciascuna delle consacrazioni. E’ un gesto di venerazione e di adorazione, prima di comunicarsi al corpo e al sangue di Cristo. Elevando l’ostia, egli invita i fedeli al banchetto eucaristico dicendo: “Beati gli invitati alla cena del Signore. Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”. E’ proprio con queste parole che Giovanni Battista aveva designato Gesù. Questo invito si proroga fino a noi: più che a un semplice pasto, noi siamo invitati “Al banchetto delle nozze dell’Agnello”.

SIGNORE, NON SON DEGNO

Di fronte a un tale invito, noi facciamo un atto di umiltà: “Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma dì soltanto una parola e io sarò salvato!”. Queste parole riprendono l’atto di fede e di umiltà del centurione romano che chiese la guarigione del suo figlio (o servo), non sentendosi degno che Gesù andasse a casa sua: “Ma dì soltanto una parola, aggiunse, e mio figlio sarà guarito” (Mt 8,8). Così, anche noi ci sentiamo proprio indegni che il Signore venga a dimorare in noi con la comunione. Ma abbiamo fiducia in Lui che vuole darsi a noi per salvarci.

RICAPITOLANDO

Prima della comunione, viviamo il rito della “frazione del pane”: il celebrante spezza l’ostia consacrata, in segno di Cristo che si offre sulla croce e il cui corpo è spezzato. Egli la divide per significare che l’unico corpo di Cristo è distribuito tra tutti. Lascia quindi cadere un piccolo pezzo di ostia nel calice precisando che il corpo e il sangue di Cristo riuniti in questo calice sono un segno della risurrezione e che la nostra comunione è cibo per la vita eterna. Il rito della frazione è accompagnato con il canto dell’Agnus Dei. Noi riconosciamo che Cristo è l’Agnello di Dio che si è offerto per il perdono dei nostri peccati e per donarci la pace. Il sacerdote ci invita a partecipare alla mensa del Signore, banchetto di nozze dell’Agnello. Noi rispondiamo con umiltà e fiducia che è il signore che ci rende degni di partecipare a un tale banchetto. Al momento della frazione del pane, riconosciamo il Cristo, Agnello di Dio che prende su di se tutte le nostre colpe perché noi abbiamo la vita.

domenica 4 dicembre 2011

Capire la Santa Messa - XXII Appuntamento

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CAPIRE LA MESSA

LA PREGHIERA E IL RITO DELLA PACE
N° 22

LA PREGHIERA PER LA PACE

Con la preghiera che il sacerdote dirà a voce bassa proprio prima della comunione, questa preghiera per la pace è la sola ordinariamente rivolta Gesù nella celebrazione della messa. Nel corso della grande preghiera eucaristica rivolta al Padre, è come se noi facessimo una pausa per rivolgerci al Signore Gesù Cristo presente in mezzo a noi e ci distanziassimo un poco per vederlo meglio e dirgli il nostro amore. La Chiesa prende il suo Signore per i sentimenti, poiché gli ricorda le sue stesse parole: «Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”». Gesù le ha pronunciate al momento del grande discorso di addio: «Vi lascio la pace , vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14, 27). Questa pace non è come quella del mondo; non ha niente a che vedere con la pax romana, una pace che si impone con la propria supremazia. Più che una semplice assenza di conflitti, il Cristo ci offre una pace profonda, interiore. Quindi, noi ci riconosciamo peccatori davanti all’Agnello immolato e senza macchia: «Non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua chiesa». Noi ci sentiamo davvero indegni di ricevere un tale dono, e la nostra fede è davvero debole. Per questo facciamo appello alla fede della chiesa, fondata dal Cristo che ha promesso che le forze della morte non prevarranno su di essa.
Il sacerdote prosegue: «E donale unità e pace secondo la tua volontà. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli». Noi imploriamo il dono della pace e dell’unità, perché l’eucarestia è il sacramento dell’unità. In effetti, noi riceveremo il medesimo corpo di Cristo per diventare insieme il corpo di Cristo che è la chiesa. Ma sappiamo bene, purtroppo, che l’unità della chiesa voluta dal Cristo non è realizzata, e che ci sono ancora tante divisioni. Allora, noi imploriamo questa unità, coscienti che soltanto il Cristo può condurre la sua chiesa e i suoi fedeli verso l’unità perfetta.

L’AUGURIO DELLA PACE

Dopo aver domandato a Cristo il dono della sua pace, il sacerdote può perciò augurarla a tutta l’assemblea: «La pace del Signore sia sempre con voi». I fedeli rispondono: «E con il tuo spirito», con la stessa densità di significato che abbiamo visto all’inizio della messa. Ricordiamo che la pace, shalom in ebraico, designa «ciò che è riempito», «ciò che è colmato». Solo il Signore può riempirci e colmarci pienamente.
La pace, scrive il cardinale Lustiger, «è la pienezza della vita con Dio, è la vita umana finalmente compiuta nella felicità perché Dio viene a porre la sua dimora in mezzo al suo popolo, è la vita dell’uomo trasfigurato dalla gioia di vivere con Dio tra i fratelli». La pace, è il compendio di tutti i beni; è il dono che Cristo porta con la sua nascita e con la croce. Risuscitato egli dirà ai suoi apostoli: «La pace sia con voi»
(Gv 20,19.21.26).
Comprendiamo ora la portata di questo augurio del sacerdote e della pace che ci daremo gli uni agli altri.

LO SCAMBIO DELLA PACE

Se pare opportuno, precisa il messale, il diacono o il presbitero invita i fedeli: «Come figli del Dio della pace, scambiatevi un gesto di comunione fraterna». Questo gesto non sempre è ben compreso. Alcuni si domandano perché è soltanto in questo momento della messa che si salutano i vicini…..Altri sono un po’ imbarazzati, perché non conoscono molto o anche affatto quelli che stanno loro vicino; forse non ci si è neppure mai parlati…..E’ proprio la prova che questo è un gesto esigente.
Bisogna dunque ricordare che cos’è il bacio della pace, e forse soprattutto che cosa non è: non è stretta di mano banalizzata né forzata. Non è il momento di andare a salutare le persone che non abbiamo ancora visto. Non è soltanto un gesto per dire che ci si vuol bene davvero e che si è contenti di stare insieme. Non è soltanto l’offerta di una pace superficiale o utopica, che pensiamo di realizzare da noi stessi. Il gesto di pace è un gesto antico, un gesto sacro, un gesto propriamente cristiano, radicato nelle Scritture. Non è la nostra pace che noi ci scambiamo, ma quella del Signore che noi condividiamo. Questo cambia tutto!
Noi riceviamo umilmente la pace di Cristo come un dono infinitamente prezioso che ci trasforma e ci rende capaci di accoglierci gli uni gli altri, malgrado i nostri antagonismi e le nostre controversie umane. San Cirillo di Gerusalemme scriveva già nel IV secolo con il bacio della pace «fonde le anime in una mutua amicizia e promette l’oblio di ogni offesa. Questo bacio è dunque segno che le anime sono unite tra loro e hanno deciso di dimenticare ogni oltraggio». Questo gesto esigente richiede che si consideri l’altro come una persona da rispettare e da amare. In alcuni casi, per scambiarsi in tutta verità il segno della pace, occorrerà aver perdonato dal proprio cuore colui o colei a cui si tende la mano. Nel rito romano, già dal V secolo, questo gesto è stato collocato dopo il Padre nostro con il quale ci siamo impegnati a perdonare i nostri fratelli poiché il Signore perdona noi. Prima di comunicarci, ci scambiamo un segno di pace. Infatti come potremmo, da un lato, avvicinarci a Cristo e manifestargli che noi lo amiamo e, dall’altro, rifiutare di volgerci a questo fratello o questa sorella che sta al nostro fianco? La parola di san Giovanni ci giudica: «Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4,20). La maggior parte degli altri riti liturgici lo situano prima della preparazione dei doni, ciò che può comprendersi in riferimento alla prescrizione del Signore: «Se dunque tu presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
Avete notato che si parla di un «bacio di pace? Questo termine testimonia un affetto, una tenerezza che dovremmo avere gli uni verso gli altri. Tuttavia, normalmente, non ci si bacia. Non sarebbe del resto opportuno «darsi un bacino» come quando si incontra un conoscente. …….

