"La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture non mancando mai, soprattutto nella liturgia, di nutrirsi del pane della vita, sia della Parola di Dio, sia del Corpo di Cristo". (Concilio Vaticano II)

domenica 16 ottobre 2011

Capire la Santa Messa - XVII Appuntamento

Torna l'appuntamento domenicale con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:

CAPIRE LA MESSA
17° PARTE

IL PREFAZIO E IL SANCTUS

La preghiera eucaristica

La preghiera eucaristica è spesso percepita come un lungo monologo recitato dal sacerdote. E’ bene ricordare che questi non fa che pronunciare delle parole a nome di tutta l’assemblea; egli parla sempre alla prima persona plurale: “Noi ti presentiamo…. Noi ti offriamo….”. la preghiera eucaristica è un’azione di grazie. E’ prima di tutto l’azione di Gesù che, nell’ultima cena, prese il pane (cf. la presentazione dei doni), rese grazie (preghiera eucaristica), lo spezzò (frazione del pane) e lo distribuì (comunione). E poi, è un’azione di tutta l’assemblea che si unisce all’offerta di Cristo e rende grazie con Lui e per Lui. La preghiera eucaristica è anche, come il suo nome indica, una preghiera, e dunque non una storia raccontata o una lettura. Il sacerdote non si rivolge all’assemblea, ma a Dio Padre a nome dell’assemblea. Questa preghiera si radica nella tradizione della liturgia ebraica e in alcune antichissime preghiere cristiane.

Il dialogo del prefazio

La preghiera eucaristica comincia con un dialogo. E’ il dialogo più importante della liturgia; lo troviamo in tutte le liturgie cristiane della più alta antichità. Tutta la preghiera eucaristica riposa su questo dialogo che permette al celebrante e all’assemblea di verificare la loro coesione. – Il Signore sia con voi/– E con il tuo spirito.
Queste prime due battute ci sono già note. Figurano all’inizio della celebrazione, e prima della lettura del Vangelo. Ricordiamo semplicemente che si tratta di una benedizione di una riconoscenza per i doni di ciascuno. Questo primo dialogo annuncia sempre un momento essenziale: ciò che stiamo per vivere è importante.
- In alto i nostri cuori /- Sono rivolti al signore. Si tratta di un movimento di conversione: i credenti sono invitati ad abbandonare i loro crucci, le loro preoccupazioni e i loro attaccamenti per mettersi in qualche modo “alla giusta altezza”, secondo le parole di San Paolo: “Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra” (Col 3,2).
Con la sua risposta, l’assemblea manifesta che essa aderisce a questo appello del celebrante e che vuole volgere il suo cuore verso il Signore e attaccarsi a Lui solo.
- Rendiamo grazie al Signore nostro Dio!/- E’ cosa buona e giusta.
Il celebrante invita i fedeli a entrare nella grande preghiera di ringraziamento. Potremmo trascrivere “rendiamo grazie” con “celebriamo l’eucarestia” per il Signore nostro Dio! Il sacerdote invita dunque i credenti a “fare eucarestia”. A questo invito, l’assemblea dà il suo consenso rispondendo: “E’ cosa buona e giusta”. Essa delega in qualche modo il celebrante a pronunciare l’azione di grazie in suo nome. Approva in anticipo ciò che si svolgerà, manifestando pienamente il suo consenso in quanto popolo sacerdotale. Essere giusti significa dare o rendere a ciascuno ciò a cui ha diritto in fatto di beni materiali o spirituali, di ricchezze o di onore. Nei confronti di Dio, la giustizia consiste nel riconoscere ciò che egli è: Creatore e redentore. Rendere a Lui grazie non è dunque altro che giustizia, perché noi riceviamo tutto da Lui. Si aggiunge anche che ciò è “cosa buona”, piacevole e allietante. Noi siamo felici di rendere grazie a Dio che ci ha colmato e ci ama a tal punto. Noi lo facciamo di buon cuore, come un bambino piccolo che salta al collo del suo papà o della sua mamma per dire loro grazie.

Il prefazio

Il sacerdote prosegue partendo dalla risposta dei fedeli: “E’ veramente cosa buona e giusta rendere grazie a te”. Ciò illustra molto bene l’unità profonda del sacerdote e dell’assemblea: tutti rendono grazie, anche se il sacerdote soltanto pronuncia la grande preghiera che tutti ratificheranno con un Amen solenne alla fine della dossologia. Il prefazio è l’inizio dell’azione di grazie rivolta al Padre. In latino, la Parola praefatio significa: “preambolo”, “prefazione”. Esso consiste di tre parti: 1 il riconoscimento della lode dovuta al Padre per la mediazione del Figlio: 2 i motivi particolari dell’azione di grazie che sottolinea la celebrazione; 3 introduzione al Sanctus.

Riconoscimento della lode dovuta al Padre

La formula iniziale, che riprende la risposta precedente dei fedeli, è la stessa per la quasi totalità dei prefazi: “E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre Santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore”. Queste prime parole hanno la loro origine nelle formule della pietà ebraica. Il nostro prefazio riprende questa azione di grazie con molto lirismo e comincia anche con veramente: è proprio vero. Questa azione di grazie come il seguito della preghiera eucaristica, è rivolta al Padre, “Per Cristo, nostro Signore”. È con Gesù e come Lui, come bambini amati, che noi ci rivolgiamo a Dio nostro Padre.

