"La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture non mancando mai, soprattutto nella liturgia, di nutrirsi del pane della vita, sia della Parola di Dio, sia del Corpo di Cristo". (Concilio Vaticano II)

mercoledì 26 febbraio 2014

Capire la Santa Messa - XXIV Appuntamento



Torna l'appuntamento con la meditazione sul significato della Santa Messa, con gli approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:  

 CAPIRE LA MESSA

24° PARTE



I RITI DELLA COMUNIONE



La comunione del sacerdote e dei fedeli
Il celebrante e i ministri ordinati si comunicano con rispetto dicendo innanzitutto a voce bassa: “il corpo di Cristo mi custodisca per la vita eterna. Il sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna”. Questa invocazione riprende la promessa di Gesù: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54). Ogni comunione fa crescere in noi la vita eterna ricevuta con il nostro battesimo.

I ministri ausiliari dell’eucarestia
Se il sacerdote è solo o se i ministri ordinati non sono abbastanza numerosi per dare la comunione a una grande assemblea, si faranno aiutare dai ministri ausiliari della comunione. Dopo aver seguito una formazione, i ministri ausiliari della comunione ricevono un mandato dal vescovo. Essi hanno anche la bella missione di portare la comunione alle persone malate e anziane.

Tendere le mani verso l’eucarestia
I fedeli, contrariamente ai ministri ordinati, non prendono il corpo di Cristo, essi lo ricevono dal ministro che lo dà loro. Questo bel gesto da mettere in relazione con l’ultima cena nella quale i discepoli hanno ricevuto il pane e il vino dalle mani di Gesù, ricorda che l’eucarestia è un dono, il dono di Cristo nella cena e sulla croce. Nessun dono è più prezioso di questo. Ciascuno sceglie, secondo l’uso locale e la sua propria sensibilità, di ricevere la comunione in bocca, seguendo l’abitudine adottata nel Medioevo oppure tenendo le mani come la chiesa autorizza dalla riforma liturgica dopo il Vaticano II, e secondo l’antichissima consuetudine cristiana. Così, san Cirillo, vescovo di Gerusalemme nel IV secolo, spiega ai neofiti: “Udendo dunque l’invito, non avvicinarti con le palme delle mani spalancate o con le dita distanziate. Ma nella mano sinistra fa un trono per la destra che riceverà il Re. Ricevi il corpo di Cristo nel cavo della tua mano e rispondi: Amen” l’Amen che noi pronunciamo è una vera professione di fede: si, è proprio vero, è il corpo e il sangue di Cristo che io ricevo, è il Signore che si dà a me e che io voglio accogliere con tutto il mio cuore; Egli viene a dimorare in me perché io dimori in Lui e sia sempre più suo discepolo. “Se voi siete il corpo di Cristo e i suoi membri, scrive sant’Agostino, è il sacramento di ciò che voi siete che viene deposto sulla mensa del Signore; è il sacramento di ciò che voi siete che voi ricevete. E’ a ciò che voi siete che voi rispondete Amen. Questa risposta è la vostra firma. Tu ascolti in effetti “Corpo di Cristo”. E rispondi: “Amen!”. Sii membro del corpo di Cristo perché il tuo Amen sia vero!”.

Diventare il corpo di Cristo
Comunicandoci noi diventiamo ciò che riceviamo. E’ dunque il contrario di ciò che accade abitualmente: quando mangiamo assimiliamo un alimento che perde la sua sostanza. Così, quando mangio del coniglio, non divento un coniglio (fortunatamente); è il coniglio che cessa di esistere in quanto tale e che “diventa” me. Ma quando noi ci comunichiamo, se vi consentiamo, perché il Signore rispetta sempre la nostra libertà, è il Cristo che ci “assimila” perché noi siamo uniti a Lui. Così possiamo dire con san Paolo: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me”” (Gal 2,20).

La comunione sotto le due specie
La chiesa incoraggia, quando ciò è possibile, la comunione sotto le due specie del pane e del vino. Certamente, anche ricevendo soltanto il corpo di Cristo, i fedeli comunicano pienamente al Cristo totale, ma noi non rispondiamo perfettamente all’invito di Cristo che, dando il calice ai suoi discepoli ha detto: “Bevetene tutti” (Mt 26,27)

La frequenza della comunione
Nei primi secoli i fedeli si comunicavano spesso e si portavano anche a casa del pane consacrato per fare la comunione durante la settimana. Poi, al fine di sottolineare la grandezza di questo sacramento , si è arrivati a comunicarsi meno sovente, e anche soltanto qualche volta all’anno. Il Concilio di Trento incoraggiò la comunione frequente e il Papa Pio X la ristabilì effettivamente. La chiesa ci invita dunque a comunicarci ogni domenica e anche, se ciò è possibile, ogni giorno. Il fedele che partecipa pienamente a una seconda messa nello stesso giorno ha la possibilità di comunicarsi una seconda volta. Facciamo tuttavia attenzione a non comunicarci per abitudine seguendo il movimento della folla, ma accogliendo con tutto il nostro cuore il Signore che si fa cibo per noi.