RICAPITOLANDO

Prima di comunicarsi, il celebrante chiede a Cristo il dono della pace e dell’unità della chiesa e dei fedeli che si comunicheranno al medesimo corpo. Poi, egli augura la pace di Cristo a tutta l’assemblea. Invita i fedeli a darsi gli uni agli altri questa pace in segno di fraternità e di riconciliazione.
Riceviamo la pace di Cristo e facciamo attenzione che il nostro gesto di pace sia un vero segno di riconciliazione di fraternità.



domenica 20 novembre 2011

Capire la Santa Messa - XXI Appuntamento

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CAPIRE LA MESSA
21° PARTE

PADRE NOSTRO

LA PREGHIERA DI GESU’

Secondo il catechismo della chiesa cattolica, il Padre nostro è il «compendio di tutto il Vangelo», la «preghiera fondamentale», quella che contiene tutte le altre preghiere che si trovano nella Scrittura. Questa preghiera è unica, poiché è Gesù stesso che ce l’ha insegnata. Nel Vangelo la troviamo sotto due forme In due contesti differenti. In Matteo (6,9-13), il Padre nostro è nel cuore del discorso della montagna (cap. 5-7). Tra l’elemosina e il digiuno, Gesù invita alla preghiera. Egli chiede di non pregare come gli ipocriti che amano dare spettacolo di se (6,5), né di ripetere continuamente parole come i pagani che si immaginano che sia a forza di parole che verranno esauditi. (6,7). Al contrario, Gesù ci ingiunge di ritirarci nella nostra camera, e di rivolgere la nostra preghiera al nostro Padre che è lì nel segreto. Gesù ci invita a pregare con fiducia perché, dice, «il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate» (6,8). Aggiunge subito: «Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli…..» (6,9). In Luca (11,2-4), i discepoli trovano Gesù mentre sta pregando. Lo osservano, aspettando che abbia finito, e poi gli chiedono umilmente: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (11.1). Gesù risponde loro: «Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoni amo ad ogni nostro debitore, e non indurci in tentazione» (11,2-4). Gesù comunica le parole della sua preghiera; ci svela così la sua maniera originale di parlare con Dio e l’intimità che lo lega al Padre suo, ci indica come pregare il Padre suo che anche noi possiamo, seguendo il suo esempio e accogliendo il suo invito, chiamare «nostro Padre». Dire questa preghiera con lui ci fa entrare in una relazione filiale. Questa preghiera non è la domanda dei servi a un padrone, ma quella dei figli al loro Padre i quali possono dire: Abba, cioè: “Papà”. L’inserimento del Padre nostro nella liturgia è molto antico. Il suo posto all’inizio dei riti della comunione si spiega con la richiesta: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Il pane celeste che Dio ci dà è proprio quello dell’eucarestia. E poi, perché nel momento in cui stiamo per comunicarci insieme, manifestiamo con questa preghiera che siamo fratelli e sorelle, dal momento che abbiamo lo stesso Padre.

LA MONIZIONE DEL PADRE NOSTRO

Il messale romano propone alcune monizioni per introdurre la preghiera del Padre nostro: «obbedienti al comando del Salvatore e formati al suo divino insegnamento, osiamo dire». Questa prima monizione ci invita a prendere coscienza di ciò che stiamo per fare: se noi «osiamo» rivolgerci a Dio dicendo «Padre», è perché Gesù stesso ce l’ha insegnato e ci invita a farlo con Lui. Una seconda monizione esprime il ruolo dello Spirito Santo, uno Spirito di filiazione che ci spinge a chiamare Dio Abba, «Papà». «Il Signore ci ha donato il suo spirito. Con la fiducia e la libertà dei figli diciamo insieme».


LE PAROLE DEL PADRE NOSTRO

Ammettiamolo: il Padre nostro è una preghiera che sappiamo a memoria, che ripetiamo spesso, ma pensiamo veramente ciò che diciamo?
«Padre nostro»: Gesù ci invita dunque a entrare nella sua intimità col Padre, a pregarlo con Lui dicendo: “Abba”. Noi riconosciamo che <dio è nostro Padre, e che noi siamo suoi figli. Dire «nostro» Padre ci stabilisce in una grande comunione, poiché siamo figli e figlie di Dio, il quale è il Padre di tutti. Questa preghiera ci esorta a superare le nostre divisioni e le nostre opposizioni, e ci apre alle dimensioni di tutta l’umanità.
«Che sei nei cieli»: vuol dire che Dio è lassù nei cieli, dietro le nuvole, come se lo possono immaginare i bambini…..Prévert ha pronunciato questa celebre battuta di spirito: «Padre nostro che sei nei cieli, restaci!». Il cosmonauta sovietico Gagarin, di ritorno da una missione spaziale, aveva dichiarato solennemente: «Ho scrutato bene il cielo, non ho trovato Dio». Non si tratta evidentemente di un luogo, ma piuttosto di una maniera d’essere: questa espressione designa la sua santità, la sua maestà. I cieli designano il mondo celeste, il mondo di Dio, quello al quale noi tendiamo con tutto il nostro cuore. Dopo questa introduzione, glorifichiamo Dio con tre invocazioni che concernono il suo nome, il suo regno e la sua volontà.
«Sia santificato il tuo nome»: Nella Bibbia, il nome designa tutta la persona. Il verbo santificare significa riconoscere come santo. Noi vogliamo dunque dire: tutti possano riconoscere la tua grandezza, la tua santità, che tu sei Dio! La testimonianza della nostra vita permetta ai nostri fratelli di conoscere il tuo nome!
«Venga il tuo regno»: Noi domandiamo al Padre che il suo regno d’amore, di giustizia e di pace possa crescere in noi e per mezzo di noi.
«Sia fatta la tua volontà». La volontà di Dio, se si crede in Gesù,
è che tutti siano salvati. Dire: Sia fatta la tua volontà, è lavorare in questo senso. Significa entrare in un atteggiamento di fiducia.
Con l’espressione «Come in cielo così in terra», letteralmente «come in cielo così sulla terra», noi domandiamo che la volontà di Dio sia fatta da noi così come è fatta dagli angeli e dai santi. Possiamo anche vedervi una transizione verso le richieste che seguono e che ci riguardano, come il pane e il perdono.
«Dacci oggi il nostro pane quotidiano»: dopo tre invocazioni di lode e prima di altre tre richieste per i nostri bisogni umani, questa è la preghiera centrale del Padre nostro. Questa richiesta comprende tutto ciò che concerne la nostra vita fisica e biologica (cibo, salute, abitazione, lavoro, ricerca della gioia e della verità, senso della vita ecc). noi manifestiamo la nostra fiducia in dio dal quale vogliamo ricevere tutto, tutto il nostro necessario per questo giorno.
«Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori»: il perdono è anch’esso una necessità per la nostra vita in società. E’ per questo motivo che Gesù insiste tanto sul perdono da dare agli altri prima di riceverlo da Dio. Egli sa bene che non è facile perdonare, e forse ancor meno chiedere perdono. Noi chiediamo a Dio di aiutarci.
«E non indurci in tentazione»: in questa preghiera risiede una grande difficoltà; potrebbe dare l’impressione che è Dio che ci spinge alla tentazione…..l’antica traduzione: «non lasciarci soccombere alla tentazione» era certo migliore (la nuova traduzione dice così: «Non lasciarci soccombere alla tentazione»). Bisogna dirlo chiaramente: non è Dio che ci tenta o che ci getta nella tentazione. Egli vuole al contrario liberarcene. Noi gli chiediamo di non lasciarci imboccare la via che conduce al peccato. Lo preghiamo di agire perché noi non entriamo in tentazione.
«Ma liberaci dal male»: Il male, dal quale chiediamo di essere liberati, è in primo luogo la malattia, l’incidente, la disgrazia, la fame, ecc. Gesù parla anche del «male morale» che sta alla radice degli altri mali, come la cattiveria, la crudeltà. Questo male morale comprende le devianze personali (peccato, inganno, menzogna, furto) e le devianze collettive (razzismo, guerre, schiavitù, ingiustizie). Gesù ci invita anche a chiedere al padre di liberarci dal Male con la “M” maiuscola, dal Malvagio, dal Tentatore. Egli stesso non è stato risparmiato da satana, e sa che anche i suoi discepoli dovranno lottare. Come ultima risorsa, Gesù si carica egli stesso di tutti questi mali, e ne esce vincitore per mezzo del perdono e dell’offerta di se stesso per noi, sulla croce.

L’EMBOLISMO

Embolismo significa letteralmente “intercalare”, “mettere dentro”. Nella liturgia, l’embolismno è la preghiera, recitata dal solo celebrante, che “si intercala” tra il Padre nostro e la dossologia. Essa sviluppa e amplifica l’ultima domanda del Padre nostro: “Liberaci dal male”, da dove precisamente derivano le sue prime parole: “Liberaci, o Signore, da tutti i mali”. Composta dalla chiesa di Roma al tempo in cui essa era vittima delle invasioni barbariche, questa è una preghiera di supplica pressante per far fronte alle avversità. Noi chiediamo al Signore anche il dono della pace, la liberazione dal peccato, la felicità promessa collegata all’ultima venuta di Cristo:
“Concedi la pace ai nostri giorni”: comprendiamo bene l’importanza di questa domanda. La pace è un dono prezioso, vitale per l’armoniosa esistenza dell’umanità. Portando il mondo intero nella nostra preghiera, imploriamo la pace per il nostro tempo, specialmente per tutte le regioni che vivono di pesanti conflitti armati, ma anche per la pace del nostro paese e nelle nostre famiglie.
“E con l’aiuto della tua misericordia, vivremo sempre liberi dal peccato”: Poiché Cristo si è offerto per il perdono dei peccati, la chiesa insiste perché la misericordia di Dio liberi i fedeli dai vincoli del peccato.
“E sicuri da ogni turbamento”: il verbo “rassicurare” è un po’ lezioso. L’espressione latina è più forte: ab omni perturbatione securi. Letteralmente: “da tutte le perturbazioni”, (turbamenti), “che noi siamo nella sicurezza, esenti dal pericolo”. Potremmo tradurre così: “Rendici forti davanti alle prove”. E’ dunque una bellissima domanda con la quale chiediamo al Signore la sua presenza e la sua forza per lottare contro le prove che incontriamo.
“Nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo”: La conclusione dell’embolismo ha una risonanza escatologica, ci orienta verso gli ultimi tempi. Questa felicità che noi attendiamo, o piuttosto questa “Beata speranza”, è proprio il ritorno di Cristo nella gloria.

