Inauguriamo questa nuova sezione della Vigna del Signore, attraverso il primo numero di un corposo appuntamento che ci porterà alla comprensione del mistero della Santa Messa. Ringraziamo Enza per l'opera di trascrizione di questi approfondimenti di padre Leopoldo, Priore Francescano Conventuale della Chiesa di San Francesco di Brescia:
CHE COSA E’ LA MESSA?
Il senso profondo dell’eucarestia
Prima di entrare nel vivo dell’argomento, cioè lo svolgimento della messa, tenteremo di comprendere meglio cosa essa sia. Lo faremo in una maniera molto semplice: definendo i differenti nomi che diamo alla messa, quali “Frazione del pane”, “Cena del Signore” o “Eucarestia”.
Diversi nomi per dire la stessa cosa
Per designare delle cose semplici, non abbiamo bisogno di parecchi nomi: un albero che produce delle mele è un melo, se produce delle ciliegie, è un ciliegio. Al contrario per parlare di una persona, possiamo utilizzare parecchi nomi. Così il Sig. Rossi si farà chiamare “Giovanni” dai suoi amici, “Dottore” dai suoi pazienti, “papà” o “mio caro” in casa. Quando parliamo di Dio, moltiplichiamo i nomi: egli è Padre, l’Essere supremo, il Vivente, la Roccia, il santo, l’Amore, il Misericordioso. I musulmani amano recitare i novantanove nomi di Dio, sgranando il loro rosario. Noi non potremo mai dire tutto di Dio, ma ogni nome rivela un aspetto della sua grandezza infinita e ci svela un poco del suo mistero. Anche la Messa è un grande mistero; è dunque normale che vi siano diversi nomi per parlarne. Al giorno d’oggi parliamo soprattutto di messa e di eucarestia, ma nel corso degli anni, si sono utilizzati altri nomi per designare questo sacramento: frazione del pane, azione santa, cena del Signore, comunione, sacrificio, ecc. Si tratta sempre della medesima realtà , ma, con questi differenti nomi, si metteva l’accento ora su una ora su un’altra delle sue ricchezze. E’ dunque interessante approfondire il significato di alcuni di questi nomi, perché ciascuno rivela un aspetto, una sfaccettatura del diamante.
LA FRAZIONE DEL PANE
L’espressione “frazione del pane” è una delle prime che utilizzano i discepoli per designare la messa. Gli Atti degli apostoli ci dicono che i primi cristiani “erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (2,42). Questo gesto viene da Gesù: per nutrire la folla, prende i pochi pani che gli vengono presentati, li benedice e li spezza. Li distribuisce. Al momento dell’ultima cena, Gesù compie nuovamente questi stessi gesti: prende il pane, lo spezza e lo dà ai suoi discepoli. La frazione del pane diventerà anche un gesto che permetterà ai discepoli di Emmaus di riconoscerlo.
Qual è il senso di questo gesto? San Paolo ce lo spiega nella sua prima lettera ai Corinzi: “Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane” (10,16b-17).
Così, condividere uno stesso pane e darne un pezzo a ognuno significa esprimere l’unità. La “frazione del pane” realizza l’unità tra coloro che mangiano insieme uno stesso pane (la parola “compagno” esprime questo gesto di condivisione del pane. Compagno viene da cum, “con”, e ponis, “pane”; è dunque colui con cui mangio il pane).
Quanto più grande sarà questa unità, dal momento che il pane condiviso nella messa è più che pane: è il corpo di Cristo offerto per noi. Quando noi andiamo a fare la comunione, riceviamo insieme il medesimo corpo di Cristo; questo ci stabilisce necessariamente in una unità molto profonda. Perché ricevendo il corpo di Cristo, siamo chiamati a diventare sempre più membri di questo corpo di Cristo che è la chiesa.
Una bellissima preghiera della messa dice: “La comunione a questo sacramento sazi la nostra fame e sete di te, o Padre, e ci trasformi nel Cristo tuo Figlio”. A ogni comunione, siamo chiamati a diventare ciò che abbiamo ricevuto: il corpo di Cristo! Ricordiamo ancora per un momento che, se Dio ci rende partecipi del pane che è il corpo di Cristo, ci invita a nostra volta a condividere il nostro “pane”, vale a dire ciò che abbiamo, con coloro che ne hanno bisogno. Ciò che Dio fa per noi, noi dobbiamo farlo per gli altri.