2. Motivi particolari dell’azione di grazie

Dopo il preambolo stereotipato, viene una seconda parte che varia a seconda della festa, del tempo liturgico o ancora dell’evento che riguarda la Chiesa locale, come un matrimonio, una ordinazione, un funerale; ne abbiamo poco più di ottanta nel Messale romano. Questi prefazi sono dei gioielli: il senso profondo della festa celebrata vi si dispiega con poche parole. Ecco, come esempio, il secondo prefazio di Pasqua: “Per mezzo di Lui (il Cristo), rinascono a vita nuova i figli della luce, e si aprono ai credenti le porte del regno dei cieli. In Lui morto è redenta la nostra morte, in Lui risorto tutta la vita risorge”.

3. Introduzione al Sanctus 

Dopo aver cantato o proclamato il motivo particolare dell’azione di grazie, il prefazio conduce al Sanctus con una nuova formula stereotipata, che conosce qualche leggera variante: “E noi, uniti agli angeli e agli arcangeli, ai troni e alle dominazioni e alla moltitudine dei cori celesti, cantiamo con voce incessante l’inno della tua gloria”. La lode della Chiesa, all’inizio della grande preghiera eucaristica, si unisce a quella degli angeli e dei santi nella gloria di Dio.

Il canto del Sanctus

La prima parte del Sanctus è direttamente ispirata all’AT e alle preghiere ebraiche. Questa preghiera si riferisce all’acclamazione degli angeli nel racconto della vocazione del profeta Isaia (6,1-3): “Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di Lui stavano dei serafini (…). Proclamava uno all’altro, dicendo: “Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria”.
Leggendo questa preghiera del mattino della liturgia ebraica, “la benedizione di Yotser”, cioè del Creatore, sarete colpiti dalla somiglianza con il prefazio e il Sanctus. “Sii benedetto, nostra roccia, nostro Re, nostro Redentore, che crei gli angeli santi. Sia glorificato il tuo nome nell’eternità, nostro Re, che crei gli angeli. I tuoi angeli stanno nelle altezze dell’universo, proclamano insieme con timore, a piena voce, le opere del Dio vivente e del Re dell’universo. Tutti sono santi, tutti eletti, tutti potenti, tutti compiono con rispetto e timore la volontà del loro Creatore, tutti aprono le loro bocche con santità e purezza, cantono melodiosamente, benedicono, glorificano, magnificano, adorano, proclamano il Re Santo e il nome di Dio. E tutti insieme, prendono su di loro il giogo del regno dei cieli e si esortano reciprocamente alla lode del loro Creatore; in tutta pace spirituale, con labbra degne e con santa soavità, tutti con voce unanime, si rispondono con venerazione e rispetto dicendo: “Santo, Santo, Santo è il Signore Sabaoth! La terra è piena della sua gloria”. Il nostro Sanctus riprende questo versetto di Isaia, più o meno nel senso che la terra si unisce al cielo, dal momento che noi ci uniamo agli angeli per cantare la gloria di Dio: “Santo, Santo, santo, il Signore Dio dell’universo! I cieli e la terra sono pieni della sua gloria”. Santo, kadosh in ebraico, designa letteralmente ciò che è “separato”, “differente, “altro”. Noi cantiamo la grandezza di Dio, il Totalmente Altro. “Dio dell’universo” traduce l’espressione ebraica: Yahvè Sabaoth, “Signore degli eserciti”; la scrittura attribuisce spesso questo titolo a Dio, per mostrare che Lui è il Signore degli angeli e degli astri. Questo inizio del Sanctus è attestato alla fine del IV secolo. Il seguito appare prima del VI secolo: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell’alto dei cieli”. Riconosciamo l’acclamazione degli ebrei al momento dell’entrata messianica di Gesù a Gerusalemme, il giorno delle Palme. “La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: “ Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli” (Mt21,9). Questa acclamazione è tratta dal Salmo 117 (118): “Ti preghiamo, Signore: dona la salvezza! Ti preghiamo, Signore: dona la vittoria! Benedetto colui che viene nel nome del Signore” (25-26°). In ebraico, “dona la salvezza” si dice: hoshiah’na. Bisogna sapere che si supponeva che questo Salmo avrebbe accompagnato l’accoglimento del Messia al momento del suo arrivo. Gli israeliti lo canteranno in occasione delle Palme: e questo è proprio il segno che essi hanno riconosciuto in Gesù il Messia. Hosanna aveva allora perduto il suo significato originario per diventare una semplice acclamazione di gioia e di vittoria. Ma nel momento in cui Gesù entra in Gerusalemme per subire la passione e salvarci, questa acclamazione riacquista tutto il suo significato. Del resto, il nome ebraico di Gesù, Yeshuà, significa “liberatore, “salvatore”. “nell’alto dei cieli” è un ebraismo. Si deve intendere: Osanna a Dio che abita nel più alto dei cieli. Noi riconosciamo l’infinita grandezza di Dio. CON IL CANTO DEL Sanctus, celebriamo dunque la gloria di Dio con gli angeli, in una atmosfera di grande festa. I liturgisti richiedono dunque che questa acclamazione sia cantata da tutta l’assemblea, con forza e con gioia: “Un Sanctus sussurrato dolcemente con voci parsimoniose, economizzando avaramente il fiato (….) è al di fuori del testo; il canto dei serafini di Isaia faceva vibrare i cardini della porta del Tempio!”.

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