LA DOSSOLOGIA DEL PADRE NOSTRO

L’embolismo del Padre nostro richiama una dossologia (“Parola di gloria”): “Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli!”. Questa dossologia è antichissima. Certo non si trova nel Vangelo (anche se è stata aggiunta in alcuni manoscritti del Vangelo secondo Matteo), ma risale al II secolo, o addirittura anche al I.
La si trova in ogni caso nella Didachè, uno dei testi cristiani più antichi. Questa formula non fa che riprendere un certo numero di dossologie che ornano la scrittura, come quella che troviamo nel libro dell’Apocalisse: “A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza nei secoli dei secoli” (5,13). La maggior parte delle chiese dell’Oriente e della Riforma utilizzano questa dossologia dopo il Padre nostro nella loro liturgia. Integrandola nella messa romana, il nuovo messale si congiunge alla tradizione delle altre chiese cristiane.

RICAPITOLANDO

Prima di fare la comunione, preghiamo il Padre con le stesse parole di Gesù, con la grande preghiera del Padre nostro. Questa preghiera ci prepara bene alla comunione, dal momento che chiediamo al Padre di darci il pane quotidiano. Questa preghiera è seguita da un embolismo che sviluppa tre temi che ritroveremo nel seguito dei riti della comunione: la pace, la liberazione del peccato, la felicità promessa collegata all’ultima venuta di Cristo. Essa si conclude con una dossologia aggiunta al Padre nostro nei primi secoli. Quando preghiamo il Padre nostro, prendiamo bene coscienza della portata di ogni domanda!

venerdì 18 novembre 2011

Itinerari di fede - XIV appuntamento

Torniamo a meditare attraverso il nuovo percorso ricco di diversi itinerari, sempre scritti dalla mano di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia (ringraziamo sempre Enza per l'opera non facile di trascrizione), concernenti ora la vita spirituale:

LA VITA SPIRITUALE (PARTE QUARTA)

LA CREAZIONE È LO SPLENDORE DELL'AMORE DI DIO RIFLESSO NELLE SUE CREATURE

Anche nella CREAZIONE l'anima "vede" l'Amore dello Sposo tanto amato, riflesso come la luce del sole che ne è il segno più evidente in tutte le sue creature. Ogni essere dell'universo racconta il Poema di questo
Amore, che si manifesta nella PROVVIDENZA del Padre: "LUI mi HA TRATTO DAL NULLA e mi FA CONTINUAMENTE SUSSISTERE con la sua ONNIPOTENZA; LUI mi GOVERNA con la sua infinita SAPIENZA".
"I cieli narrano la GLORIA di Dio e l’opera DELLE SUE MANI ANNUNCIA il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il Messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia" (Sal. 18,2-3).
Il Figlio Gesù Cristo è venuto a rivelarci la Gloria del Padre che risplende anche nella CREAZIONE. EGLI canta la PROVVIDENZA del Padre, sempre in opera nell'universo, con accenti di tenerezza filiale inconfondibile, rimproverando l'uomo per la sua cecità di fronte a questo GRANDE AMORE "Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete e neanche per il vostro corpo di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?" (Mt. 6,25-28)
Tutta la CREAZIONE proclama che LO SPLENDORE DELLA VERITÀ È L'AMORE.
• Anche tu, fratello, sorella, che nella CREAZIONE sei "Immagine e Somiglianza vivente di Dio", proclami che lo scopo e la pienezza della vita è L'AMORE. Proprio perché Dio è Amore, tu sei creato per amare. Il più grande rammarico per tutti sarà alla fine quello di non avere amato abbastanza.
La Vita Spirituale raggiunge il suo apice nel grado di Amore-Comunione che l'anima riesce a raggiungere con il suo Sposo. Per questo S. Agostino, a chi chiede di dare una risposta pratica al senso della vita, dice: "AMA e CAPIRAI". Nell'inno alla CARITA' San Paolo esalta l'eccellenza dell'amore su tutti i carismi e su tutte le altre virtù ( Cfr. 1 Cor. 13,1-13 ). Nel brano appena citato, l'Apostolo afferma che tutto finirà, ma "la CARITÀ non avrà mai fine" (1 Cor. 13,8). Partecipare dunque in pienezza ed eternamente all'amore di Dio, Uno e Trino, è lo scopo ed il traguardo della VITA SPIRITUALE. ALBERT SCHWEITZER è un grande medico e filosofo francese del secolo XX. Giunto alla piena maturità della vita, mentre era già affermato nella carriera e viveva agiatamente, ha abbandonato l'Europa. Si è recato in Africa equatoriale per fondare un centro ospedaliero dove ha assistito e curato, per una cinquantina d'anni, gli abitanti indigeni. La sua filosofia della vita l'ha tradotta in queste parole, che rimangono come il suo Testamento Spirituale:
"l'unica cosa importante, Quando ce ne andremo, saranno le TRACCE D AMORE Che avremo lasciato".
L'uccello canta, Ma non domanda se qualcuno l'ascolta:
La sorgente scorre, Ma non domanda perché scorre.
L'albero fiorisce Ma non domanda se qualcuno lo guarda.
Albero, uccello, sorgente, Il loro dono lo danno per niente.

Canto popolare.

LA VITA SPIRITUALE E’ UN CAMMINO: il cammino dell'anima verso Dio. Come il cammino è fatto di TAPPE INTERMEDIE prima di raggiungere la META o il traguardo del viaggio, così nella Vita Spirituale l'uomo non può raggiungere Dio se non percorrendo le TAPPE del Cammino Spirituale CHE CONDUCE a Lui. La vita è una STRADA. L'importante è camminare sulla strada, anche se faticosa, verso la META. La vita invoca una meta, pena l'apatia, la disperazione, il fallimento. Cristo si è fatto per te VIA per accompagnarti e sorreggerti nel VIAGGIO DELLA TUA VITA INCONTRO AL PADRE. Non ti esime, però, dal compiere la tua parte. Senza la tua volontà e il tuo impegno assiduo, quotidiano, di seguire LUI, tu non cammini sulla STRADA. Nella VITA SPIRITUALE fermarsi significa retrocedere. Medita le parole del grande dottore della Chiesa S. Agostino, sopra citate. "Se dici 'Basta' sei perduto. Avanza sempre, cammina sempre", ricordandoti che su questa strada non sei mai solo … I Maestri di vita nello Spirito hanno tracciato l'itinerario che progressivamente conduce l'anima ad incontrare Dio.

È L'AVVENTURA PIÙ AFFASCINANTE DELLA VITA.
Eccone le varie tappe:

INIZIO DEL CAMMINO
La VITA SPIRITUALE è un DONO che Dio fa all'uomo.
II "Bagaglio Umano”, cresce sempre più comprese le esperienze negative. NELLA FEDE, l’uomo viene assunto e "trasfigurato": diventa ESPERIENZA DI DIO. Giungerà in cielo. La GLORIA che ognuno godrà in Paradiso sarà proporzionale al grado di Santità raggiunto nel Cammino della Vita Spirituale. Il Percorso è SENZA LIMITI, perché tra l'uomo e Dio la distanza è infinita: "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt. 5,45).

LA SORGENTE DELLA VITA SPIRITUALE E’ LA PASQUA DI GESU’ (Passione Morte Risurrezione). "Dalla sua pienezza - dice S. Giovanni - noi tutti abbiamo ricevuto e Grazia su Grazia" (Gv 1,16). Questa pienezza di Grazia ci viene donata mediante i Sacramenti. Nel BATTESIMO, che fonda la VITA SPIRITUALE perché fonda la VITA CRISTIANA, per opera dello SPIRITO SANTO veniamo INCORPORATI IN CRISTO. In LUI diveniamo FIGLI DI DIO e quindi COEREDI CON LUI della VITA ETERNA nella GLORIA. LA VITA SPIRITUALE è un CAMMINO CON CRISTO, dall'ESPERIENZA dolorosa e drammatica della LOTTA in mezzo alle TENTAZIONI nel DESERTO, fino all'ESPERIENZA BEATIFICANTE della CONTEMPLAZIONE di Dio sul TABOR. Il Padre chiama ogni
anima a percorrere questa strada verso il MONTE SANTO, per "trasfigurarla" nel proprio FIGLIO.
Il Cammino è lungo e faticoso. Ma, se è fedele a seguire lo Spirito Santo che la illumina, la guida, la fortifica, la persona inizia a vedere la propria vita con occhi nuovi: gli occhi della Fede. Sotto questa Luce, essa percepisce anzitutto la gravità del peccato come l'unico vero male che si oppone a Dio. Il primo passo nella VITA SPIRITUALE, ed in ogni Cammino di Conversione, è la detestazione della colpa, perché Dio non può abitare nel cuore dove regna il Maligno ossia dove l'uomo vive in uno stato di ribellione contro di Lui. Alle origini dell'umanità, come ci attesta la Bibbia, il peccato dell'uomo e della donna è stato la causa di tutti gli altri mali, sintetizzati nella morte ( Gen. c.3) "Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con esso la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato" ( Rm. 5,12 ). Nella VITA SPIRITUALE, la visione che un'anima ha nei confronti del peccato è direttamente proporzionale al senso che ha di Dio. Chi minimizza il peccato, manifesta praticamente di non prendere sul serio Dio, il suo Mistero di Amore rivelatoci dalla croce, la sua infinita Santità. Meditiamo in proposito le parole dell'Apostolo Pietro che ci svelano qual è il costo del nostro peccato. "Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l'argento e l'oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma CON IL SANGUE PREZIOSO DI CRISTO, Agnello senza difetti e senza macchia " (1Pietro 1,18-19). Agli inizi del Cammino Spirituale, l'anima viene illuminata soprattutto su due gravi insidie del male, che traggono in inganno e fanno cadere molte persone: la malizia dell'orgoglio, primo vizio capitale che li riassume tutti, e la nefasta seduzione che esercitano il denaro e le ricchezze sul cuore umano. La persona orgogliosa non vive nella verità del proprio essere di creatura, ma si autoinnalza al di sopra di se stessa e al di sopra degli altri, ponendosi di fatto, come i Progenitori, al posto di Dio. L'Apostolo Giovanni smaschera la SUPERBIA, come anche gli altri due vizi capitali che maggiormente "tiranneggiano" il cuore dell'uomo: l'AVARIZIA e la LUSSURIA. Questi tre vizi, ai quali l'uomo si abbandona più facilmente, dimenticando il suo rapporto con Dio Creatore e Padre, possono essere sintetizzati concretamente nei tre verbi: POTERE, AVERE, GODERE.

"Tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza (=desiderio sfrenato) della carne, la concupiscenza degli occhi, la SUPERBIA della vita non viene dal Padre, ma dal mondo" (I Gv. 2,16 ). L'orgoglio poggia tutto su una grande menzogna, che tende a divenire mistificazione dei valori. Ogni vizio, come ogni peccato, cercano sempre di camuffarsi, per non apparire nella loro cruda realtà. Soltanto la Parola di Dio, che è " la Spada dello Spirito", (Ef. 6,17) sa smascherarli pienamente. Ecco la menzogna di fondo: "Che cosa mai possiedi - ci dice San Paolo - che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come non l'avessi ricevuto?" (1 Cor. 4,7)... Quando pecchi, tu usi sempre i doni di Dio per rivoltarti direttamente contro di Lui e offenderlo. L'altra insidia che minaccia maggiormente l'uomo nel Cammino Spirituale, e che l'anima inizia a smascherare, è l'avidità del denaro e delle ricchezze. Anche se continua ad essere tentata dalla cupidigia di possedere, viene gradualmente illuminata sulla caducità e sulla insaziabilità dei beni materiali, dai quali, purtroppo, molte persone vengono sedotte. E' ancora San Paolo che ci mette in guardia dall'assecondare il desiderio di arricchire. Esso, per chi vi cede, diventa una vera trappola che ingabbia il suo cuore in una "fame di possesso" che è senza limiti. Questa a sua volta diventa il movente che causa, oltre a molti affanni, preoccupazioni e tribolazioni, anche tanti soprusi ed ingiustizie nei confronti del prossimo. "Quelli che vogliono arricchire, cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione. L'attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali" ( 1 Tim. 6,9 ). Come sono vere queste parole…! L'esperienza della storia e la cronaca quotidiana ne offrono ampia conferma. La bramosia sfrenata del denaro è la causa che scatena i delitti, gli atti di violenza, i furti e tutte le organizzazioni delinquenziali. 

domenica 13 novembre 2011

Capire la Santa Messa - XX Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:

CAPIRE LA MESSA
20° PARTE

RICORDATI, SIGNORE

Come in ogni preghiera di benedizione ebraica, la lode è accompagnata da domande; è così che noi riconosciamo la grandezza di Dio. Con il Cristo presente sull’altare, vogliamo affidargli i nostri defunti, la chiesa e coloro che la guidano, in breve, tutto ciò che ci sta a cuore. Come si presentano queste intercessioni? Normalmente, noi preghiamo prima per la chiesa in cammino sulla terra, nominando il Papa, il vescovo della diocesi e tutti i vescovi, i presbiteri, i diaconi e, in modo generale, tutti quelli che hanno la responsabilità del popolo di Dio. Preghiamo poi per i defunti che ci hanno preceduto nella fede e che vivono ora vicino a Dio, e infine per la comunità celebrante, affinché essa sia radunata con la Vergine Maria e tutti i santi del cielo in una sola ed eterna lode.

La preghiera per la Chiesa

Affidiamo dunque al Signore la chiesa, popolo di Dio e corpo di cristo, e coloro che hanno ricevuto la missione di governarla. Tutte le preghiere eucaristiche fanno menzione del Papa e del vescovo della diocesi del quale la messa è celebrata. Questo legame è importante, perché non si può celebrare validamente l’eucarestia se non in comunione con il vescovo, responsabile della chiesa locale – è da lui che il presbiterio ottiene il suo sacerdozio – e con il Papa successore di san Pietro, che presiede alla carità ed è garante della comunione di tutta la chiesa. Il Canone romano inizia chiedendo al Padre di accettare e di benedire queste sante offerte. Il sacerdote aggiunge: “Noi te l’offriamo anzitutto per la tua chiesa santa e cattolica, perché tu le dia pace e la protegga, la raccolga nell’unità e la governi su tutta la terra, con il tuo servo il nostro Papa N., il nostro vescovo N., e con tutti quelli che custodiscono la fede cattolica, trasmessa dagli apostoli”. Abbiamo qui una magnifica preghiera per la chiesa che possiamo fare nostra: chiediamo al padre di concederle la pace, di proteggerla da ogni male, di radunarla nell’unità e di governarla su tutta la terra. Per manifestare la nostra appartenenza a questa chiesa che noi affidiamo al Padre, il Canone aggiunge immediatamente: “Ricordati, Signore, dei tuoi fedeli. Ricordati di tutti i presenti, dei quali conosci la fede e la devozione”. La domanda: “Ricordati” potrebbe dare l’impressione che Dio si potrebbe dimenticare…. No, Dio non soffre di amnesia! Questa bella espressione, noi la incontriamo spesso nella Bibbia, nel corso dell’AT dove è spesso detto che “Dio si ricorda della sua alleanza”, fino al buon ladrone sulla croce che chiede: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”
(Lc 23, 42). Questa è la nostra preghiera confidente in Dio che veglia su di noi. La terza preghiera eucaristica apporta una bella nota di universalità: “Per questo sacrificio di riconciliazione dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la sua chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa N., il nostro vescovo., il collegio episcopale, tutto il clero [i presbiteri, i diaconi] e il popolo che tu hai redento. Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza. Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi”. Noi chiediamo al padre che il sacrificio di Cristo che noi riproponiamo produca i suoi frutti di salvezza e di pace sul mondo intero. Questa preghiera menziona non soltanto i presbiteri e i diaconi, ma ancora “tutto il popolo dei redenti”. Il sacerdote affida poi a Dio la preghiera di ogni membro dell’assemblea, e prega in qualche modo perché la chiesa missionaria possa raccogliere tutti i figli di Dio. La quarta preghiera aggiunge ancora che noi offriamo il sacrificio per “tutti gli uomini che ti [Dio] cercano con cuore sincero”.

La preghiera per i defunti

Preghiamo quindi per i nostri defunti, “che ci hanno preceduto con il segno della fede e dormono il sonno della pace”. Perché pregare per i defunti? Perché la messa è celebrata per i vivi e per i morti. A ogni messa, noi rinnoviamo il sacrificio di Cristo sulla croce, che ci apre le porte del cielo e ci fa accedere alla gloria promessa. Fin dai suoi inizi, la chiesa si è sempre ricordata dei defunti celebrando la “frazione del pane”. Santa Monica, al momento di morire, non chiederà nient’altro ai suoi figli che la messa: “Seppellite il mio corpo dove vi sembrerà bene e non inquietatevi affatto. Vi chiedo soltanto di ricordarvi di me davanti all’altare del Signore in qualsiasi luogo voi siate”. E’ per questo che noi offriamo delle intenzioni di messa per i nostri defunti¹ [¹ Ciò non significa che il sacramento sia lucrabile (cioè, ottenibile) o venga celebrato per un unico defunto, perché ogni messa è offerta per il mondo intero. Questa offerta è un segno concreto della nostra fede nell’efficacia dell’eucarestia, e anche un contributo materiale per il sacerdote, riconoscendo il ministero che egli compie e il suo ruolo essenziale nella vita della chiesa e del mondo].
La prima preghiera eucaristica implora la misericordia di Cristo per i nostri defunti: “Ricordati, o Signore, dei tuoi fedeli [di N. e di N.] che ci hanno preceduto con il segno della fede e dormono il sonno della pace. “Dona loro, Signore, e a tutti quelli che riposano in Cristo, la beatitudine, la luce e la pace”. Vediamo una magnifica progressione: i nostri defunti dormono nella pace; segnati dal dal segno della fede, riposano nel Cristo. Noi chiediamo al Padre che essi entrino nella gioia, nella pace e nella luce. La seconda preghiera eucaristica va nello stesso senso chiedendo al Signore di riceverli nella sua luce, vicino a Lui: “Ricordati dei nostri fratelli, che si sono addormentati nella speranza della risurrezione, e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza: ammettili a godere la luce del tuo volto”. In occasione delle messe per i defunti, noi aggiungiamo l’intercessione seguente: “Ricordati del nostro fratello (della nostra sorella) N., che (oggi) hai chiamato a te da questa vita²: e come per il Battesimo l’hai unito alla morte di Cristo, tuo Figlio, così rendilo partecipe della sua risurrezione” (II). Noi ricordiamo che con il Battesimo, siamo stati “sepolti” con il Cristo nella morte per resuscitare con Lui. La terza preghiera eucaristica evoca la risurrezione dei nostri corpi, “ quando [[Cristo] farà sorgere i morti dalla terra e trasformerà il nostro corpo mortale a immagine del suo corpo glorioso”.
[² L’espressione “che hai chiamato a te (da questa vita)” potrebbe essere ritenuta non troppo felice. Certo, attesta un bell’atto di fede, ma può essere mal recepita, particolarmente in occasione della morte di un giovane, dando l’impressione che sia Dio che gli toglie così la vita. Bisogna ripetere con forza, come proclama il libro della Sapienza: “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi” (1,13).