IL PASTO DEL SIGNORE
In questa seconda espressione, c’è innanzitutto la nozione di pasto, così importante per noi. Invitare a pranzo i propri amici o i propri genitori, non significa soltanto dare loro da mangiare e da bere. Partecipare ad un pranzo di famiglia o tra amici, non significa unicamente placare la propria fame. E’ molto di più. C’è una grande differenza tra l’animale e l’uomo nel loro modo di mangiare. L’animale si getta sul cibo che gli si presenta, escludendo il bisogno dell’altro. Divora il suo pasto fino a che non c’è più nulla oppure la sua fame è placata. Quando gli uomini prendono un pasto insieme, obbediscono a tutto un rito: prendono l’aperitivo, stendono i loro tovaglioli, attendono che tutti siano serviti prima di mangiare, anche se hanno molta fame. In tutto il pranzo, c’è qualcosa di più del cibo, c’è l’amicizia che si crea e si manifesta. In fin dei conti, non è il cibo la cosa più importante. Lo si trova sempre buono se l’atmosfera è gioiosa, distesa, fraterna. Al contrario, se inaspettatamente accade un litigio durante il pranzo, questo non “passa” più, e si arriva a lasciare la tavola, anche se si ha ancora fame.
Il pasto evoca la gioia di stare insieme. Si capisce che Gesù abbia scelto l’immagine di un pranzo di nozze e anche di un vero banchetto per parlare del regno di Dio. (vedi per es. Lc 14,15-24), non per prometterci che passeremo la nostra eternità a mangiare e bere, ma piuttosto per presentarci il regno come la riunione dei figli intorno alla tavola che presiede il padrone di famiglia.
L’eucarestia è un pasto. Ma bisogna andare più lontano, se no, al posto delle chiese, avremmo dei ristoranti…. Bisogna aggiungere che questo è il pasto del Signore. Dio stesso ci invita alla sua tavola. In questo pasto, il Cristo stesso si dà in nutrimento. Il pane spezzato, distribuito, è il suo corpo offerto per noi. Il calice, è quello della nuova alleanza nel suo sangue. Con questo pasto, egli ci invita a prendere parte alla sua passione per risuscitare con lui e partecipare alla sua gloria. Questo pasto del Signore dunque è una pregustazione del pasto celeste nel regno.
L’AZIONE SANTA
Azione sacra, Azione santa, sono termini che hanno avuto il favore del Medioevo. Abitualmente, noi parliamo del prete che dice bene o dice male la messa. Facciamo un’offerta perché egli dica una messa per una tale intenzione. In certe lingue, si dice che anche il prete legge la messa e di conseguenza io vado “ad ascoltare la messa”. Simili espressioni avrebbero scandalizzato certamente i cristiani del Medioevo. Parlavano, loro, di dare la messa. Essi avevano ben compreso che la messa è un’azione di Dio in favore del suo popolo e un’azione degli uomini che celebrano questa alleanza.
E’ bene ricordare che noi tutti siamo invitati a prendere una parte attiva alla messa. Andare a messa, non è come andare al cinema dove lo spettatore sta comodamente seduto nella sua poltrona; il solo sforzo che gli si richiede è di star zitto. Siamo tutti attori, non necessariamente perché facciamo qualche cosa come la lettura o la questua, ma perché partecipiamo attivamente a ciò che viene celebrato: ascoltiamo la Parola di Dio e ci lasciamo interpellare da essa; ci offriamo con il Cristo per avere parte alla sua resurrezione; lo riceviamo perché venga ad abitare in noi e noi in Lui. Tutto ciò, nessuno può farlo al nostro posto. Dipende da noi vivere la messa come una vera azione santa.
I SANTI MISTERI
Un mistero in liturgia non è un enigma oscuro o un fenomeno strano. La Parola designa un’azione compiuta da Dio e realizzata dal Cristo per la salvezza degli uomini. La messa ci fa partecipare al mistero pasquale, mistero di Pasqua, cioè alla morte e resurrezione di Cristo. L’espressione “santi misteri” designa il corpo e il sangue di Cristo resi presenti nella celebrazione della messa. Anche i sacramenti si chiamano misteri, perché Dio agisce attraverso parole e gesti ben precisi. Il mistero ha un duplice aspetto. Un aspetto visibile: un’azione, un gesto, una parola. E un aspetto invisibile: ciò che Dio compie attraverso questa azione, questo gesto questa parola. Questo aspetto invisibile, noi lo percepiamo con gli “occhi della fede”.