L’azione di grazie
Dopo aver ricevuto un così grande “Tesoro”, è bene fermarsi un momento al fine di potersi rendere conto di ciò che è appena accaduto, di accogliere la presenza del Signore che viene a dimorare in noi. Tuti i liturgisti che ho consultato insistono sull’importanza del silenzio che segue la comunione. A proposito di questo momento di ringraziamento san Tommaso Moro (Thomas More) diceva: “Avendo ricevuto nostro Signore, avendolo presente nel nostro corpo, non lo lasceremo tutto solo per occuparci di altre cose senza più fare alcun caso a Lui: solo un maleducato tratterebbe in questo modo l’ultimo degli invitati. Gesù sia la nostra unica occupazione. E’ questo il momento di rivolgerci a Lui con una preghiera fervente, di intrattenerci con Lui con ferventi meditazioni”.
Che tristezza vedere la gente che scappa subito dopo la comunione! Un bambino, mentre sua nonna voleva andarsene subito dopo la comunione senza riservare un momento al ringraziamento le disse: “Ma nonnina! Il Signore non ha finito!”. San Filippo Neri vedeva che diversi parrocchiani uscivano dalla chiesa dopo aver ricevuto la comunione, senza concedersi il tempo di ringraziare il Signore per il dono della propria carne. Un giorno lui mandò due ministranti con delle candele ad accompagnare questi parrocchiani all’uscita della chiesa. Questi furono sorpresi e turbati  e chiesero al santo padre che cosa ciò significasse. Filippo Neri disse loro:  “Ho mandato i ministranti semplicemente per accompagnare il Santo Sacramento che hai ricevuto alla comunione affinché ringraziassero e lodassero il Signore al posto tuo”. Avendo ricevuto il signore, essendo così intimamente uniti a Lui, possiamo confidargli tutto. Possiamo intercedere per quelli che soffrono, e anche comunicarci per quelli che non vengono, chiedendo a Dio di riversare nel loro cuore le stesse grazie che riceviamo noi. Capite bene ora l’importanza di questo tempo di silenzio dopo aver ricevuto il Signore. Silenzio di raccoglimento. Silenzio di intimità con il Cristo. Silenzio di adorazione e contemplazione. Silenzio d’intercessione. Quale danno che il silenzio del dopo comunione non venga rispettato, o che sia così breve che si abbia appena il tempo di abbeverarsi! Dieci, quindici secondi….., come se si avesse fretta di ripartire! E’ nel silenzio che Dio lavora i cuori e agisce. E’ tempo di riscoprire il valore del silenzio nella liturgia.

Il canto di comunione
Questo canto di comunione permette all’assemblea di rendere grazie tutti insieme per il dono ricevuto e di meditare questo grande mistero. La corale può anche cantare mentre i fedeli si comunicano, e lasciare posto al silenzio dopo la comunione. Se non ci sono canti, come per esempio nelle messe della settimana, il sacerdote può leggere l’antifona proposta nel Messale. Queste antifone sono tratte dalla Bibbia, prese in prestito principalmente dai Vangeli e dai salmi. Variando a seconda della festa o del tempo liturgico, esse sono offerte alla nostra meditazione. Così, per la solennità dell’Ascensione il messale propone: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Per la festa del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo: «Dice il Signore: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me, e io in lui”» (Gv 6,56).


La preghiera dopo la comunione
I riti della comunione si concludono con una preghiera, una “Colletta” che il sacerdote dice a nome di tutti. E’ l’ultima delle tre orazioni variabili della messa dopo la preghiera di apertura e quella sulle offerte. In questa preghiera noi chiediamo al Padre che questa comunione porti abbondanti frutti e ci faccia crescere verso la vita eterna. Imploriamo anche la forza dello slancio missionario perché possiamo testimoniare ciò che abbiamo ricevuto. Prendiamo, per esempio, la preghiera della tredicesima domenica ordinaria; insiste sulla vita divina che abbiamo ricevuto e che è chiamata a portare frutto: “La divina eucarestia, che abbiamo offerto e ricevuto, Signore, sia per noi principio di vita nuova, perché, uniti a te nell’amore, portiamo frutti che rimangono per sempre. Per Cristo nostro Signore.

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