La nostra comunione con i santi

Questa preghiera per i defunti orienta il nostro sguardo verso la chiesa del cielo. Terminiamo queste intercessioni domandando al Signore di avere parte alla comunione dei santi: “Di noi tutti abbi misericordia: donaci di avere parte alla vita eterna, insieme con la Beata Maria, vergine e Madre di Dio, con gli apostoli e tutti i santi, che in ogni tempo ti furono graditi: e in Gesù Cristo tuo Figlio canteremo la tua gloria” (II). Noi ci affidiamo alla misericordia di Dio perché “abbiamo parte alla vita eterna” e, in maniera più lirica, possiamo così cantare la lode del Padre per Gesù Cristo, suo diletto Figlio, con tutti i santi. L’evocazione dei santi comincia sempre con la Vergine Maria, riconoscendo che Ella è la Beata Madre di Dio. Dopo la menzione degli apostoli, dei martiri, il celebrante può nominare il santo festeggiato in questo giorno oppure il santo patrono della parrocchia. Le differenti preghiere eucaristiche descrivono mirabilmente la vita che che ci attende dopo il nostro “passaggio” attraverso la morte e la resurrezione. noi saremo ammessi nella comunità dei santi per vivere in loro compagnia(I), canteremo con loro la lode del Padre (II), otterremo i beni del mondo futuro (III) ricevendo in eredità la vita eterna dove potremo, con la creazione tutta intera finalmente liberata dal peccato e dalla morte, glorificare il Padre (IV) e contemplare lo splendore del suo volto. I santi che noi invochiamo non cessano di essere “nostri intercessori presso di te” (III). Le nostre intercessioni esprimono profondamente l’unità della chiesa.

La dossologia

La preghiera eucaristica si conclude con una grande acclamazione. Dossologia viene da doxa, che significa “Gloria” in greco, e logos, “Parola”. Si tratta dunque di una parola di “Gloria”, di parole per rendere gloria a Dio o per cantare la sua gloria: “Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli”. La dossologia è proprio il coronamento della preghiera eucaristica che ha per scopo di rendere grazie a Dio per i suoi innumerevoli benefici. Il gesto di elevazione e le parole esprimono come il Cristo immolato sia nello stesso tempo ricevuto dal padre e offerto al padre, nello slancio dello Spirito Santo, a beneficio di tutta la chiesa.
Una dossologia trinitaria
A te, Dio Padre, per Gesù nello Spirito: noi rendiamo gloria al Padre, dal quale viene ogni dono, per Gesù, con Lui e in Lui. Questa formula solenne canta la mediazione di Cristo: è per Lui che tutto ci è stato dato, ed è con Lui che tutto si fa, ed è in Lui che tutto ritorna al Padre. Questo dono e questo ritorno non potranno tuttavia compiersi senza la potenza unificante dello Spirito. E’ lui che ci unisce profondamente al padre e al Figlio.

L’elevazione

Dicendo “queste parole di gloria”, il sacerdote eleva il calice e la patena. Un gesto magnifico di offerta del Figlio al padre nello Spirito Santo. Questa elevazione rinvia direttamente alla croce sulla quale il Cristo è stato elevato da terra per salvare il mondo, alla sua risurrezione dai morti e alla sua ascensione al cielo alla destra del Padre. Dal momento che tutto è stato fatto per il Cristo, è tutta la creazione che noi eleviamo al padre offrendo il corpo e il sangue di suo Figlio. Le parole della dossologia sono pronunciate soltanto dal celebrante (e dai sacerdoti concelebranti), perché esse sono inseparabili dalla preghiera eucaristica che le hanno precedute. Ma i fedeli potranno esprimere la loro piena adesione dicendo o cantando Amen.
Questo Amen deve essere pronunciato con forza ( San Girolamo dice che dovrebbe essere come un colpo di tuono!), perché ratifica tutta la preghiera eucaristica. Con questa semplice parola, noi esprimiamo il nostro consenso a ciò che è stato appena compiuto; noi riconosciamo che il pane e il vino sono diventati il corpo e il sangue di Cristo; facciamo nostre le lodi e le intercessioni che sono state pronunciate dal celebrante. “Amen!” una parola eccezionale.


domenica 6 novembre 2011

Capire la Santa Messa - XIX Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:

CAPIRE LA MESSA
19° PARTE

E’ grande il mistero della fede!

Fare memoria

Anamnesi viene dal greco anamnèsis che significa “ricordo”, “commemorazione”. Fare anamnesi significa dunque ricordarsi, fare memoria, in relazione diretta con la Parola di Cristo che si è appena ascoltata dalla bocca del sacerdote: “Fate questo in memoria di me”. Celebrando l’eucarestia, noi obbediamo a questo comando. Perché “fare memoria” in senso Biblico, non è soltanto commemorare un fatto storico, ma celebrare un avvenimento passato che ha una ripercussione in ciò che noi viviamo oggi.
Quando una coppia di sposi festeggia il suo anniversario di matrimonio, non è tanto un avvenimento del passato che essi celebrano, quanto piuttosto il loro amore che sussiste e si approfondisce. E’ proprio ciò che noi viviamo a messa, quando facciamo memoria di Cristo che ha detto: “Questo è il mio corpo”, non si tratta di un semplice ricordo. Il pane diventa il corpo di Cristo e noi possiamo nutrircene oggi. E’ proprio un nutrimento divino che ci orienta verso l’avvenire, verso il banchetto del regno eterno. Approfondiamo questa acclamazione che si ritrova in alcune liturgie d’Oriente, ma che è stata introdotta da noi soltanto con la riforma liturgica dopo il Vaticano II.

L’invito del sacerdote

L’anamnesi incomincia con l’invito del sacerdote: “(E’ grande il) mistero della fede” oppure “Proclamiamo il mistero della fede”. Precisiamo che “Mistero” non ha niente a che vedere con misterioso, nel senso di occulto, bizzarro, enigmatico: “Ma dove sono finite allora le mie chiavi? E’ un mistero!” oppure “Questa persona non parla molto, non si sa che cosa pensi, è misteriosa…”. Il mistero designa l’azione con la quale Dio realizza il suo progetto di salvarci. Nella liturgia dell’eucarestia, noi celebriamo il mistero pasquale che ingloba tutta la Pasqua di Cristo, dall’ultima cena, passando per la passione, la morte e la resurrezione, fino alla glorificazione. “(E’ grande il) mistero della fede”: il sacerdote invita dunque l’assemblea ad acclamare il Cristo morto, resuscitato, glorificato, vivo e presente in mezzo a noi. E poiché il pane e il vino conservano le stesse apparenze, è per la fede che noi riconosciamo e acclamiamo questo grande mistero.

L’anamnesi dell’assemblea

Nella prima delle tre formule, l’assemblea risponde: “Annunciamo la tua morte Signore (Gesù), proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”. Noi acclamiamo il mistero della fede in questa triplice dimensione temporale: il Cristo era morto per noi (passato<9, è vivo, risorto (presente), ritornerà nella gloria (futuro). Questa prima anamnesi aggiunge una dimensione dinamica da parte nostra: noi attendiamo il suo ritorno, siamo protesi verso questo orizzonte. Nella seconda acclamazione, diciamo: “Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice, annunciamo la tua morte Signore, nell’attesa della tua venuta”.
Questo dialogo si ispira direttamente alla frase che san Paolo aggiunge al racconto dell’ultima cena: “Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché Egli venga” (1 Cor 11, 26). La terza anamnesi dell’assemblea riprende gli elementi essenziali delle altre formule, cioè il ricordo della morte, della resurrezione e dell’attesa del ritorno di Cristo: “Ti ci hai redenti con la tua croce e resurrezione: salvaci, o Salvatore del mondo!”.
Rimarchiamo che queste acclamazioni si rivolgono direttamente a Cristo, ciò che è raro nella liturgia. E’ come se facessimo una pausa nella preghiera eucaristica rivolta al Padre per acclamare il Cristo che si rende presente.