E’ un po’ complicato, ma lo capirete subito. La messa è un “mistero” o un sacramento, perché essa è stata istituita dal Cristo per farci partecipare alla sua morte e alla sua resurrezione e dunque per salvarci. C’è nella messa un aspetto visibile: le parole che ascoltiamo e che diciamo, i gesti che vediamo e che compiamo, l’incenso che sentiamo, senza dimenticare il pane che tocchiamo e mangiamo e il vino che beviamo. Ma non bisogna dimenticare l’aspetto invisibile, ciò che queste parole, questi gesti e questi alimenti significano: Dio ci parla e si dà in nutrimento perché noi abbiamo parte della sua vita divina. Bisogna avere la fede per capire bene tutto ciò. Non che il Cristo non sia qui e non ci si crede, perché egli agisce efficacemente per mezzo dei sacramenti, ma questi diventano fecondi e producono ciò che essi significano per coloro che li ricevono nella fede. Teniamo dunque a mente, di questa definizione, l’invito a superare le apparenze per vivere il “mistero” celebrato.
“Questa è certamente una delle più grandi difficoltà della messa. Non si vede che il suo aspetto visibile. Spesso diciamo: “Mi piacciono molto le messe delle famiglie, sono ben animate, ci sono canti belli e voi suonate la chitarra”. Non sono come le altre messe dove non succede niente….”. mi fanno pensare a dei bambini che ricevono dei regali, ma che non vedono che le confezioni più o meno colorate; dimenticano di aprire il regalo…..Sicuramente, i sacerdoti e i gruppi liturgici devono afre del loro meglio perché la liturgia sia bella e attraente. Ma non dimentichiamo l’immenso tesoro che si trova sotto la confezione. Quando si è riconosciuto il Cristo che si dona, anche la messa più scialba diventa momento straordinario.
L’EUCARESTIA
Eucarestia è un’espressione che noi utilizziamo spesso per parlare della messa. Eucharestein significa “rendere grazie”, o più semplicemente “dire grazie”. In greco moderno, l’espressione significa “ti ringrazio vivamente”, “ti sono profondamente riconoscente”.
Celebrare l’eucarestia significa dunque esprimere la nostra riconoscenza al Signore, ringraziarlo per tutti i suoi benefici. La preghiera eucaristica è una lunga preghiera di azione di grazie al Padre che ci ama e invia il suo figlio per salvarci. Teniamo a mente di questa espressione il fatto che noi andiamo a messa per rendere grazie, per dire “grazie” a Dio. Sarà bene chiederci, prima di andare a messa, quali sono i nostri motivi di ringraziamento.
Più profondamente, il cristiano è chiamato a fare della sua vita una “eucarestia”, un’azione di grazie, lodando e ringraziando il Signore in ogni tempo, come ci invita a fare l’apostolo Paolo: “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti” (Fil 4,4).
LA MESSA
La parola più corrente: “vado a messa”. Quale ne è l’origine? Essa rischia di sorprenderci.
Ogni riunione liturgica comporta un rito di apertura, d’accoglienza e un rito di congedo. E’ così anche in tutte le assemblee ufficiali. Per esempio, per i giochi olimpici, c’è una cerimonia di apertura e c’è una cerimonia di chiusura. Il presidente dichiara “aperti” i giochi e li dichiara “chiusi”. Nell’esercito, alla fine dell’esercizio, il comandante grida: “Rompete le righe!”.
Alla fine della messa, il vescovo o il presbitero dichiarava: “Ite, missa, est”, che si è tradotto con “La messa è finita andate in pace”. Ma questa non è la traduzione letterale. “Ite missa est” significa “Andate, questo è l’invio” o, in altre parole, l’assemblea che si è tenuta nella chiesa, questa domenica, viene ora sciolta. La parola latina per dire ciò è missio o anche missa, che viene dal verbo “inviare”. Missa est: è il momento del rinvio. Che ognuno ritorni alla sua casa! Come si è arrivati a chiamare “missa (messa), che vuol dire rinvio, un atto che è il suo contrario, cioè una riunione? La ragione è semplice, quando si va in chiesa per la messa, si entra in ordine sparso, gli uni dopo gli altri. Alcuni arrivano a raccogliersi alcuni istanti prima della celebrazione. Altri arrivano in ritardo. L’ingresso in chiesa si nota poco. Al contrario, i partecipanti escono tutti insieme e questo si vede. Così i non cristiani che vedono i fedeli uscire insieme dalla chiesa dicevano: “è la missa, è il congedo della loro riunione”. E si è finito col chiamare missa, messa, la riunione stessa.
Ciò non è senza conseguenze. Se, dopo aver celebrato il mistero del Signore, siamo inviati, ciò avviene perché noi siamo presso gli uomini i testimoni di ciò che abbiamo vissuto insieme in chiesa. La messa non è un atto isolato e separato dalla nostra esistenza normale. Essa ci apre una vita nuova e alla testimonianza. Il congedo finale è anche un invio in missione.