L’anamnesi del sacerdote e la preghiera d’offerta

Il sacerdote prosegue riprendendo l’anamnesi dell’assemblea: egli menziona anche il nostro memoriale della morte, della resurrezione e dell’attesa del ritorno glorioso di Cristo. Questa anamnesi andrà a sbocciare in una preghiera di offerta e di ringraziamento: “Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nell’attesa della sua venuta, ti offriamo, Padre, il rendimento di grazie, questo sacrificio vivo e santo” (III).
Questa offerta, il Cristo vivo e santo che noi offriamo al Padre per rendere a Lui grazie, e riconosciamo che questo sacrificio “riconcilia nel tuo amore l’umanità intera” (Riconciliazione I)
“Per la salvezza del mondo” (IV). Alcune preghiere aggiungono che noi stessi ci offriamo insieme al Cristo: “Celebrando il memoriale della morte e resurrezione del tuo figlio, noi ti offriamo, o Padre, il sacrificio di riconciliazione, che egli ci ha lasciato come pegno del suo amore e che tu stesso hai posto nelle nostre mani. Accetta anche noi, Padre Santo, insieme con l’offerta del tuo Cristo” (Riconciliazione II)

La seconda epiclesi

Questa preghiera d’offerta e di ringraziamento introduce una nuova epiclesi: noi invochiamo lo Spirito Santo, questa volta sull’assemblea, perché essa possa beneficiare pienamente di ciò che si è appena realizzato. Per il dono dello Spirito, noi chiediamo di essere costituiti in un solo corpo, noi che riceveremo il medesimo corpo di cristo: “Ti preghiamo umilmente, per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo” (II). La formula è più sviluppata nella terza preghiera, nella quale noi chiediamo al Padre di vedere nel sacrificio della Chiesa quello del tuo figlio, che lo ha compiuto sulla croce “una volta per tutte” (Eb 7, 27) e che la Chiesa ripropone in ogni eucarestia: “Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito” (III).
Le preghiere per la riconciliazione insistono sull’azione dello Spirito Santo che fa scomparire le cause delle nostre divisioni. La preghiera per le circostanze particolari evoca anch’essa la nostra incorporazione al corpo di Cristo: “La forza del tuo Spirito faccia di noi, ora e per sempre, i membri del tuo Figlio risorto, per mezzo della nostra comunione al suo corpo e al suo sangue”.
Le epiclesi sono belle e importanti, ma sfortunatamente non abbastanza valorizzate.

Ricapitolando

Noi acclamiamo il Cristo presente sotto le apparenze del pane e del vino con il canto dell’anamnesi. Questo termine significa “memoriale”, perché noi facciamo memoria della sua morte, della sua resurrezione e del suo ritorno nella gloria che attendiamo. Il celebrante prosegue rendendo grazie a Dio per l’offerta di cristo che salva il mondo, e invoca una seconda volta lo Spirito Santo, sull’assemblea, questa volta, perché essa sia pienamente santificata in virtù della comunione al corpo e al sangue di Cristo, e perché essa sia costituita in un solo corpo.
Invochiamo con tutto il nostro cuore il dono dello Spirito santo sull’assemblea e su tutta la Chiesa!


domenica 23 ottobre 2011

Capire la Santa Messa - XVIII Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:

CAPIRE LA MESSA
18° PARTE

L’epiclesi e la consacrazione

Dopo il prefazio e il Sanctus, arriviamo alla consacrazione del pane e del vino con l’invocazione dello Spirito Santo (epiclesi) e le parole di Gesù nell’ultima cena (racconto dell’istituzione)

Una scelta di preghiere eucaristiche

Il Messale romano propone una decina di preghiere eucaristiche. La prima preghiera eucaristica è denominata Canone romano; prima della riforma della liturgia, era la sola preghiera eucaristica a disposizione. la seconda è stata composta a partire da una antichissima tradizione che si attribuisce a sant’Ippolito (inizio del III secolo). Mentre la terza si ispira anch’essa a testi liturgici antichi, la quarta è una magnifica composizione recente, vicina alle preghiere dei cristiani d’Oriente, che sviluppa tutta l’opera della salvezza dalla creazione, passando per l’Alleanza al tempo di Mosè, quindi per i profeti, per arrivare alla nuova Alleanza nel Cristo. A queste quattro preghiere principali, si aggiungo due preghiere eucaristiche per la riconciliazione, tre per le assemblee dei bambini, e un’ultima per le circostanze particolari e i grandi raduni con quattro varianti. Leggendo le pagine seguenti, vi invito a riferirvi a queste preghiere eucaristiche che troverete in tutti i messali. Per non dilungarci troppo, citeremo più particolarmente la seconda.

La prima epiclesi

Il celebrante riprende l’acclamazione del Sanctus che è stato appena cantato riaffermando la santità di Dio, prima di chiedergli di effondere il suo Santo Spirito sul pane e sul vino. “Padre veramente santo, a te la lode da ogni creatura. Per mezzo di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo fai vivere e santifichi tutto l’universo, e continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto” (III). La domenica, giorno della resurrezione, e in occasione delle grandi feste, il Messale propone un’aggiunta in relazione alla festa del giorno. Ecco per esempio quella della pentecoste: “Per questo motivo siamo qui riuniti davanti a te, nella comunione di tutta la Chiesa, celebriamo il giorno santissimo della Pentecoste, nel quale lo Spirito Santo si è manifestato agli Apostoli con innumerevoli lingue di fuoco” (III).

Che cos’è l’epiclesi¹?

(¹la parola significa letteralmente una “chiamata sopra” “epi, su, sopra”, klesis dal verbo kaleo, “chiamare”.
L’epiclesi è una “invocazione”. Nella preghiera eucaristica, ci sono due epiclesi. La prima è l’appello rivolto al Padre perché invii il suo Spirito sul pane e sul vino affinché questi diventino il corpo e il sangue di Cristo; e la seconda è l’appello sulla comunità affinché essa sia santificata per la comunione al corpo e al sangue di Cristo.
Il padre Garneau ricorda che senza lo Spirito Santo non si può fare nulla: “Un tempo era occorso lo Spirito Santo perché il Cristo prendesse carne nel seno della Vergine Maria. Oggi, occorre ancora la forza dello Spirito Santo perché il pane diventi ancora il corpo di Cristo risorto e il vino il suo sangue. Occorre anche la presenza e la forza dello Spirito Santo perché tutti noi, che siamo riuniti per l’eucarestia diventiamo il corpo di Cristo! Ovunque qualche cosa di grande si compie nel nome di Dio, lo Spirito è lì. Niente si compie senza di Lui. Con Lui, tutto diventa possibile. Ciò che lo Spirito tocca, si ritrova consacrato, santificato”.

L’invocazione dello Spirito Santo sulle offerte

Noi chiediamo dunque al Padre di “santificare questi doni con l’effusione del tuo Spirito” sulle offerte, (II), di “mandare il tuo Spirito perché i doni che ti offriamo diventino il corpo e il sangue del tuo amatissimo Figlio, Gesù Cristo, nel quale anche noi siamo tuoi figli”(Riconciliazione I): “Ora ti preghiamo umilmente: manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, che ci ha comandato di celebrare questi misteri”. (III)
Questa prima epiclesi esprime dunque chiaramente che la transustanziazione (= cambiamento di sostanza del pane che diventa il corpo di Cristo e del vino che diventa il suo sangue) si opera per la potenza dello Spirito Santo. Noi ci mettiamo in ginocchio in segno di venerazione, di adorazione davanti al Signore che si rende presente mediante la venuta dello Spirito Santo e per mezzo delle parole efficaci del sacramento.

Le parole dell’istituzione

L’istituzione dell’eucarestia nell’ultima cena ci è riferita dai tre Vangeli sinottici come pure da S. Paolo². (² Mt26,26-28; Mc 14,22-24; Lc22,19-20; 1Cor 11,23-25).
Nella messa, noi riprendiamo il racconto dell’ultima cena. Ci sono alcune piccole varianti nella introduzione del racconto; queste sono interessanti, perché precisano l’intenzione di Cristo:
“Egli, venuta l’ora di essere glorificato da te, Padre Santo, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”(IV). “Egli, venuta l’ora di dare la vita per la nostra liberazione” (Riconciliazione II).
“Prima di stendere le braccia fra il cielo e la terra, in segno di perenne alleanza, Egli volle celebrare la Pasqua con i suoi discepoli” (Riconciliazione I).
Prima della sua morte sulla croce, Egli ci lasciò il segno più grande del suo amore” (Fanciulli II). “Egli offrendosi liberamente alla sua passione” (II).
Avvertiamo bene la chiara volontà del Signore di darsi liberamente e per amore al fine di salvarci. Seguono le parole di Cristo che sono le stesse in ogni preghiera eucaristica, ciò che facilita la celebrazione. Queste parole di Cristo sono accompagnate da quattro gesti che ne rischiarano il senso: Egli prese il pane, lo benedisse, lo spezzo e lo diede loro. “Nella notte in cui fu tradito, Egli prese il pane ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: “Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”.
Il sacerdote, in nome di Cristo. Prende il pane. Inchinandosi leggermente, in segno di rispetto e di venerazione, pronuncia queste parole lentamente, distintamente. Ogni parola ha la sua importanza: “Questo” designa il pane, frutto della terra e del lavoro degli uomini. Gesù lo benedice sottolineando così che questo pane è un dono di Dio. Questo pane spezzato e distribuito tra tutti unirà coloro che ne mangeranno: dato da Gesù ai discepoli, è fattore di comunione fra loro e Lui.
“Il mio corpo” designa tutta la persona di Gesù. E’ il corpo di Cristo morto, resuscitato e glorificato che noi riceveremo.
“E’”: questo pane è il mio corpo. Come è possibile? Noi vediamo sempre del pane….. Ma Gesù ha proprio detto questo è il mio corpo, e non questo rappresenta il mio corpo. Poiché Egli è il Figlio di Dio, noi sappiamo che realizza ciò che dice. D’ora in avanti, anche se i nostri sensi non percepiscono che del pane, crediamo che questo pane è diventato realmente corpo di Cristo.
“offerto per voi”: E’ per noi che il Cristo si è offerto, affinché noi abbiamo la vita, la salvezza. Noi siamo coinvolti in questo sacrificio.
“Prendete e mangiate”: è un appello a ricevere, a prendere nelle proprie mani e a non rimanere dei semplici ascoltatori. Queste parole implicano una relazione, e più ancora una reciproca abitazione di Cristo in colui che lo riceve e inversamente: “Colui che mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e Io dimoro in lui” (Gv 6,56). Durante la consacrazione, il sacerdote parla a nome di Cristo, non forma più che una cosa sola con Lui, si dà con Lui; evidentemente non è il suo proprio corpo che egli dà da mangiare, ma quello di Cristo.
Ascoltiamo il seguito del racconto con la consacrazione del vino: “Dopo la cena, allo stesso modo, prese il calice, ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli e disse: “Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”.
Il sangue è quello della nuova alleanza, un’alleanza definitiva, che non ha più bisogno di essere continuamente ricominciata come nell’Antico Testamento. Il sangue è versato per noi e per la moltitudine di tutte le età e di tutti i tempi.
E’ versato “in remissione dei peccati”, perché il sacrificio di Cristo, che ha preso su di sé tutte le nostre colpe, ci ottiene il perdono. Gesù aggiunge questa piccola affermazione che dà pienamente senso a ciò che noi celebriamo: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). Se noi ci riuniamo per celebrare la messa, è prima di tutto per rispondere a questo invito. Gesù ci invita a rivivere il dono del suo corpo e del suo sangue, perché possiamo, anche noi, oggi, raccoglierne i frutti di salvezza. Comprendiamo bene la solennità di questo grande momento. Dopo la consacrazione, il sacerdote mostra all’assemblea il pane divenuto corpo di Cristo e il vino divenuto sangue di Cristo. Noi possiamo brevemente adorare il Signore. Quando il sacerdote eleva l’ostia e il calice, un ministrante può incensarli. E’ talvolta usanza suonare una campanella per sottolineare la venuta di Cristo. Poi il celebrante fa una genuflessione in segno di riconoscenza e di adorazione della presenza di Cristo.


giovedì 20 ottobre 2011

Itinerari di fede - XIII appuntamento

Torniamo a meditare attraverso il nuovo percorso ricco di diversi itinerari, sempre scritti dalla mano di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia (ringraziamo sempre Enza per l'opera non facile di trascrizione), concernenti ora la vita spirituale:

LA VITA SPIRITUALE (PARTE QUARTA)

LA FINALITA' DELLA VITA SPIRITUALE
 
Nel Cammino della VITA SPIRITUALE, guidato dalla potente azione dello Spirito Santo, fai una scoperta fondamentale, che è come una folgorazione: DIO è il TUTTO, tu sei il NULLA, trasformato dal suo amore in PURO DONO. Allora compi l'atto più grande e più vero della tua vita: ti prostri davanti a LUI in un silenzio profondo e adorante, come Mosè al roveto ardente. La stupenda preghiera che riportiamo ci orienta per individuare la vera finalità della VITA SPIRITUALE secondo il progetto di Dio.
O SIGNORE, DIO Tu ci ami da sempre e per sempre. Tu non possiedi nulla che non sia donato.
Tu non ti manifesti che come dono, non sai che donarti. Tu non ti riveli che abbandonato a noi.
Tu ami ciascuno di noi dal più profondo. Tu ti affidi, ti consegni a noi. Tu sei sempre vicino perché ci ami e basta. Tu ti offri e non ti imponi mai. Tu sei onnipotente, ma nell'amore: sei cioè uno che si dona senza misura. Tu ami gratis: non vuoi dei sudditi, non sei diffidente, non ti arrabbi, non sei vendicativo, non premi e non castighi. Tu continui sempre, tenace nell'amore, a donarci fiducia. Il catechismo di S. Pio X poneva all'inizio una domanda fondamentale che tutte le persone :"Perché Dio ci ha creato?" La riposta era tanto semplice quanto profonda: "Dio ci ha creato per conoscerLo, amarLo e servirLo in questa vita per meritare di goderLo poi eternamente in Paradiso". È vero: la risposta oggi si esprimerebbe diversamente nella forma, ma rimarrebbe comunque intatta nella sua sostanza: Dio ci ha creato per renderci suoi figli nel Figlio e come tali partecipi eternamente della sua vita divina. Ogni anima che sale la SANTA MONTAGNA, viene inondata progressivamente dal soffio potente dello SPIRITO SANTO, e scopre con gioioso stupore, che la SOLA, GRANDE VERITÀ DELLA VITA È L'AMORE. E quando si dice AMORE si dice DIO. "IN PRINCIPIO È L'AMORE", dal quale tutto si irradia e al quale tutto fa capo. Non può più tenere racchiusa in se stessa la PIÙ GRANDE SCOPERTA DELLA VITA: L'AMORE DI DIO. "La bocca parla della pienezza del cuore" (Mt. 12,34). E canta questo poema dell'Amore… "Come il Padre ha amato Me, così anch'Io ho amato voi. Rimanete nel mio Amore" (Gv. 15,9). L'Amore è CIRCOLARE. Inizia dal PADRE che ne è la Sorgente Inesauribile. Il PADRE (= AMANTE) dall'eternità genera il FIGLIO (=AMATO). Il FIGLIO ricambia l'Amore del PADRE con la stessa intensità e pienezza con cui lo riceve. Il flusso di Amore reciproco PADRE-FIGLIO-PADRE costituisce la persona dello SPIRITO SANTO (=AMORE), COMUNIONE ETERNA E BEATIFICANTE TRA IL PADRE E IL FIGLIO.
Questo AMORE TRINITARIO è la VITA DI DIO, infinitamente beato in se stesso, ma per un suo disegno imperscrutabile, Egli ha scelto di diffonderlo al di fuori di sé. "Non per altro ama Dio se non per essere amato, sapendo che coloro che lo ameranno si beeranno di questo stesso Amore" (San Bernardo). E così il Poema dell'Amore Trinitario di Dio viene comunicato e partecipato a miriadi di altri esseri mediante la CREAZIONE. Il grande progetto del PADRE: donare il proprio FIGLIO nella POTENZA DELLO SPIRITO SANTO, perché divenga il CUORE del mondo, il SIGNORE di ogni creatura umana, per renderla pienamente partecipe della sua vita divina. L'amore del PADRE si rende così visibile e si realizza in pienezza attraverso l'OPERA del FIGLIO che, pur continuando a vivere presso il Padre, "pone la sua tenda tra i figli degli uomini". Il FIGLIO manda il suo SPIRITO, che è anche lo SPIRITO del Padre, il quale porta a compimento la sua opera redentrice. E così la CIRCOLARITA' dell'AMORE TRINITARIO coinvolge ogni creatura dell'universo: PADRE-FIGLIO-SPIRITO SANTO-CREAZIONE E RESTAURAZIONE di ogni CREATURA nel FIGLIO-SPIRITO SANTO-PADRE. Così, nel cuore dell'Amore Trinitario, s'innesta il Poema dell'Amore Incarnato nel FIGLIO, che rivela l'Amore del PADRE e dello SPIRITO SANTO. Questo Poema ha un nome divino-umano: si chiama GESU' CRISTO, "al quale sia gloria nei secoli dei secoli." (Ebr. 13,21)
Quando l'anima, inondata dal Soffio dello Spirito Santo, vive l'esperienza ineffabile dell'Amore del Padre, riflesso sul Volto Radioso del Figlio suo Gesù Cristo, si sente come il violino nelle mani abili di un sapiente musicista: tutte le sue corde "vitali" vibrano di un'armonia arcana dolcissima che si modula soavemente come il gorgheggio dell'usignolo… Il gorgheggio si trasforma in Canto per esprimere questo Poema: "CAN-TERO' per il mio DILETTO il mio Cantico d'amore" (Is. 5,I)
"Io sono il PANE VIVO disceso dal Cielo (…) Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue DIMORA IL ME ed Io IN LUI (…) e VIVRÀ IN ETERNO" (Gv.6,51.56.58).

LA FINALITÀ DELLA VITA SPIRITUALE

• AMARE è CONDIVIDERE: farsi simile alle persone amate, per CONDIVIDERE la loro stessa vita. Ecco il Mistero dell'INCARNAZIONE. "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv. 1,14)

• AMARE è RIVELARSI: comunicare, dialogare, farsi comprendere da coloro che si amano. "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" (Gv. 15,15).
Ecco la RIVELAZIONE di Dio tramite la Sacra Scrittura e la Viva Tradizione della Chiesa, che ha raggiunto la sua pienezza nel Figlio che ci è stato donato. "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai nostri padri per mezzo dei Profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi, per mezzo del FIGLIO che ha costituito EREDE di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo"
(Ebr. 1,1-2). AMARE è SACRIFICARSI: sacrificarsi per coloro che si amano fino alla donazione totale di se stessi. "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv. 15,13). Ecco il Mistero della REDENZIONE. "Il FIGLIO dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Mt. 20,28).

AMARE è PERDONARE: perdonare coloro che hanno tradito l'Amore, cancellando tutte le loro colpe per riammetterli nella propria amicizia. Ecco il Mistero della RICONCILIAZIONE. "Perché piacque a Dio di fare abitare in LUI (nel FIGLIO) ogni pienezza e per mezzo di LUI RICONCILIARE a Sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di LUI, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli"
(Col. 1,19-20)

AMARE è ESSERE PRESENTE: essere sempre presente a coloro che si amano.
Ecco il Mistero dell'EUCARESTIA, che racchiude e RENDE PRESENTE in ogni tempo tutto l'amore di Dio per l'uomo in CRISTO GESÙ morto e risorto…
La sua PRESENZA resta perenne nel Segno Sacramentale e Sacrificale del Pane spezzato (il suo corpo trafitto) e del Vino versato (il suo sangue sparso):. "Ogni volta, infatti, che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché Egli venga" (1 Cor. 11,26)
E' sempre PRESENTE pure con il Suo Santo Spirito che ha inviato nella Pentecoste. "Ecco, IO SONO CON VOI tutti i giorni fino alla fine del mondo " (Mt. 26,20).

• AMARE è VIVERE IN COMUNIONE: non solo essere presente, ma VIVERE IN COMUNIONE CON le persone amate, una comunione intima, piena e totale. "Se uno mi ama, osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e PRENDEREMO DIMORA IN LUI". ( Gv. 14,23 ).

• AMARE è RENDERE FELICI: RENDERE PER SEMPRE FELICI coloro che si amano.
Ecco il Mistero della BEATITUDINE ETERNA CON DIO. "Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono Io, perché contemplino la mia Gloria, quella che mi hai dato, poiché Tu mi hai amato prima della creazione del mondo. (Gv. 17,24).

LA CREAZIONE È LO SPLENDORE DELL'AMORE DI DIO RIFLESSO NELLE SUE CREATURE
Anche nella CREAZIONE l'anima "vede" l'Amore dello Sposo tanto amato, riflesso come la luce del sole che ne è il segno più evidente in tutte le sue creature. Ogni essere dell'universo racconta il Poema di questo
Amore, che si manifesta nella PROVVIDENZA del Padre: "LUI mi HA TRATTO DAL NULLA e mi FA CONTINUAMENTE SUSSISTERE con la sua ONNIPOTENZA; LUI mi GOVERNA con la sua infinita SAPIENZA".
"I cieli narrano la GLORIA di Dio e l’opera DELLE SUE MANI ANNUNCIA il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il Messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia" (Sal. 18,2-3).
Il Figlio Gesù Cristo è venuto a rivelarci la Gloria del Padre che risplende anche nella CREAZIONE. EGLI canta la PROVVIDENZA del Padre, sempre in opera nell'universo, con accenti di tenerezza filiale inconfondibile, rimproverando l'uomo per la sua cecità di fronte a questo GRANDE AMORE "Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete e neanche per il vostro corpo di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?" (Mt. 6,25-28)
Tutta la CREAZIONE proclama che LO SPLENDORE DELLA VERITÀ È L'AMORE.
• Anche tu, fratello, sorella, che nella CREAZIONE sei "Immagine e Somiglianza vivente di Dio", proclami che lo scopo e la pienezza della vita è L'AMORE. Proprio perché Dio è Amore, tu sei creato per amare. Il più grande rammarico per tutti sarà alla fine quello di non avere amato abbastanza.
La Vita Spirituale raggiunge il suo apice nel grado di Amore-Comunione che l'anima riesce a raggiungere con il suo Sposo. Per questo S. Agostino, a chi chiede di dare una risposta pratica al senso della vita, dice: "AMA e CAPIRAI". Nell'inno alla CARITA' San Paolo esalta l'eccellenza dell'amore su tutti i carismi e su tutte le altre virtù (1 Cor. 13,1-13 ). Nel brano appena citato, l'Apostolo afferma che tutto finirà, ma "la CARITÀ non avrà mai fine" (1 Cor. 13,8). Partecipare dunque in pienezza ed eternamente all'amore di Dio, Uno e Trino, è lo scopo ed il traguardo della VITA SPIRITUALE. ALBERT SCHWEITZER è un grande medico e filosofo francese del secolo XX. Giunto alla piena maturità della vita, mentre era già affermato nella carriera e viveva agiatamente, ha abbandonato l'Europa. Si è recato in Africa equatoriale per fondare un centro ospedaliero dove ha assistito e curato, per una cinquantina d'anni, gli abitanti indigeni. La sua filosofia della vita l'ha tradotta in queste parole, che rimangono come il suo Testamento Spirituale:
"l'unica cosa importante, Quando ce ne andremo, Saranno le TRACCE D AMORE Che avremo lasciato".
L'uccello canta, Ma non domanda se qualcuno l'ascolta:
La sorgente scorre, Ma non domanda perché scorre.
L'albero fiorisce Ma non domanda se qualcuno lo guarda.
Albero, uccello, sorgente, Il loro dono lo danno per niente.
Canto popolare.

La VITA SPIRITUALE è un CAMMINO: il cammino dell'anima verso Dio. Come il cammino è fatto di TAPPE INTERMEDIE prima di raggiungere la META o il tra¬guardo del viaggio, così nella Vita Spiri-tuale l'uomo non può raggiungere Dio se non percorrendo le TAPPE del Cammino Spirituale CHE CONDUCE a Lui.La vita è una STRADA. L'importante è camminare sulla strada, anche se faticosa, verso la META. La vita invoca una meta, pena l'apatia, la disperazione, il falli¬mento.Cristo si è fatto per te VIA per accompagnarti e sorreg¬gerti nel VIAGGIO DELLA TUA VITA INCONTRO AL PADRE. Non ti esime, però, dal compiere la tua parte. Senza la tua volontà e il tuo impegno assiduo, quotidiano, di seguire LUI, tu non cammini sulla STRADA.Nella VITA SPIRITUALE fermarsi significa retroce¬dere. Medita le parole del grande dottore della Chiesa S. Agostino, sopra citate. "Se dici 'Basta' sei perduto. Avan¬za sempre, cammina sempre", ricordandoti che su questa strada non sei mai solo …I Maestri di vita nello Spirito hanno tracciato l'iti¬nerario che progressivamente conduce l'anima ad incon¬trare Dio.
È L'AVVENTURA PIÙ AFFASCINANTE DELLA VITA.
Eccone le varie tappe:

INIZIO DEL CAMMINO


La VITA SPIRITUALE è un DONO che Dio fa all'uomo.

II "Bagaglio Umano”, cresce sempre più comprese le esperienze negative. NELLA FEDE, l’uomo viene assunto e "trasfigurato": diventa ESPERIENZA DI DIO. giungerà in cielo. La GLORIA che ognuno godrà in Paradiso sarà proporzionale al grado di Santità raggiunto nel Cammino della Vita Spirituale. Il Percorso è SENZA LIMITI, perché tra l'uomo e Dio la distanza è infinita: "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt. 5,45).

La SORGENTE della VITA SPIRITUALE è la PASQUA di Gesù (Passione Morte Risurrezione). "Dalla sua pienezza - dice S. Giovanni - noi tutti abbiamo ricevuto e Grazia su Grazia" (Gv 1,16). Questa pienezza di Grazia ci viene donata mediante i Sacramenti. Nel BATTESIMO, che fonda la VITA SPIRITUALE perché fonda la VITA CRISTIANA, per opera dello SPIRITO SANTO veniamo INCORPORATI IN CRISTO. In LUI diveniamo FIGLI DI DIO e quindi COEREDI CON LUI della VITA ETERNA nella GLORIA. LA VITA SPIRITUALE è un CAMMINO CON CRISTO, dall'ESPERIENZA dolorosa e drammatica della LOTTA in mezzo alle TENTAZIONI nel DESERTO, fino all'ESPERIENZA BEATIFICANTE della CONTEMPLAZIONE di Dio sul TABOR. Il Padre chiama ogni anima a percorrere questa strada verso il MONTE SANTO, per "trasfigurarla" nel proprio FIGLIO.


Il Cammino è lungo e faticoso. Ma, se è fedele a seguire lo Spirito Santo che la illumina, la guida, la fortifica, la persona inizia a vedere la propria vita con occhi nuovi: gli occhi della Fede. Sotto questa Luce, essa percepisce anzitutto la gravità del peccato come l'unico vero male che si oppone a Dio.